Il Nobel per la Pace, quest’anno, farà molto discutere.
Tra i candidati per il premio conferito dall’Accademia norvegese c’è infatti anche il movimento dei Black Lives Matter, nominato dal parlamentare Petter Eide, che ha motivato la sua scelta dicendo che l’organizzazione sta “portando avanti una nuova consapevolezza sulla giustizia razziale”. E non si è fermato qui. Secondo Eide, Black Lives Matter ha il merito di aver portato avanti l’eredità dei precedenti movimenti di giusitizia razziale, come quello per i Diritti Civili negli Stati Uniti e quello anti-apartheid in Sudafrica.

Non che la sua sia una proposta troppo insolita. Sono già due i precedenti storici di grande valore premiati con il Nobel per questioni di difesa contro le discriminazioni. Martin Luther King lo vinse nel 1964 e Nelson Mandela trent’anni dopo, nel 1993.
Ciò che invece fa storcere il naso a molti americani repubblicani e supporter di Trump è il fatto che un movimento del genere, da loro ritenuto aggressivo e violento, possa essere candidato per ottenere il più alto riconoscimento in materia di pace. È chiaro che il pensiero vada immediatamente alle scene di distruzione che alcuni dei partecipanti alle manifestazioni hanno provocato. Molte le vetrine distrutte e i negozi saccheggiati, tanto che alcuni proprietari di piccoli negozi o supermercati sono stati costretti a barricare i loro ingressi con spranghe e assi di legno.
Così, anche in questo caso, la storia si ripete. “Le stesse argomentazioni – ricorda Eide – sono venute fuori anche 50 anni fa, quando Martin Luther King e i leader sudafricani hanno ricevuto il Premio. Ma non si può usare questo come controargomentazione per dire, ad esempio, che Mandela non lavorasse per la giustizia o la pace”.

La tesi del socialista norvegese, oltre che per ragioni etiche, è anche supportata dai dati. L’ACLED (Armed Conflict Location & Event Data Project) ha pubblicato un report piuttosto interessante sulle proteste negli Stati Uniti dal titolo “Demonstration and political violence in America”. Leggendolo, si scopre una statistica che spiega molte cose. Tra il 24 maggio e il 22 agosto, periodo di clou per il Black Lives Matter, negli USA si sono registrati più di 10.600 eventi dimostrativi e l’80% sono stati collegati al ricordo di George Flyod. Di questi, oltre 10.100, cioè quasi il 95%, hanno coinvolto manifestanti pacifici. È chiaro, dunque, che nonostante gli atti vandalici ci siano stati, non siano altro che una piccola parte estremista che sfrutta qualunque tipo di protesta per esprimere la propria violenza.

Nel frattempo, però, Dalla Novergia arriva anche un invito diametralmente opposto. Christian Tybring-Gjedde, membro del partito conservatore, ha infatti proposto di nominare per lo stesso premio Donald Trump. Tybring non è nuovo a questo tipo di provocazioni ed è lo stesso che, nel 2018, chiese che venisse concesso a Kim Jong-un. Sì, proprio il ditattore nordcoreano conosciuto per molti aspetti del suo carattere, ma non di certo per essere un bonario pacifista. Nel caso di Trump, ha motivato la propria scelta sostenendo di non essere un supporter dell’ex Presidente, ma di credere che “abbia fatto più di tutti gli altri candidati per promuovere la pace nel mondo e il comitato dovrebbe guardare ai fatti, giudicandolo su quelli”.
Per il responso si dovrà attendere fino ad ottobre, quando la Fondazione Nobel annuncerà i vincitori. La competizione è serrata, perché quest’anno saranno in gara oltre 300 candidati. Certo, dovessero vincere proprio quelli di Black Lives Matter sarebbe un bello smacco per chi, sin dall’inizio, li accusa di essere soltanto dei dispotici rivoltosi.
Che la nomina sia arrivata proprio per questo?
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