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Egitto, quando il prezzo di una risata è la repressione della libertà

La storia di Bassem Yousseff, satirico egiziano censurato per il suo programma dall'Egitto di Al-Sisi

Allegra De LorenzobyAllegra De Lorenzo
Egitto, quando il prezzo di una risata è la repressione della libertà

Da sinistra Ahmed Fathi, Bassem Youssef e Sarah Taskler, durante la presentazione del documentario "Tickling Giants" ( Foto— UNCA)

Time: 4 mins read

Il prezzo di una risata è reso chiaro nel documentario Tickling Giants. Al Palazzo dell’ONU, durante un evento organizzato dall’Associazione dei Corrispondenti ONU (UNCA), è stata raccontata la vicenda di Bassem Youssef, una storia che serve da ammonimento. Youssef infatti abbandona la professione di cardiologo nel momento in cui diventano virali, su Youtube nel 2011, i suoi video durante le proteste della “Primavera araba”. Il suo successo sui social media lo lancia e, nel settembre 2011 inizia “Al Bernameg” (The Show), in cui ospita la satira politica più diffusa d’Egitto. Anche se Youssef  sostiene che la metà dei suoi spettatori lo seguono in quel periodo più per sprezzo, la realtà è che il suo show viene seguito da circa 30 milioni di persone per episodio, in un paese di  circa 82 milioni di abitanti.  Ed è soprannominato lo “Jon Stewart dell’Egitto” in riferimento al comico americano che ridicolizza i politici di tutti i livelli, offrendo una ottima dose di umorismo decisamente necessaria in un Paese in piena tregua. Ma la realtà in Egitto è ben diversa, non si applaude la libertà di stampa poiché persiste la repressione e la censura.

Durante la corsa relativamente breve dello spettacolo, Youssef ha l’opportunità di far divertire non meno di tre presidenti egiziani – Mubarak, Morsi e Sisi – mentre il paese vive la Primavera araba. L’intento di Youssef nel suo programma è sempre stato quello di ritenere le autorità responsabili per le loro azioni a prescindere delle loro posizione, ma soprattutto di non essere un portavoce del governo, bensì di aiutare la popolazione a comprendere meglio la situazione politica e sociale del momento. Quindi, una satira intesa come strumento per analizzare le azioni e le bugie del governo.

Il documentario, sotto la meticolosa regia di Sarah Taksler, offre una prospettiva unica su Youssef. Ha iniziato a girarlo a giugno 2012, quando il chirurgo egiziano, che aveva completato la sua prima stagione in televisione egiziana, è apparso sul The Daily Show e gli è stato permesso di trascorrere alcuni giorni osservando la trasmissione a New York. In quei giorni, Taksler affascinata dalla sua storia e dal coraggio di Youseff di mettere in scena un programma di questo tipo in uno stato repressivo, gli chiese di poter fare un documentario sulla sua vicenda. Successivamente, un anno dopo la Taksler si è recata al Cairo per accompagnare Stewart per la sua apparizione al programma di Youssef. Ha fatto, inoltre, delle visite da sola per seguire i progressi di Youssef nelle relazioni con il presidente democraticamente eletto, Mohamed Morsi e nel momento in cui quest’ultimo viene destituito dai militari e sostituito dal generale Abdel Fattah el-Sisi.

A margine della presentazione del documentario all’ONU, c’è stato un Q&A conclusivo moderato da Ahmed Fathi, membro esecutivo dell’UNCA, anche egli giornalista Egiziano che ha lasciato il paese per la repressione subita. In quest’occasione La Voce di New York ha chiesto a Youssef, su cui pende in Egitto una richiesta d’arresto, se si fosse sentito tradito dagli Stati Uniti. Nel gennaio del 2010 infatti un discorso di Hillary Clinton, al NewsMuseum di Washington, identificava la Tunisia e l’Egitto come Stati ad alto rischio di sopprimere la libertà di espressione on-line, e l’allora Segretaria di Stato di Obama intimò ai dittatori Ben Alì e Mubarak di rilasciare i blogger arrestati e non ostruire la libera circolazione dell’informazione in rete. Quella minaccia americana costrinse i regimi di Tunisia e Egitto, dipendenti dagli aiuti USA, a mollare la presa sui controlli e arresti dei blogger e degli operatori dell’informazione libera, ponendo le basi per la rivolta della Primavera araba. Una minaccia simile, però, non fu confermata per l’Egitto, dopo la defenestrazione del presidente Morsi (eletto con elezioni democratiche) e l’arrivo del generale Al-Sisi. Ma per Youssef, però, non è così: “L’intervento degli Stati Uniti ci avrebbe danneggiato più che aiutato – ha risposto – perché avrebbe dato l’impressione che la voce della popolazione egiziana venisse ancora una volta soppressa”.

Tickling Giants ha la capacità di ricordare ai comici televisivi del mondo occidentale quanto siano fortunati a vivere in Paesi in cui fare satira non significa mettere a rischio la propria vita. Eppure, non è questo il solo scopo del documentario. Come ha spiegato Taksler nel Q&A conclusivo, il documentario evidenzia anche che il problema è, in realtà, è globale. Per riuscire, dunque, a sostenere la libertà di espressione bisogna trovare modi creativi e non violenti per rendere la proprio voce forte e articolata. Youssef aggiunge che la sua storia e il suo caso, seppur unici, siano ripetuti in molti altri luoghi nel mondo. Il documentario, infatti, non si focalizza sulla questioni politico-sociali egiziane, ma sul caso di Youssef come esempio: i media, e la satira politica in questo caso, permettono infatti di riflettere in modo critico sul mondo, anche se a loro viene spesso negata l’opportunità di avere una voce. Secondo le statistiche della CPJ, del resto, sono 30 i giornalisti che  vedono la loro libertà d’espressione messa a repentaglio quotidianamente, in tutto il mondo. Taksler ha anche aggiunto che a seguito dell’elezione di Trump, e in particolare, per come i media hanno affrontato la corsa presidenziale, sente la vicenda ancora più vicina e in molti aspetti simile anche agli Stati Uniti. Il documentario si concentra sull’Egitto ma l’Egitto è solo uno dei tanti casi che affligge il mondo, perché vicende simili avvengono anche in molte società ritenute democratiche.

L’incontro si è chiuso con una domanda a Youseff, che oggi vive a Los Angeles dopo essersi stabilito a Boston, dove ha insegnato ad Harvard: “Vista ad oggi la situazione, avresti fatto le cose diversamente? La sua risposta è stata pronta e sicura: “No, non avrei cambiato assolutamente nulla”. Né su quanto deciso in passato, né su quanto pensa del futuro: Youseff infatti non ha perso la speranza per il suo Egitto e il programma della sua vita quotidiana è ricco di impegni legati al Paese in cui ha trovato se stesso. Oltre all’insegnamento, infatti, partecipa a conferenze, presentazioni del suo libro e viaggi di promozione del documentario. Quel documentario capace di regalare al pubblico un profilo accurato della storia di Youssef, come nessuno aveva mai fatto prima.

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Allegra De Lorenzo

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