Mercoledì sera a Manhattan, c’è una gran folla alla libreria Rizzoli: la comunità italiana – e non solo – di New York, si è radunata intorno a qualcuno la cui storia di vita non passa inosservata nemmeno tra il fracasso e le luci della Grande Mela.
Stiamo parlando di Roberto Saviano, scrittore, saggista e sceneggiatore italiano. I suoi scritti, tra cui i suoi articoli e il libro che lo ha reso famoso nel mondo, Gomorra, raccontano tramite la letteratura e la comunicazione investigativa la realtà economica degli “affari sporchi” nel territorio della Camorra, come della criminalità organizzata ovunque si trovi.
Saviano è arrivato non per parlare del suo lavoro questa volta, ma per essere testimone della storia di una donna che ha pagato con la propria vita il prezzo della verità.
Daphne Caruana Galizia, 53, era una giornalista e scrittrice maltese impegnata in numerose inchieste ed attiva contro la corruzione del governo di Malta. Il suo blog intitolato Running Commentary, diventato uno dei più popolari dell’isola, presentava principalmente segnalazioni investigative riguardanti irregolarità finanziarie di grandi compagnie private e governi e per cui Daphne doveva anche difendersi per le accuse di calunnia e diffamazione.

16 ottobre, 2017: arriva l’attentato con l’esplosione. Un autobomba posta nella Peugeot 108 presa in affitto poco prima, ha distrutto e spazzato via una donna, una madre. Un rumore di fuoco, per porre un silenzio di ghiaccio.
“Ha pagato la sua posizione con il suo corpo, con la sua vita” ha detto Saviano.
La parola è un rischio, una responsabilità. Questo è ciò a cui Roberto Saviano ha dedicato la sua collana Munizioni (Bompiani) di cui fa parte Dì la verità anche se la tua voce trema, il libro su cui Daphne Caruana Galizia stava lavorando prima di essere uccisa.
“Questo libro è una vendetta contro l’assassinio, è il compimento della vita di Daphne” dice Saviano. “Dire la verità significa anche temere di dirla” sottolinea lo scrittore raccontando del distintivo atteggiamento di Daphne nel riconoscere la paura costante con cui viveva. Da questo, il titolo scelto per il libro.
Durante l’incontro, Saviano si è rivolto alle donne: “Vorrei che questo libro finisse nelle mani di tutte le donne”, dice. “Daphne, con la sua vita ha dimostrato che è possibile far convivere la cura verso i propri sentimenti, verso l’amore, verso i figli, verso il proprio compagno con la presa di posizione. In qualche modo la donna sa con maggiore consapevolezza che se non difende il proprio diritto tramite la conoscenza e la sua possibilità di avere un posto nel mondo, il diritto è perso e quel posto non lo avrà mai”.
Nel ricordare una sua amica e collega, Roberto Saviano racconta della sua vita sotto scorta tra l’Italia e New York, città che lui ha definito “il posto dove scappano tutti”. Troppo sotto i riflettori e le luci mediatiche per essere palcoscenico di ciò che succede al buio. “Qui a Manhattan non ammazzano, c’è troppa attenzione. Eppure qui arrivano tutti, stanno tutti qui, dalle mafie russe a quelle messicane, a quelle calabresi… tutto il mondo degli affari sporchi trova il modo poi di nascondersi a New York”.
Saviano ha equiparato molto la vicenda che ha portato all’assassinio di Daphne, a quella di un altra coraggiosa giornalista, Anna Stepanovna Politkovskaya, che fu poi uccisa nel 2006 con la complicità sospetta del governo di Mosca. “Ma mentre Anna sapeva che l’avrebbero uccisa, lo aveva capito ormai che la volevano eliminare, era pure sopravvissuta ad un avvelenamento… Daphne ha forse pensato che non sarebbero arrivati fino a questo punto a Malta, forse credeva che quello che aveva già scritto l’avrebbe salvata”. Già, Malta, lo ricordiamo un paese dell’Unione europea.

Saviano ha detto che Daphne, che era anche una archeologa, utilizzava nel giornalismo le stesse tecniche della sua precedente professione. “L’archeologo trova dei frammenti e da quelli fa le sue supposizioni, le sue ipotesi, e continua il lavoro, senza sosta fino a che non ha i pezzi mancanti che provano la sua ipotesi. Così faceva lei col giornalismo, trovava le prime prove di una piccola corruzione e intuiva che si trovava difronte ad un fenomeno molto più grande, e non si fermava più nella ricerca della verità… Daphne è stata ammazzata non per quello che aveva già scritto, ma per quello che avrebbe ancora potuto ancora scrivere”.
Saviano racconta che dopo l’omicidio, i cittadini di La Valletta avevano costruito un “memorial” fatto di fiori e lumicini e messaggi nella piazza principale delle capitale maltese, per ricordare Daphne. “Ma il governo maltese (di sinistra, ndr), trovava una scusa dopo l’altra per smontare tutto. I cittadini rifacevano di nuovo il memoriale e il governo ordinava la rimozione… Avevano paura anche del suo ricordo”.

Ad un certo punto, quando è stata la volta delle domande dal pubblico, una signora seduta in sala con accanto il marito, si è rivolta a Saviano dicendo: “Noi siamo cittadini maltesi, e conoscevamo bene Daphne, era stata anche a cena da noi poco prima l’attentato. Volevamo ringraziarla per questo libro. Anche volevamo informarla che a riguardo del monumento spontaneo fatto dalla gente a La Valletta in ricordo di Daphne, poi il governo ha dovuto desistere dal rimuoverlo. Infatti avevamo denunciato alla corte europea che si stava sopprimendo la libertà d’espressione del popolo maltese. Ora i messaggi e i lumi per Daphne non vengono più rimossi”. Un grande applauso è scoppiato nella sala.

La Voce di New York ha chiesto a Saviano cosa sarebbe potuto accadere se invece Daphne avesse lavorato in un “pool” di giornalisti come fecero coloro di varie testate che lavorarono all’inchiesta sui “Panama Papers”: avrebbe potuto salvarle la vita? “So che lei scambiava informazioni con altri giornalisti, però é vero che poi era l’unica che scriveva sulla corruzione del governo a Malta. Certo, aveva delle difficoltà a pubblicare altrove, forse se avesse avuto un pool di giornali dietro, se non avesse avuto così tante difficoltà a poter scrivere e non a dover pubblicare solo nel suo blog, probabilmente chissà, magari…”.
“Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto; è quanto mi hanno dato al posto di un fucile”
– Philip Roth