Potere e arroganza vanno spesso a braccetto, e in particolare se si tratta di un politico. Ancor più seccante se il potente di turno, arrogante e prepotente si rivela anche cretino, una sommatoria i cui effetti sono micidiali. Leonardo Sciascia, che di arrogantemente stupidi, stupidamente arroganti ne incontrò parecchi, compilò una sorta di “classifica”, delle “disgrazie” che possono capitare in un crescendo rossiniano: 1) L’invidia dei colleghi. 2) Gli intrighi. 3) Disprezzo dei potenti. 4) L’imbecillità. 5) L’imbecillità più il fanatismo. 6) L’imbecillità più il fanatismo più lo spirito di vendetta.
Non capita solo al singolo, anche ai paesi; che l’Italia sia un paese strano dove può capitare di tutto e di tutto capita, è cosa di solare evidenza. Per dire: due candidati designati dal PD per la carica di presidente della Repubblica, Franco Marini e Romano Prodi, sono impiombati dal PD stesso; cosicché, per non avere un presidente della Repubblica ex democristiano e un presidente del Consiglio che viene dal PCI, ora abbiamo un presidente della Repubblica che viene dal PCI e un presidente del consiglio incaricato ex democristiano. Il presidente Napolitano, nel suo discorso di re-insediamento, ha letteralmente dettato le sue condizioni. Il tono era quello usato da Brenno, quando il capo dei Galli Senoni depone la sua spada sul piatto della bilancia e pronuncia il suo “Vae victis!”. Con la differenza che i romani, a differenza dei parlamentari, almeno non applaudirono trenta volte. Chi scrive non ha remore ad ammettere che non sa spiegare ad amici stranieri quello che accade in Italia. Non lo saprebbe spiegare, del resto, neppure a un italiano, non lo sa spiegare bene neppure a se stesso… Per dire: la giunta della Regione Lazio, guidata da Renata Polverini, viene travolta dopo lo scandalo, denunciato dai radicali, di milioni di euro di denaro pubblico intascato. Ladri, insomma. Cacciati via? No, Polverini ora siede in Parlamento. Quanto all’opposizione, che intascava come chi era in maggioranza, il PD per dare un segno di novità, decide di non ricandidare più gli uscenti; e nega la possibilità ai due radicali che hanno fatto scoppiare il caso, di essere rieletti. Non solo: gli altri consiglieri, quelli del PD che non vedevano, non parlavano, non sentivano (ma intascavano) li hanno disseminati chi alla Camera, chi al Senato, chi sindaco da qualche parte…
E’ il Lazio, direte voi. No, è l’Italia. In Lombardia il vecchio presidente Roberto Formigoni inchiodato da una serie infinita di scandali, ora è senatore. E scandali identici (cambiano solo i nomi) sono scoppiati in Liguria, Basilicata, Puglia, Sicilia… Tutto questo accade perché l’Italia della democrazia è una parola vuota, è più forma che sostanza. Non basta, infatti, che i cittadini votino perché un paese si possa dire democratico. Il banco di prova è costituito dal controllo che si può esercitare sull’operato dei propri rappresentanti. Il controllo sul comportamento dei politici è evanescente, basterebbe riscontrare le entrate ufficiali con il tenore di vita, e chiederne conto. Ma non lo si fa, potenti e prepotenti si credono onnipotenti. Avremo modo di riparlarne.