Mercoledì 6 gennaio Anno Covidis 2021. Dopo una mattinata di lavoro smartabile, verso l’una sono sceso di sotto per pranzare con la famiglia. Ho acceso la TV per vedere le notizie. C’erano i risultati dei runoff in Georgia per l’elezione dei due senatori, ma c’era anche la “cerimonia” della conta dei voti dei grandi elettori al Congresso. E poi c’era anche un terzo evento, che consideravo minore: una dimostrazione in centro a Washington che vedeva protagonisti i sostenitori di Trump chiamati a raccolta dal capone.
Piccola premessa. Le dimostrazioni in centro a Washington per chi vive a DC sono un po’ come quelle di Roma per chi vive nella capitale italiana: i residenti pensano tutti coralmente alla solita rottura di scatole che interferisce col traffico e con la mobilità. Con lo schieramento imponente di polizia che ci sarebbe sicuramente stato, pensavo, la presenza dei trumpisti prometteva di essere quasi una non-notizia. Avrebbero sfilato, lanciato i loro slogan triti e ritriti, qualche manganellata ai più facinorosi magari, e poi via, tutti a casa la sera stessa o il giorno dopo.
Trump è lì che parla sull’Ellisse, il prato antistante la Casa Bianca. Le TV trasmettono le sue parole in diretta. La solita solfa ripetuta mille volte, ma non per questo recitata meno convintamente del solito. Dice che gli hanno ciulato l’elezione, che si tratta di un furto. Snocciola con precisione certosina le solite bufale elettorali inventate di sana pianta, parla di brogli, e poi parla di combattere per avere cosa appartiene a lui e a quelli che sono accorsi ad ascoltarlo. Addita il Congresso come il nemico, e persino il Vice-Presidente Mike Pence è il nemico se non ha le palle di fare quello che va fatto (rubare a Biden la sua elezione in barba a ogni regola). Poi invita i suoi “minions” ad andare là a farsi una passeggiata per farsi valere con la forza. Gli indica anche la strada per il Congresso. Non ricordo se gli ha consigliato di passare da Pennsylvania Avenue o da Constitution.
“Che testa di cazzo” ho pensato. “Meno male che tra poco se ne va”.
Mi sono fatto un caffè e poi sono risalito nel mio studio. Seduto al computer stavo per riprendere il lavoro. Twitter informa che al Congresso hanno preso a contare i voti dei grandi elettori. e poi, a sorpresa, un’altra notizia: qualcuno è entrato nell’edificio, il Congresso è in lockdown. Assurdo, penso. Mi “sintonizzo” su C-SPAN dal computer. Nell’ora che segue vedo sfilarmi davanti immagini surreali di dimostranti dentro il Campidoglio, l’aula viene sgomberata, gente con le bandiere di Trump è dentro il tempio della democrazia americana. C’è anche un tizio “vestito” da sciamano.
“Wow. Com’è possibile?” mi chiedo.
Ad appena sei mesi dalle sommosse per la morte di George Floyd, con polizia e guardia nazionale schierate a difesa di Casa Bianca e monumenti, com’è possibile che addirittura il Congresso si sia trovato sprovvisto di protezione adeguata?
Adesso arriverà la cavalleria, ho pensato. Caleranno decine di soldati armati fino ai denti dagli elicotteri e cacceranno ‘sti sbandati fuori a calci nel culo, con i gas lacrimogeni o anche con qualche mitragliata all’occorrenza.
Ma la cosa non avviene.
La TV fa vedere dei tweet in cui si informa che la Guardia Nazionale di DC non interverrà. Possibile? Qui qualcuno sta organizzando un colpo di stato, penso.
Si parla di un ferito negli scontri, ma le immagini postate da reporter e manifestanti sui social mostrano quella che sembra una scampagnata di trumpiani che girano per il Congresso come fossero turisti in un museo. La polizia è lì tra loro, ma oramai ha rinunciato a contenerli. Un video social mostra un agente che si presta ai selfie coi manifestanti.
Il resto lo sapete. Alla fine intervengono la Guardia Nazionale e la polizia di DC a sgomberare ed inizia il rientro alla normalità.
Telefono ad un amico americano, ex State Department ora in pensione. Chiedo come sia possibile che sia accaduto tutto questo. Com’è possibile che non ci fossero protezioni adeguate davanti al Capitol? Qual’è stato l’intralcio allo schieramento immediato della Guardia Nazionale?
