Caro Direttore,
Seguo con simpatia La Voce di New York, mi piace il suo voler essere e farsi “ponte” tra due Paesi così diversi. I ponti mi hanno sempre affascinato, fin da bambino, forse per la vertigine di poter connettere ciò che connesso non sarebbe, o magari solo per la sfida della grande impresa che è il costruirli. Mi piacciono i ponti antichi, quelli Romani in legno sul Reno e in Inghilterra, e quelli in pietra dei grandi acquedotti, come Mérida o Nîmes. Mi piacciono i ponti moderni, il Golden Gate, che ho percorso in bicicletta, e la meraviglia ingegneristica che connette Copenhagen a Malmö. Passare un ponte è sperimentare la soglia, la discontinuità, il passaggio; quel brivido che sentiamo tutti attraversando il Bosforo. I ponti sono ottime metafore: il Papa invita a costruirne invece di ergere muri, il ponte è abbraccio invece che separazione. Pescando dai miei piccoli ricordi, si chiamava “Mind the Bridge” una bella iniziativa dell’Ambasciata Americana in Italia che qualche anno fa connetteva giovani startup come la mia con la Silicon Valley. Ponti culturali, flussi di conoscenza, scambio tra identità diverse.
“Il Ponte” è anche il nome della rivista fondata nel 1945 da Piero Calamandrei, e ancora oggi pubblicata. Chissà se il concetto di essere “ponte” lo abbiano o meno smarrito negli anni, fatto sta che la rivista si è schierata per il no al Referendum Costituzionale del prossimo 4 Dicembre. Come è schierata per il no la grandissima maggioranza del ceto politico, buona parte del mondo della cultura, e molti giornalisti. Mi pare invece schierata per il Si la maggior parte del mondo produttivo, di chi cerca con il proprio lavoro e la propria fatica di far ripartire questo paese ormai da molto tempo in continuo impoverimento. Una lunga fase di declino in cui chi ha potuto ha cercato di attaccarsi mani e piedi a piccole o grandi rendite, a residui privilegi comunque in estinzione, a anche solo alla nostalgia per un mondo che non c’è più. Questo è quello che vedo io, e capirai da queste mie parole da che parte sto.
Sono certo che tu conosci bene lo scenario che ho appena descritto; chi sta all’estero percepisce chiaramente il conservatorismo profondo del nostro paese, le infinite occasioni perse, la difficoltà a immaginarci proiettati in un futuro migliore. Sono stato di recente a Washington, in occasione di un riconoscimento assegnato al SuperOp, il nostro prodotto più innovativo; pochi giorni negli Stati Uniti mi sono bastati per ricordarmi quanto sia energizzante e motivante percepire fisicamente nel mondo attorno la capacità di guardare positivamente al futuro, di saperlo pensare e costruire assieme come società. E questo nonostante le forti divisioni politiche, in questi giorni pre-elettorali particolarmente accentuate anche in America. Non è naturalmente un caso che siamo stati premiati proprio negli USA, dove l’innovazione e l’iniziativa sono riconosciute, valorizzate, prese ad esempio.
Tutto questo per dirti che mi stupisce molto trovare sul tuo giornale, che collega la bellezza a quanto di buono è utile c’è nel modello americano, una lunga, univoca lista di articoli per il no: “Le Ragioni di un no”, “Serve un no”, “L’attacco di Renzi alla democrazia”… unico controcanto per il SI, un titolo ancora più vecchio: “Turandoci il naso votiamo SI”. Dal mio punto di vista, stai dando voce solo alla pancia conservatrice del paese, quella che si nasconde dietro argomentate analisi, si appunta magari qualche etichetta “progressista”, ma ha poi paura di ogni cambiamento reale. Quella che realmente solo cerca la rassicurante conferma che tutto resti uguale, per potersi raccontare ancora di mille futuri doverosi cambiamenti, e poi struggersi rassegnata o compiaciuta di un’altra tragico, splendido fallimento. Stai dando tutto lo spazio a una cultura sofisticata, retoricamente affascinante, e vuota di azione, già co-protagonista degli ultimi nostri fantastici decenni.
Ho vissuto in Inghilterra, lavorato per multinazionali americane, fatto la spola tra Chicago, New York e Milano per diversi anni, so bene cosa mi piace e non piace della cultura anglosassone. Così come so che il SI a questo referendum serve profondamente all’Italia: rappresenta prima di ogni altra cosa lo specchio in cui possiamo rifletterci come finalmente capaci di cambiamento. E questo già basterebbe per un giornale come il tuo per mantenere almeno l’equilibrio. Ma aggiungo, come ignorare che questo SI è anche una concreta e corretta risposta all’esigenza di efficienza del nostro Paese? Un Paese ancora grande, che deve affrontare le sfide dei propri tempi, non quelli del secolo scorso? I cui limiti sistemici sono stati identificati, elencati, discussi a sfinimento, e sulle cui soluzioni proposte in questa riforma c’è stato fino a pochi mesi fa ampissimo consenso nel paese e tra le forze politiche? E’ una riforma che migliora il Paese, e non possiamo lasciarcela portare via dal populismo, dalle piccole convenienze e dalle paure irrazionali. Mi auguro non succederà.
Maurizio Binello, Ingegnere, genovese di nascita, è stato al centro dello sviluppo vertiginoso di Internet in Europa, prima come responsabile tecnico al London Internet Exchange, e poi come costruttore seriale di grandi reti di comunicazione. Rientrato in Italia, è ora Amministratore e Responsabile Tecnico di Wellness & Wireless, società la cui missione è l’uso della tecnologia al servizio dell’uomo e del suo benessere.
