E’ quasi ironico che solo un paio di settimane fa la stampa americana abbia rivelato come, durante la fase acuta della crisi economica del 2008/09, la Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, abbia stanziato enormi somme di denaro da mettere a disposizione degli istituti di credito in difficoltà al fine di stroncare sul nascere ogni possibile crisi di fiducia nei confronti del sistema creditizio.
L’aspetto ironico é che questi dettagli siono stati resi pubblici mentre in Europa, continua ad imperversare una severissima crisi economico-finanziaria che richiederebbe misure identiche a quelle adottate due anni fa dalla Fed.
Purtroppo, ogni intervento analogo della Banca Centrale Europea sembra essere, al momento, fuori discussione a causa della strenua opposizione della Germania, timorosa che un’iniziativa di questo genere possa compromettere la sua stabilitá economica e possa lasciar presagire, seppur in maniera remota, la possibilitá di un aumento dell’inflazione.
Il problema per i tedeschi é che, in assenza di un deciso intervento della BCE (che per la Germania equivale ad assumersi parte del debito dei paesi piú ’irresponsabili’ come Grecia e Italia) questa crisi non sembra avere facili soluzioni e, se l’intransigenza teutonica dovesse prevalere, Berlino non trarrebbe comunque alcun vantaggio dalla dissoluzione dell’Eurozona e dal conseguente fallimento dell’esperimento della moneta unica.
La difficile situazione economica in cui versano gli Stati Uniti, alle prese con alti livelli di disoccupazione e una crescita asfittica, fa sì che, tra l’opinione pubblica americana, siano in pochi a preoccuparsi piú di tanto di ció che succede sull’altra sponda dell’Atlantico, un atteggiamento questo che ha anche una radice culturale in quel tradizionale isolazionismo che é uno dei retaggi tipici di questo Paese.
Ma se la gravitá della crisi europea non sembra interessare piú di tanto l’americano medio, negli ambienti politici, accademici ed economici la preoccupazione per quanto accade oltreoceano é palpabile. Una preoccupazione che, proprio come in Germania, ha, comprensibilmente, una caratterizzazione molto egoistica.
“Il potenziale collasso economico dell’Eurozona – ha scritto di recente il ’New York Times’ – non dovrebbe avere eccessive ripercussioni sull’attivitá manifatturiera americana poiché il valore delle nostre esportazioni verso Eurolandia equivale solo al 3% di tutto il fatturato economico americano. Piú preoccupanti sono invece le possibili conseguenze in ambito finanziario dal momento che questa crisi potrebbe innescare una nuovo panico globale in grado di mandare in tilt l’intero sistema creditizio mondiale proprio come avenne nel 2008 dopo il collasso di Lehman Brothers”.
Per la stampa americana, il ’cattivo soggetto’ che nel 2012 potrebbe ricoprire in Europa il ruolo svolto in America nel 2008 da Lehman Brothers é l’Italia, vista come ’il gigante dai piedi d’argilla’ in grado di far crollare l’intero edificio europeo e di far ripiombare il mondo in una nuova recessione. Ed é proprio per questo che non passa giorno senza che un nuovo articolo o editoriale sull’evolversi della situazione italiana appaia sulle pagine dei giornali. Gli ultimi bollettini hanno messo in evidenza come l’entusiasmo iniziale degli italiani per la sostituzione di Silvio Berlusconi con Mario Monti e i suoi tecnici cominci ad attenuarsi mettendo in evidenza tutta la gravitá dei problemi di un’Italia che, come ha scritto il ’Boston Globe’ “é afflitta da un invecchiamento della sua popolazione; una produttivitá in declino; alta disoccupazione giovanile; competitivitá in calo e un monumentale debito pubblico.”
Malgrado tutto, ció che preoccupa gli americani piú di ogni altra cosa é la politica italiana con la sua endemica litigiositá e con livelli di corruzione da Terzo Mondo che rendono meno credibile qualsiasi tentativo serio di riforma.Al di lá della situazione italiana tuttavia, la crisi dell’Europa ha assunto in America anche una forte valenza ideologica interna alle dinamiche politiche in vista delle elezioni del 2012.
A prescindere dalla fondatezza dell’argomento infatti, lo schieramento conservatore e tutti i candidati alle primarie repubblicane continuano a descrivere quella europea come una crisi del ’welfare state’ e come il fallimento delle politiche sociali del Vecchio Continente finanziate da una generosa spesa pubblica. Contestualizzare la crisi in questo modo é una mossa molto opportunistica da parte dei Repubblicani in quanto mette in cattiva luce i rivali Democratici le cui basi ideologiche traggono ispirazione proprio dal modello social-democratico europeo.
A ristabilire una lettura piú oggettiva della crisi ci ha pensato di recente il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman il quale, sempre dalle pagine del ’New York Times’, ha evidenziato come a finanziare un generoso ’welfare state’ non siano solo nazioni in crisi come l’Italia, la Grecia e la Spagna ma anche e soprattutto gli stati nordeuropei come la Germania, la Francia, l’Olanda e la Svezia le cui condizioni economiche e i cui conti pubblici sono solidi. “Se la crisi europea é riconducibile alla spesa pubblica come la destra vorrebbe farci credere – ha scritto Krugman – non dovrebbe interessare tutti i paesi che ne fanno un uso generoso piuttosto che solo una parte?"
L’opinione di Krugman é condivisa da molti economisti che, piú accuratamente, attribuiscono i problemi continentali ad un difetto strutturale originario dell’intero progetto europeo: l’adozione di una valuta comune senza la creazione dei meccanismi necessari per una comune politica fiscale. “Gli Usa, l’Inghilterra e il Giappone hanno debiti pubblici e deficit simili o peggiori di quelli di molti Paesi dell’Eurozona – ha continuato Krugman – ma non hanno problemi a finanziarli perché i mercati sanno benissimo che, volendo, questi Paesi possono immediatamente correre ai ripari svalutando la propria moneta, cosa che i Paesi europei, per impegni statutori, non possono fare.”
Che gli americani temano un ’contagio’ proveniente da Oltreoceano, lo dimostra anche il fatto che, di fronte alla riluttanza della Banca Centrale Europea ad agire, alcuni esponenti dei circoli economici americani hanno proposto addirittura un’intervento della Federal Reserve.
Secondo Mark Weisbrot, direttore del Centro for Economic Policy and Research, la Fed agirebbe nel suo interesse e in quello della nazione acquistando il debito pubblico di Paesi come Spagna e Italia: “L’obiettivo principale della banca centrale americana é quello di favorire la piena occupazione negli Stati Uniti – ha dichiarato Weisbrot – e un’azione di questo genere sarebbe pienamente coerente con questo mandato perché la crisi finanziaria europea sta giá rallentando l’economia globale e americana. Un ulteriore deterioramento della situazione avrebbe conseguenze ancora piú serie e occorre agire con urgenza, cosa che la BCE non sembra intenzionata a fare. A cosa serve essere i garanti ad oltranza della stabilitá monetaria dell’euro se ció finisce col provocarne l’estinzione?”.
Questo articolo è stato precedentemente pubblicato sull’appzine L’INDRO ed è disponibile su www.lindro.it