“No Luca, non avevano preparato nessuna difesa particolare. Semplicemente chi doveva organizzare la sicurezza ha pensato che i manifestanti fossero tutti bianchi, e per questo non fosse necessario organizzare difese particolari. Adesso hai visto coi tuoi occhi come funziona questo paese. Se i manifestanti fossero stati, non dico ‘black’, ma anche solo ‘brown’, non sarebbe andata così. Ma erano bianchi e la polizia ci pensa bene prima di sparare ai bianchi.“
Sembra assurdo, eppure gli credo. Ho vissuto in America abbastanza a lungo da aver capito come gira il fumo qui. Il lato oscuro dell’America, ad un tempo pauroso e affascinante. Quello razziale non è uno dei problemi, ma forse “il” problema di questo grande paese.
Nancy Pelosi annuncia che alle 8PM riprendono i lavori per sancire l’elezione di Biden, e rimettere la democrazia USA sul binario da cui era momentaneamente deragliata. Molti senatori e congressmen trumpiani hanno cambiato idea nel frattempo e non faranno più ostruzionismo al riconoscimento del nuovo presidente, una formalità che, storicamente, è sempre stata una specie di cerimonia. Evidentemente, trovarsi rannicchiati sul pavimento con la maschera antigas deve avergli fatto effetto. Hanno capito che il loro “amico” non aveva avuto scrupoli a mandare i suoi emissari a prenderli di persona per dimostrare che comanda lui. Quando hanno temuto per la loro incolumità, tutto gli è apparso improvvisamente chiaro: il mostro che hanno creato non lo controllano più nemmeno loro del GOP.
L’inizio della fine del populismo
Silver lining. La venatura argentata di cui si tingono le nubi quando il sole sta finalmente per riconquistare il cielo in un giorno di tempesta. È l’espressione inglese per esprimere quel male che non necessariamente viene tutto per nuocere, come diremmo in italiano.
Tutto questo casino ha fatto un danno enorme all’immagine dell’America. La potenza che si considera portatrice di valori democratici negli altri paesi, si ritrova i dimostranti in parlamento, prova plastica di una democratica bancarotta.
Eppure, quella narrazione, che pur ha qualche legittimità, può essere anche rivoltata facilmente. La democrazia americana è così forte da riuscire a sopportare anche un vulnus di dimensioni enormi: un presidente golpista che si adopera attivamente per affondare quelle istituzioni che aveva giurato di difendere. Tra dieci giorni, Trump se ne andrà e l’America avrà superato questa crisi uscendone più forte di prima.
Il vaccino anti-populista
Il 2021 sarà ricordato dagli storici come l’anno del vaccino. E non solo perché l’umanità si vaccinerà in massa contro il Covid, ma anche perché ci sarà finalmente la vaccinazione contro il populismo.
Se ci chiediamo come mai gli ultimi dieci anni hanno visto la proliferazione di populismi di varie forme e colori un po’ ovunque, la risposta la trovate anche in un mio articolo di tre anni fa che sta reggendo benissimo la prova del tempo. In esso spiegavo che tanto più è il malcontento, tanto più facile è la proliferazione di teorie assurde per giustificare prima e aizzare poi parti della popolazione contro lo status quo. Se le religioni nell’antichità e le ideologie nei secoli passati avevano bisogno di tempi di fermentazione più lunghi, oggi i social network fungono da catalizzatori. La divulgazione e l’affermazione di teorie balorde di ogni tipo è rapidissima.
Quando le narrazioni buffe sono create artatamente e propagandate in modo attivo, poi, siamo davanti ad un uso militare di strumenti apparentemente innocui che erano stati creati per tutt’altri scopi: i social permettono a chi ha qualche risorsa (Steve Bannon o la Russia di Putin, ad esempio) di manipolare la percezione di milioni di persone.
Tornando a Trump, appena prima delle elezioni avevo provato ad analizzare i motivi “seri” che potrebbero aver portato grosse fette della popolazione a votare per lui. Pur avendo identificato alcune ragioni, ancora si fatica a comprendere l’entità del sostegno per il cazzaro arancione.
Dopotutto, anche gli abitanti del flyover states che lo osannano prendono spesso cifre significative dal governo a sostegno delle loro economie. Anche i più sfigati tra i redneck hanno redditi da decine di migliaia di dollari l’anno, e tutta la birra che vogliono da bere sul patio di case dotate di TV via cavo e aria condizionata. Richard “Bigo” Barnett, il tizio che si è fatto fotografare con i piedi sulla scrivania di Nancy Pelosi in Campidoglio, nel 2020 ha ricevuto $10k in fondi governativi “anti-covid” per la sua aziendina (alla faccia del libertarianesimo). Quelli meno sfigati, poi, sono medici, poliziotti, avvocati e professionisti con redditi significativi.
