Bene, evviva! Comincia l'avventura con La Voce di New York. Il bastone del comando è nelle mani di Stefano Vaccara e come primo atto di imperio ha incastrato il sottoscritto, che adesso è uno dei complici di questa avventura. Stefano è uno che con la lingua italiana ha un rapporto felicemente cordiale e nelle sue vene scorre il giornalismo al ritmo del traffico di New York, al ritmo del "never sleep". La Voce è un giornale americano, precisa Stefano per aggrapparsi alla Costituzione americana che garantisce la libertà di stampa. Siccome però il concetto "stampa" si estende anche al giornalismo parlato, ecco che il comandante si diverte a giocare proprio sul suo cognome.
Nella sua patria Sicilia e nella sua casa Mazara del Vallo, il cognome di Stefano era Vaccàra, piano. Ma adesso che La Voce appare anche in un telegiornale che trasmette nel web, il cognome di Stefano è Vàccara, sdrucciolo, come sono molte delle parole della lingua inglese. Anche nel giornale parlato di Repubblica c'è una signora di nome Laura Pertici che quando legge un testo a volte scivola, rendendo piane le parole sdrucciole e sdrucciole le parole piane. Lei però ha bellissimi occhi azzurri. Stefano invece… lasciamo perdere. Ma lui può vantare che il fatto da cui è scaturita la nascita della Voce somiglia molto a ciò che un po' di anni fa accadde qualcosa che ebbe a che fare il più acuto del "grande triangolo" del giornalismo italiano.
I nomi che i giornalisti italiani usavano ammirare e invidiare i loro colleghi più insigni erano Indro Montanelli, Enzo Biagi e Giorgio Bocca. Montanelli lo chiamavano "il primo violino" del Corriere della Sera, finché non arrivò un assalto della massoneria. Lui sentì di non potere più suonare il violino e se ne andò, creando un giornale tutto suo. Lo battezzò Il Giornale. Non stava andando male, quel quotidiano. Era scritto bene, a volte sparava anche alcuni scoop, ma non c'erano abbastanza soldi da investire per trasformare un buon giornale in un grande giornale. I soldi necessari li offrì Silvio Berlusconi, sottoscrivendo un patto che lui non avrebbe mai messo neanche piede nel Giornale.
Poi però l'ometto della faccia di crema e i capelli di catrame decise di lanciarsi in politica per "evitare la galera", come disse esplicitamente lui stesso, e a causa della nuova situazione Il Giornale "doveva aiutare" la sua battaglia elettorale. Montanelli lo mandò a quel paese, ma gli stracciaculi della sua redazione si schierarono dalla parte dell'ometto. Montanelli se ne andò di nuovo. Creò un nuovo giornale e lo battezzò – pensate un po' – La Voce.
Stefano Vaccara era una delle colonne di America Oggi, il quotidiano americano in lingua italiana. Ma qualcos’altro accadde. Gli stracciaculi di quel giornale riuscirono a farlo fuori ed ora lui è qui, a fare La Voce di New York. Le previsioni, i calcoli e le risposte ottenute finora nel web, dicono che questo giornale sta andando incontro a grandi numeri. La capacità di Stefano, la qualità degli articoli già pubblicati, la presenza di scrittori brillanti che già arricchivano America Oggi, l'arrivo di altri scrittori attratti dalle prime publicazioni, fanno ben sperare. Gli stracciaculi del Giornale stanno ancora facendo quel quotidiano. La loro principale funzione è quella di inginocchiarsi davanti a Berlusconi.