Credo che il primo problema epistemologico che mi sono posto (ero ragazzo e non avevo idea che fosse un problema epistemologico) sia stato quello di come smascherare i falsi profeti e l’anticristo. Come accorgermi, in altre parole, se una promessa di verità o di salvezza fosse in realtà una menzogna. Non con l’evidenza: anche i falsi cristi, spiegò Gesù parlando degli avvenimenti che precederanno l’apocalisse, “faranno segni e prodigi” in grado di persuadere gli stessi eletti.
La mia soluzione fu perciò opposta: il dubbio. Dubitare a oltranza, resistendo alle lusinghe del maestro di inganni, Satana. Perché alla fine la verità sarebbe emersa come residuo, come ciò che mi sarebbe stato impossibile negare, neanche volendolo e neanche persistendo nel rifiuto delle apparenze.
Una concezione ingenua che mi è tornata in mente riflettendo sul grado di manipolazione e disinformazione praticato dai media: con pochissime eccezioni sono ormai una macchina di pubblicità, propaganda e nel caso migliore finzione; una macchina davvero diabolica, nel senso etimologico di “mettere di traverso”, ”calunniare”. Come contrastarla?
Impossibile verificare e confutare ogni affermazione dei media: sono un apparato immenso, potentissimo, ricchissimo. E anche se in un caso o due si riuscisse a dimostrare un’imprecisione o una falsificazione, la denuncia verrebbe boicottata o comunque si perderebbe nell’oceano di informazioni fornite ogni giorno, ogni ora. Servirebbero organi pubblici di vigilanza; soprattutto servirebbero leggi che impedissero la concentrazione delle testate: ogni giornale, ogni canale televisivo, dovrebbe essere interamente autonomo e avere una diffusione solo locale; oppure essere di proprietà dello stato, della comunità.
Impossibile, nell’età del liberismo e dell’individualismo. Nell’attesa della sua fine, non resta che la sfiducia. Non credere a nulla di quello che i media dicono. Tanto, se hanno interesse a mentire e a contraddirsi, si contraddicono e mentono senza ritegno; se non ce l’hanno, comunque selezionano solo alcune notizie, e nel farlo antepongono il proprio tornaconto e la propria ideologia alla realtà. Il gossip non è nelle cose: è creato dai media. Così le paure, le emozioni, le celebrity: tutto a telecomando.
Qualche settimana fa Ebola stava per annientare l’Occidente, una nuova peste nera: sui giornali e telegiornali non si parlava d’altro e la gente, o almeno gli psicolabili che ne costituiscono una parte, reagiva di conseguenza. Ci sono state donne cacciate dagli autobus perché erano o sembravano africane: da italiani che si credono per bene ma in cui il pregiudizio si mescolava al terrore in una miscela che ricordava da vicino quella descritta da Manzoni nella Storia della colonna infame – un testo che non si fa leggere più a scuola per evitare che, come i classici in generale, possa aprire le menti dei giovani e rischi di allontanarli dal conformismo e consumismo a cui li preparano i nuovi media del neocapitalismo.
Nessuno più ne parla, di Ebola: ovviamente continua a esserci, come c’era prima, nei decenni in cui la si era lasciata indisturbata perché fuori dell’occhio di CNN. È semplicemente tornata a essere un virus letale, che uccide chi lo contrae, soprattutto se non ha i mezzi per curarsi; però ha smesso di essere uno show, un reality dell’orrore utile per distrarre gli occidentali dalla sottile ma più concreta angoscia di un futuro senza bellezza e senza solidarietà, un futuro dominato dell’avidità di pochi miliardari e delle loro corporation. Ecco, credo che tre o quattro settimane, diciamo un mese, siano un filtro sufficiente: nel senso che quando sono trascorse, gli eventi smettono di essere spettacolo e cominciano a essere analizzati con qualche oggettività, per stanchezza, disattenzione o disinteresse dei grandi manipolatori e dei loro padroni.
Il problema è che dopo un mese è spesso impossibile trovare traccia degli eventi stessi, anche di quelli che al momento della loro apparizione fra le breaking news fossero stati annunciati come catastrofici o epocali. E io invece voglio sapere quello che la gente crede che stia accadendo. Per cui leggo i quotidiani, ascolto i telegiornali, frequento assiduamente il web. Ma non presto alcuna fede a quello che dicono. Se sono informazioni vere, dureranno nel tempo ed emergeranno anche nella realtà della mia vita, nell’autenticità delle mie relazioni, nei racconti degli amici. Altrimenti resteranno astrazioni: forse vere, forse false. Non ha davvero importanza: perché se davvero fossero importanti non riuscirei a evitarne l’impatto. Finché posso, dubito: e con il dubbio resisto ai falsi profeti, maestri d’inganno, nemici del bene.
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