In un periodo di generalizzate incertezze anche la libertà di stampa continua a traballare. Dopo gli episodi egiziani e l’attentato all’aeroporto di Istanbul, l’attenzione delle agenzie stampa rimane in Turchia dove da lunedì 20 giugno continua il caso relativo all’arresto di Erol Önderoğlu, rappresentante turco del gruppo Reporters Without Borders, del giornalista Ahmet Nesin e della presidente della Fondazione Turca per i Diritti Umani Şebnem Korur Fincancı. I tre sono stati arrestati con l’accusa di alimentare la propaganda al Partito dei Lavoratori Curdi (PKK), considerato dal governo turco come gruppo terroristico, tramite il giornale Özgür Gündem. Recentemente infatti, il giornale ha dato ampia rilevanza ai conflitti tra i giovani Curdi e le forza di sicurezza verificatisi durante la seconda metà di maggio nel sud est del paese. Gli incarcerati fanno parte di un gruppo di 44 persone, tra giornalisti e attivisti, che dal 3 maggio scorso collabora a rotazione alla produzione di materiale editoriale filocurdo come atto simbolico di protesta e ribellione verso i molteplici attacchi che il giornale e i suoi dipendenti hanno ricevuto da parte delle autorità. Nelle giornate seguenti all’arresto il Ministero ha interrogato altre quattro persone sospettate di contribuire alla propaganda. Il giornalista Ertuğrul Mavioğlu e il News Editor di Özgür Gündem İnan Kızılkaya saranno processati il 29 settembre con le accuse di “provocare apertamente il popolo a commettere crimini”, “supportare crimini e criminali” e “alimentare la propaganda a favore di un’organizzazione terroristica”. Önderoğlu e Nesin sono stati rilasciati con condizionale il 30 giugno, dopo 10 giorni di reclusione, mentre Fincanci è al momento ancora detenuta. Il Segretario Generale di Reporters Without Borders ha commentato il fatto affermando che i due uomini “non avrebbero dovuto passare un solo giorno in prigione. Questo caso è solo l’inizio e la nostra campagna a favore della libertà di stampa proseguirà”.
L’arresto dei tre giornalisti è subito stato interpretato come un messaggio chiaro e inequivocabile inviato dal governo di Erdogan a tutti i giornalisti turchi e ai difensori dei diritti umani. Usando le parole di Johann Bihr , capo della sezione dell’Europa dell’Est e Asia Centrale di RSF, “imprigionare un giornalista conosciuto a livello mondiale per il suo impegno nel campo dei diritti umani è un segnale di intimidazione per tutta la categoria professionale. Siamo davanti ad un nuovo attacco contro la già bassa libertà di stampa in Turchia”. Una piccola folla si era inoltre radunata in questi giorni intorno alla prigione di Metris, dove i tre uomini sono stati detenuti, per chiedere la loro liberazione. Tra di essi figuravano rappresentanti di numerose associazioni come, tra le altre, l’Unione dei Giornalisti turchi, la Piattaforma per il Giornalismo Indipendente, la Federazione Internazionale per i Diritti Umani, il Network per il Giornalismo Etico (EJN) e Amnesty International.
La comunità internazionale si è inoltre mobilitata per ottenere il rilascio dei detenuti anche attraverso la diplomazia. In data 21 giugno, infatti, il Segretario Generale delle Nazioni Unite si è incontrato con i portavoce di Reporters Without Borders a New York. Ban Ki-Moon ha espresso grande preoccupazione riguardo a quanto accaduto ed ha ringraziato i membri di RSF per i loro coraggiosi sforzi verso la protezione della libertà di stampa e di espressione. Sulla stessa linea di pensiero si sono posti Cristophe Deloire, Segretario Generale di RSF, il Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz e Dunja Mijatović, portavoce per la libertà di stampa dell’Organizzazione Europea per la Sicurezza e la Cooperazione (OSCE). Federica Mogherini ha poi dichiarato : “Gli arresti contrastano con l’impegno preso dalla Turchia verso il rispetto dei diritti umani. L’Unione Europea ha più volte ripetuto che il paese, in quanto candidato ad entrare nel gruppo dei 28 (o forse, ora, 27?) deve puntare a raggiungere un più alto livello di democrazia, sia da un punto di vista legale che pratico”.
Durante il loro periodo di reclusione Önderoglu e Nesin hanno rilasciato dal carcere diverse lettere in cui esprimono una forte determinazione nel continuare la lotta per la difesa della libertà d’espressione. Önderoglu, ad esempio, ha affermato in una di queste: “In Turchia i giornalisti ed i membri dell’opposizione sono stati perseguitati sotto vari governi ma, durante gli ultimi anni, le accuse si sono moltiplicate e ora affliggono tutti i settori esterni alla politica”. Nesin, invece, ha portato avanti una riflessione sulla democrazia dichiarando che “al giorno d’oggi è più semplice stare in prigione che in un paese che non rispetta i diritti fondamentali dell’uomo. […] Coloro che pensano che la democrazia consista soltanto nelle elezioni, e che essere eletti autorizzi a monopolizzare il potere eliminando ogni forma di opposizione, non sanno cosa sia in realtà la democrazia e non sono nemmeno interessati a scoprirlo. Vanno perdonati per la loro ignoranza”. Qui i testi completi delle lettere.
La Turchia occupa al momento il 151esimo posto su 180 nella classifica della Libertà di Stampa stilata da Reporters Without Borders e, stando all’ultimo censimento condotto dalla Committee to Protect Journalists, nel 2015 il paese contava almeno 14 giornalisti incarcerati. Il clima in Turchia non è quindi dei migliori dato che al palese tentativo di repressione della libertà di parola di cui abbiamo appena parlato si aggiunge l’attentato che il 28 giugno ha avuto luogo presso l’aeroporto di Ataturk (il principale di Istanbul) ed ha causato la morte di 44 persone, tra cui uno dei responsabili della strage. Nonostante le numerose affinità tra questo attacco e quelli precedentemente portati avanti dall’ISIS, al momento l’organizzazione terroristica non ha ancora rivendicato l’accaduto.