Si sentono e leggono, in questi giorni, molte analisi e tanti sennati ragionamenti per spiegare come mai, elezione dopo elezione, il vero partito vincitore è quello degli astenuti, di chi rifiuta in blocco i contendenti, sfiduciandoli senza distinguere l’uno dall’altro, perché “per me pari sono”. Non siamo politologi laureati, non sappiamo studiare i flussi elettorali, grafici e cifre dei sondaggisti ci procurano soprattutto un senso di vertigine. Abbiamo metodi più ruspanti per cercare di spiegare quello che accade. Per esempio frequentiamo i supermercati, dove la gente fa la spesa; ci muoviamo in autobus, e ascoltiamo le chiacchiere nei bar e nei caffè. Che saranno, appunto, chiacchiere da bar e da caffè, ma sono chiacchiere di persone che poi votano (o non votano).
Si tratta di persone che devono cavare ogni giorno il sugo del sale. E proviamo a spiegarci. Negli ultimi cinque anni, per esempio, sono state varate qualcosa come 288 norme fiscali, e la complicazione che questo ha comportato e comporta per imprese e imprenditori è evidente: quelle 288 norme costituiscono il 58,7 per cento di tutte le disposizioni di natura tributaria (491) introdotte attraverso 29 differenti provvedimenti: oltre quattro volte superiore a quello delle 67 “semplificazioni” fatte nello stesso periodo. Significa che per ogni norma abolita per “snellire” la burocrazia, se ne sono varate 4,3 nuove. Dite che questo non incide, non alimenta sfiducia, rigetto, voglia di mandare tutti e tutto a quel paese?
Questa è la storia di Giacomo e Annalisa, vivono a Soccavo, quartiere di Napoli: commercianti, agli usurai hanno consegnato 150mila euro e una pizzeria; a loro è rimasto un negozio, anche questo rischia di fare la stessa fine. Nel 2011 hanno presentato regolare denuncia alla procura della Repubblica, ma ancora non è stato avviato neppure il primo atto. Se entro un paio di settimane non si verificherà qualcosa di nuovo, addio al negozio.
Il calvario di Giacomo e Annalisa comincia nel 1990. I due possiedono alcuni negozi e appartamenti. Le cose però non vanno benissimo, c’è una crisi di liquidità, si presenta un “amico”, offre un prestito di 50 milioni di lire, all’interesse del 6 per cento al mese. Gli sventurati accettano; e quando non ce la fanno a pagare le “rate”, sempre il solito “amico” si fa intestare metà dei terreni su cui sorgono i negozi. Siccome piove sempre sul bagnato, anche il fratello di lui ha bisogno di denaro. C’è sempre “l’amico”: altri 50 milioni, in cambio della cessione dell’altra metà dei terreni. Otto anni dopo Giacomo e Annalisa si trovano a dover pagare con difficoltà le rate mensili relative agli interessi, mentre il capitale resta ancora tutto da restituire. “L’amico” non vuole più aspettare, e costringe i due a firmare un documento: o entro il 2012 restituiscono tutto, oppure perdono l’intera proprietà.
A questo punto la coppia si rivolge a un avvocato, e viene avviato un procedimento civile. “L’amico” si rivolge a un clan camorrista locale. Gli “amici” dell’“amico” consigliano di trovare un accordo. Una breve convivenza, poi l’usuraio torna all’attacco, vuole tutto. Giacomo e Annalisa, disperati, finalmente, si rivolgono all’associazione antiracket e ai carabinieri, che inviano un rapporto alla Procura.
Lasciamo la parola a Giacomo: “Da allora la giustizia penale è ferma, ma quella civile va avanti. Il 17 giugno arriverà il custode giudiziario; e non solo: presso la prefettura esiste un fondo per le vittime di usura che hanno denunciato gli strozzini. Ma vi si può accedere solo quando il reato viene contestato ai malavitosi. Se il procedimento non parte, allora non si ha diritto a niente”.
Succede a Giacomo e ad Annalisa, ma è da credere che accada a tanti come loro. In Campania e in tutta Italia. E volete poi che vadano anche a votare?