Da anni c’è qualche malumore, nelle città con comunità musulmane di dimensioni significative, per l’espandersi di sistemi giudiziari paralleli o alternativi a quello dello stato, basati sul dettato coranico. Talvolta clandestini, talaltra tollerati, in alcuni contesti giuridici sono ora considerati legittima espressione del credo religioso e quindi costituzionalmente tutelati. Va avvertito che il giudizio “nel nome di Dio” non è cosa nuova. Gesù fu condannato alla croce come bestemmiatore ed empio, mentre per il diritto romano risultava privo di carichi penali. Galileo, Cagliostro, Bruno e innumerevoli altri furono vittime della condanna dei canoni. I monoteismi tendono a giudicare per conto di Dio.
Fanno scandalo, in Europa, notizie che arrivano dal tollerante nord, Scandinavia e Germania, e soprattutto Gran Bretagna. Lo scorso anno è circolato il rapporto indipendente commissionato dal comune di Rotherham, Inghilterra settentrionale, 120.000 abitanti: parlava di ben 1.400 minorenni, in particolare ragazzine inglesi dagli 11 ai 16 anni che, tra il 1997 e il 2014 sono state rapite, violentate, stuprate in gruppo, talvolta anche rivendute, all’interno di abitudini etnico culturali della comunità islamica colà stanziata (pachistani, irakeni, kosovari). Tutto nella colpevole complicità di poliziotti, comune, giudici locali, a conoscenza dei fatti, ma preda del complesso dell’ex colonialista timoroso di finire nell’elenco dei razzisti etnici. Con detto complesso era stato già spiegato l’atteggiamento delle autorità di Birmingham che, mesi prima, avevano subito il tentativo di islamizzazione i programmi di intere scuole pubbliche.
C’è chi teme che certi comportamenti possano trarre vantaggio dal funzionamento di corti a natura etnico-religiosa (tra Inghilterra e Galles se ne contano almeno 85, che risolvono conflitti in particolare legati alle dinamiche famigliari) ispirate alla tradizione giuridica dei paesi a maggioranza islamica, piuttosto lontana dal diritto affermatosi nel vecchio continente. Dopo aver lottato più di un millennio per la laicità dello stato verso le istituzioni giuridiche cristiane, l’Europa, nel segno della diversità culturale e religiosa, lascerebbe crescere zone dove il diritto è “altro” da quello dello stato, con cittadini “diversi” sottratti, in talune materie, a common law e diritti fondamentali. Si vanno accumulando decine di migliaia di sentenze, così emesse, che producono effetti in materia di poligamia e mutilazioni genitali, ripudio della moglie, violenze domestiche, matrimoni misti, affidamento dei figli, eredità, pene corporali, pattugliamenti moralizzatori. C’è chi si chiede se così facendo non si dia vita a ghetti giuridici se non a uno stato nello stato.
A molte di queste domande risponde il libro di Gabriele Mele, L’eperienza delle Shari’a Courts nel Regno Unito, appena uscito da Intermedia Edizioni. Il giovane studioso, un venticinquenne ben ferrato nel diritto islamico, spiega che la legittimità delle corti deriva dall’Arbitration Act del 1996: alle loro pronunce, dal settembre 2008, viene riconosciuto valore giuridico. E spiega, sulla base di una colta messe di citazioni, rinvii ed esemplificazioni, anche esterne al territorio britannico, come, alla base dell’accettazione di quegli arbitrati, ci sia una precisa ideologia: è cosa possibile e buona l’edificazione di un nuovo costituzionalismo basato sul principio della democrazia interculturale.
La posizione risulta accettabile, se non auspicabile, purché si tenga diritta la barra sul fatto che vi sono diritti inalienabili della specie umana che appartengono al jus gentium, e che dalla loro osservanza non si può mai prescindere, non essendovi diversità culturale che possa giustificarne la violazione. In Italia solo qualche decennio fa il codice tollerava il “delitto d’onore”, i “padri padrone”, e altre delizie, in base all’ideologia della multiculturalità. Le radici culturali possono spiegare certi comportamenti, e difatti tutti i codici le prevedono come “attenuante” in caso di violazione delle leggi vigenti. Non possono invece sostituirsi al codice. Gli esseri umani, con il diritto di tutti ad esistere come eguali, a proporsi una vita libera e degna, verranno sempre prima di ogni proclamato “diritto” culturale o religioso.