La Voce non è un giornale con la “linea” dettata dall’alto
Caro Maurizio Binello,
Ti ringrazio molto per la tua lettera perché ci offre l’occasione per chiarire nuovamente, soprattutto ai lettori in Italia, come la Voce di New York sia un giornale diverso da quelli italiani, nonostante sia in lingua italiana. La tua premessa è vera: riguardo al prossimo referendum costituzionale in Italia, su La Voce la stragrande maggioranza degli interventi dei nostri “columnist” sono stati finora a favore del “no”. Però incorri in un equivoco quando scrivi “Dal mio punto di vista, stai dando voce solo alla pancia conservatrice del paese… Stai dando tutto lo spazio a una cultura sofisticata, retoricamente affascinante, e vuota di azione, già co-protagonista degli ultimi nostri fantastici decenni…”
Il nostro è un giornale americano, dove i “columnist”, che sono gli opinionisti, sono stati scelti dalla direzione. Ma il direttore non si permetterebbe mai di influenzarne le opinioni che man mano sviluppano nel proseguimento della collaborazione. La Voce, nella scelta dei columnist, non ha mai cercato la cosiddetta “omogeneità” culturale o ideologica per supportare una supposta “linea editoriale” imposta dall’alto, cioè da un editore schierato per interessi nascosti e servile a un partito o altri poteri. Essere editori di se stessi per fortuna ci mantiene ben protetti da questo pericolo. Al contrario, dai nostri columnist si pretende di avere solo un valore in comune: l’indipendenza. Le opinioni che esprimeranno nel nostro giornale sono personali e frutto della loro competenza professionale e/o esperienza intellettuale, non dettate da altri interessi nascosti. I nostri opinionisti li vogliamo anche, per formazione e idee, diversi tra loro, quindi con tendenze – se vogliamo indicarle ancora così – di sinistra, centro e destra equamente rappresentate.
Chiarito questo, il direttore della Voce non chiede al columnist di scrivere un articolo a favore o contro qualcosa. Al massimo può ogni tanto chiedergli di occuparsi di un determinato argomento. Ma cosa poi il columnist scriverà e che opinione avrà, questo resta nella sua completa libertà. Sul fatto che tra i nostri columnist la maggior parte per ora abbia deciso di scrivere sul referendum commenti a favore del “no” e contro il “si”, la direzione non ha alcun controllo. Il direttore quindi non dà “solo” spazio all’opinionista che segue la “linea” e non pubblica l’opinione che gli va contro. Anche perché come unica “linea”, se così possiamo chiamarla, La Voce offre ai lettori la trasparenza e indipendenza delle posizioni dei propri opinionisti. Questo, almeno in America, è giornalismo indipendente. Noi speriamo che gli oltre 140 mila lettori che ci seguono, moltissimi dall’Italia, apprezzino questo metodo americano di interpretare il giornalismo, che in democrazia risulta molto utile.
Detto questo, anche chi scrive avrebbe voluto che le “ragioni del sì” fossero più rappresentate su La Voce. Ma non potendo appunto “dettare la linea” ai miei columnist, posso solo sperare in interventi di altri columnist o esterni. Bene, finora non è stato affatto semplice trovarne, tra politologi ed esperti, coloro che potessero contribuire al dibattito da una posizione altrettanto indipendente. Quindi colgo l’occasione di questa lettera per incitare all’intervento sul referendum.
La Voce è un giornale libero, e dà spazio a chi ha delle idee e sa esporle in maniera chiara e soprattutto indipendente. Ovviamente sarebbe facile trovare il politico di turno pronto a scrivere per il sì, ma questo tipo di opinione, che seppur in qualche occasione ospiteremmo, è ben diversa da quella di un libero intellettuale.
Per quanto riguarda poi l’opinione della direzione del giornale: da qualche mese sto cercando di capire meglio la proposta di riforma costituzionale. Capisco le ragioni del cambiamento. L’Italia ha bisogno di modifiche anche costituzionali che possano limitare il potere di un datato apparato burocratico che ne arresta lo sviluppo. Ma finora la riforma proposta dal governo di Matteo Renzi, soprattuto nel metodo oltre che nella sostanza, mi ha lasciato intatti i dubbi e le riserve. Non desisto e continuerò a leggere e informarmi e cercherò ancora di capire. Non nascondo il fatto che la mia opinione continui a tendere verso il no, perché reputo qualunque riforma costituzionale un momento veramente speciale e unico per una nazione, un passaggio delicato e non mi è piaciuto come sia avvenuto in questo Parlamento e con questo governo. Un Parlamento che, bisogna ricordarlo, è stato eletto da una legge ritenuta incostituzionale e che ha un governo il cui premier non ha mai affrontato ancora una elezione nazionale. Sarò qui forse all'”antica”, ma nel portare avanti delle riforme costituzionali, almeno in democrazia, il rispetto della forma deve avere tanto valore quanto il raggiungimento della sostanza.
Alla fine prenderò la mia decisione su come votare, in maniera indipendente, e questo mio voto di cittadino italiano all’estero lo farò conoscere ai lettori de La Voce. Non per convincerli a votare come me, ma per informarli perché il direttore del giornale che seguono e apprezzano, ha deciso di votare come o diversamente da loro.
Spero che anche tu, caro Maurizio Binello, esponente di una categoria di imprenditori che deve poter continuare a costruire un futuro per l’Italia, resterai ancora tra coloro che leggono La Voce di New York proprio grazie a questo suo spirito indipendente. Dove appunto Liberty Meets Beauty.
Stefano Vaccara