Dicono: fare il giornalista è meglio che lavorare. Si dice, a volte magari è vero. Ma poi accade che una quantitàdi giornalisti muoiono perchè vogliono assicurare una notizia, una fotografia che racconti una guerra, una rivoluzione…era un giornalista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra. Era un giornalista Pippo Fava, ucciso dalla mafia. Erano un giornalista Mauro Rostagno, Mario Francese e Mauro De Mauro, anche loro uccisi da Cosa Nostra. Erano giornalisti quelli uccisi dal terrorismo, nero o rosso che fosse. E quanti per difetto di memoria ne dimentico.
Oppure può capitare di finire in galera. Perchè non si vuole rivelare la fonte che ha dato certe notizie, certe informazioni. Perchè si viene querelati per diffamazione e condannati, anche se poi la notizia data è vera. Si può finire in galera anche se si ha 79 anni, come nel caso di Francesco Cangemi, direttore di un giornale calabrese che pubblicava notizie che non si voleva fossero conosciute, pubblicate. E dai e dai, alla fine…
“E’ grottesco. Se non fosse una cosa drammatica, per certi versi ci sarebbe da riderci su. Probabilmente chi sta oltre i confini dell’Italia, nel vedere quello che sta accadendo a mio padre, si fa una risata”,
dice Maurizio, figlio di Francesco, anche lui giornalista. Una bella risata amara. Che con i suoi articoli Cangemi abbia diffamato, si può discutere. Meno opinabile avergli chiesto di tradire la fonte e punirlo perché non lo fa. E che non si sia ritenuto di risparmiare il carcere a un 79enne è cosa difficilmente concepibile per qualsiasi ordinamento democratico. Incredibile comunque che non si sia voluto trovare un modo alternativo, diverso dal carcere, per scontare la pena. Ci sono fior di farabutti con meno di 79 anni, ai domiciliari. Cangemi no, per lui c'e la cella…
Strano paese il nostro. Se si va indietro nel tempo, non mancano episodi che hanno fatto scalpore. Giovannino Guareschi, l’autore della saga di Peppone e don Camillo, querelato da Alcide De Gasperi, condannato a 12 mesi di carcere in primo grado, rinuncia all’appello e sconta tutta intera la pena. Ne esce schiantato, e muore sessantenne a Cervia, stroncato da un infarto. Non meno clamorosi altri episodi a noi più vicini: Fabio Isman, del “Messaggero”, patisce una lunga carcerazione preventiva, per non aver rivelato le sue fonti; Saverio Lodato e Attilio Bolzoni, dell’"Unità" e di "Repubblica" sono accusati addirittura di peculato: avevano pubblicato le notizie di cui erano entrati in possesso e non avevano rivelato chi gliele aveva date. Una lunga catena di denunce e processi, segna la vita del "Male", mitico settimanale di satira. Oggi considerato un classico, all’epoca almeno due suoi direttori finirono in carcere: lo so bene, uno dei due ero io. In pochi mesi ho cumulato querele e denunce che quando guardavo il certificato dei carichi pendenti sembravo Al Capone redivivo… E poi i casi di Lino Iannuzzi, Giorgio Mulé, Alessandro Sallusti, per citarne alcuni: a testimonianza di come sia tormentato il rapporto tra stampa e magistratura. Perché non è sempre vero come si dice che fare il giornalista è meglio che lavorare…
79 anni in carcere per non aver rivelato la fonte, La chiamano giustizia.