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March 14, 2022
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La guerra in Ucraina fa impennare i prezzi delle materie prime e scuote i mercati

Molti analisti credono che sia arrivata la "tempesta perfetta": rincari per metalli, energia e materie prime agricole. Economia in subbuglio in attesa della Fed

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La guerra in Ucraina fa impennare i prezzi delle materie prime e scuote i mercati

Grain Factory at Sunrise (Flickr, Bob Jagendorf)

Time: 3 mins read

La guerra tra Russia e Ucraina ha fatto impennare i prezzi delle materie prime e ha generato una forte volatilità sui mercati. Molti analisti ritengono che sia arrivata la tempesta perfetta. L’escalation bellica nelle ultime settimane ha infatti sconvolto i mercati e, all’improvviso, i produttori che hanno fatto hedging, ovvero venduto future per coprire la produzione futura di metalli, energia e materie prime agricole, sono stati sempre più colti alla sprovvista con scambi di questi future che hanno richiesto sempre più garanzie per evitare che le loro posizioni corte fossero bloccate.

Questo ha innescato le altalene sui mercati spingendo alle stelle i prezzi per poi farli ritracciare. Come nel caso del gas. Il contratto al Ttf, mercato di riferimento per lo scambio del gas naturale dell’Europa continentale, è scivolato al di sotto dei 200 euro per megawattora, oltre il 40% in meno dal record di 345 euro raggiunto all’inizio della settimana sulla scia dei timori che l’Unione europea potrebbe ridurre in fretta la sua dipendenza dal gas russo.

In altalena anche il prezzo del petrolio che è invece risalito nell’ultima seduta della settimana, sostenuto dai persistenti timori di interruzioni nell’offerta a causa dalla guerra in Ucraina, in un mercato peraltro già teso, e in cui l’attenzione si è concentrata anche sui colloqui per il rilancio dell’accordo nucleare iraniano a Vienna.

Dopo aver raggiunto i livelli più alti dal 2008 all’inizio della settimana ed essere calato bruscamente nelle sedute successive il greggio Wti ha viaggiato venerdì sul filo dei 110 dollari al barile per poi chiudere in rialzo al Nymex a 109,32 dollari al barile, segnando un aumento del 3,1%.

Il prezzo dell’oro, bene rifugio per eccellenza, che ha superato i 2.000 dollari l’oncia, toccando il livello più alto da settembre 2020, si è stabilizzato durante la settimana. L’oncia d’oro ha raggiunto 2.070,44 dollari martedì scorso, a pochi dollari dal suo massimo storico di 2.075,47 dollari raggiunto nei primi mesi della pandemia di Covid-19 nell’estate 2020.

“Il livello dell’oro rimane chiaramente guidato dalla guerra in Ucraina, con una spinta verso i paradisi sicuri molto in evidenza”, ha commentato Han Tan, analista di Exinity. Ma il prezzo del metallo prezioso ha concluso la settimana quasi allo stesso livello di sette giorni prima (1.978,16 dollari l’oncia contro 1.970,70 dollari).

Pozzo petrolifero – Ansa

Secondo gli analisti, un aumento dei tassi da parte della Fed renderebbe i titoli di Stato americani più attraenti, e in confronto renderebbe l’oro, altro bene rifugio ma non remunerativo, meno attraente.

Anche il palladio questa settimana ha raggiunto un massimo storico di 3.442,47 dollari l’oncia. Il 40% della produzione di questo metallo prezioso, utilizzato anche dall’industria automobilistica, proviene dalla Russia. Un’oncia di palladio costava venerdì 2.768,64 dollari, rispetto ai 3.011,50 dollari di sette giorni prima. Forte impennata anche per il prezzo del nichel che ha superato i 100.000 dollari a tonnellata martedì per la prima volta nella sua storia, un aumento di oltre il 110% rispetto alla chiusura del giorno precedente.

Secondo gli analisti di Commerzbank, questo incremento straordinario non è solo dovuto alla moltiplicazione delle sanzioni economiche contro Mosca in seguito all’invasione dell’Ucraina, che ha causato un’impennata dei prezzi dei metalli, ma anche al fenomeno noto come “short squeeze”. Gli investitori che avevano scommesso su un calo del prezzo del nichel sono in effetti costretti a comprare il metallo per chiudere la loro posizione ad ogni costo, spingendo artificialmente il prezzo verso l’alto.

Martedì, una tonnellata era scambiata a 80.000 dollari quando i commercianti del London Metal Exchange (LME) hanno deciso di fermare le contrattazioni. E a fine settimana gli scambi non erano ancora ripresi al London Metal Exchange perché “i criteri per la riapertura del mercato non sono stati soddisfatti”, ha spiegato il Lme all’Afp.

Come il nichel, anche l’alluminio dipende dalle esportazioni russe: la Russia è il terzo produttore mondiale di nichel, il secondo produttore mondiale di nichel raffinato e il gruppo russo Rusal è il secondo produttore industriale mondiale di alluminio.

L’alluminio ha rotto la barriera dei 4.000 dollari a tonnellata per la prima volta lunedì, a 4.073,50 dollari, il prezzo più alto della sua storia. Anche il rame ha raggiunto un nuovo massimo storico lunedì a 10.845 dollari per tonnellata. Da allora sono scesi dai loro massimi, con una tonnellata di rame scambiata venerdì a 10.146,50 dollari, rispetto ai 10.674,00 dollari della chiusura di sette giorni prima, e una tonnellata di alluminio a 3.445,50 dollari, rispetto ai 3.849,00 dollari della chiusura di una settimana prima. (Agi)

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