Se provo a leggere la situazione in un’ottica di analisi storica di lunga durata, è il caso di approfondire l’ipotesi che un paese fondato dai bianchi (e in cui i bianchi sono sempre stati classe egemone) veda indebolirsi questo predominio a favore di razze e culture non bianche, aspetto non apprezzato dai discendenti europei, alla facciazza del tanto decantato melting pot.
Eppure, anche considerando questo, 75 milioni di voti andati a Trump sono tantissimi e quindi ancora non pienamente spiegati con i motivi elencati finora. Tutta quella animosità può essere invece compresa con la presenza di agenti esterni costantemente presenti nella vita di ognuno di loro, e intesi a fomentare la frustrazione, un senso sottile e latente di pericolo, e un sentimento di rivalsa, il tutto in un cocktail micidiale che porta ai cervelli in pappa (compreso quello di amici e parenti) con cui ognuno di noi ha sicuramente interagito molte volte sui social o nella vita reale.
La spiegazione arriva se assegniamo ai social network il ruolo che già avevo identificato nei miei articoli: camere di risonanza in cui i bias cognitivi e le narrazioni buffe divampano incontrollabili come un incendio in un bosco della California durante i periodi torridi.
Il ruolo dei social network
La soluzione è quella che fino a poco tempo fa sarebbe sembrata assurdamente eccessiva. Ripensare ai social e al loro ruolo, e, se serve, rivederne profondamente le regole di utilizzo censurando molto attivamente i contenuti falsi e tendenziosi (per non parlare, ovviamente, di minacce, razzismo e incitamento alla violenza, aspetti su cui i social intervengono già da tempo).
In queste ore Facebook Google, Apple e, soprattutto, Twitter, stanno bannando Trump e quelli della sua galassia che hanno fomentato i fatti di mercoledì dalle rispettive piattaforme. In alcuni casi, mi riferisco a Parler, è l’accesso alle piattaforme stesse che viene precluso. In poche ore, i gestori dei social hanno messo in atto “riforme” che erano competenza dei legislatori, e non certo di quelle che, istituzionalmente, sono solo aziende private e non istituzioni democratiche dello Stato.
Sui social il bias cognitivo può deflagrare indisturbato per arrivare, un secondo dopo, ai dettagli organizzativi di quello che appare come vero e proprio terrorismo paramilitare del tipo visto a Washington il giorno della Befana. In quel caso siamo andati pericolosamente vicini al colpo di stato.
I motivi per cui non si era fatto niente fino a ieri sono presto detti: i valori della democrazia si basano sulla libertà di parola e di pensiero. Di primo acchito, bloccare l’accesso ai social sulla base dei contenuti espressi appare come come un tradimento di quei valori fondanti. Censurare i contenuti social ci è sempre sembrato un comportamento assimilabile a quello dei paesi non democratici, che spesso mettiamo alla berlina sulle TV e sui giornali occidentali riferendoci, ad esempio, a Cina, Russia, Bielorussia, Turchia o anche dell’Ungheria di Orbán.
Ma non è così. Occorre guardare la realtà e rendersi conto che una fetta importante della popolazione non ha le capacità mentali per difendersi dagli “hacker delle menti”. Facendo balenare immagini, parole e idee costruite scientificamente, i maghi della propaganda moderna trasportano le loro vittime in una dimensione virtuale in cui la realtà appare complotto e la teoria complottistica assume la dimensione di verità incontrovertibile. Le conseguenze ultime rischiano di essere drammatiche e indesiderate anche per le vittime dei bias, come l’emergenza Covid mal gestita in USA e il fallito coup d’etat hanno dolorosamente dimostrato.
La scelta improvvisa delle piattaforme social di applicare in maniera rigida le loro regole è stata dettata dalla consapevolezza che quelle piattaforme ricoprono un ruolo abnorme nel processo democratico dei paesi. Con l’avvento del populismo, il ruolo abnorme, e non più contestabile, dei social è evidente anche nel processo anti-democratico, quello che porta i cittadini all’estremo di non riconoscere più l’autorità delle proprie istituzioni e, in alcuni casi, persino a rinnegare i valori fondanti del proprio paese.
In questa situazione, trovo la scelta dei vari Facebook, Twitter, Apple e Google encomiabile. Da aziende private, hanno riconosciuto da sole la necessità di auto-regolamentarsi in un campo in cui, per ignavia o per complicità, i legislatori dei paesi occidentali sono stati colpevolmente latitanti.
Trovo tutto questo molto positivo.