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March 4, 2022
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Mercati giù dopo l’attacco a Zaporizhzhia. E le aziende occidentali fuggono dalla Russia

Tutte le principali piazze europee in rosso per la paura di incidenti nella centrale nucleare, mentre prosegue l'esodo delle società euro-statunitensi da Mosca

La Voce di New YorkbyLa Voce di New York
Mercati giù dopo l’attacco a Zaporizhzhia. E le aziende occidentali fuggono dalla Russia

GUM, Moscow's central department store (Pixabay)

Time: 4 mins read

Mercati in forte calo dopo la notizia che un’unità della centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, è stata colpita durante un attacco da parte delle truppe russe. In precedenza le Borse erano andate su e giù, caratterizzate da una forte volatilità, per le incertezze della guerra in Ucraina e i timori per l’inflazione, accesi dal balzo delle materie prime.

In Asia i listini sono scesi ai minimi da 16 mesi, dopo che la Russia ha colpito per la prima volta nella storia una centrale atomica. “Vuole ripetere la catastrofe di Chernobyl” ha detto il presidente ucraino Zelens’kyj, che ha accusato Mosca di usare il “terrore nucleare”. La sicurezza della centrale è stata poi ripristinata e le autorità assicurano che non c’è stato un innalzamento delle radiazioni. La centrale è ora sotto il controllo delle forze militari russe.

Dopo l’attacco il presidente Usa, Joe Biden ha esortato la Russia a cessare il fuoco sulla centrale. E il primo ministro britannico, Boris Johnson ha accusato Vladimir Putin di mettere in pericolo l’intera Europa. Tokyo chiude in calo del 2,2%, Hong Kong e Shanghai  sono in forte perdita.

“Il rischio è che ci possa essere un errore di calcolo o una reazione eccessiva”, ha commentato Vasu Menon, strategist di Ocbc Bank. C’è attesa per un terzo incontro tra le delegazioni di Kyiv e di Mosca, dopo che è stato raggiunto un accordo sulla creazione di corridoi umanitari per evacuare i civili.

A Wall Street i futures arretrano, dopo che i listini di New York, al termine di una giornata altalenante, hanno chiuso in calo, in particolare il Nasdaq, giù dell’1,56%. La forte volatilità dei mercati è legata al timore è che le vicende belliche e i prossimi rialzi dei tassi possano frenare la crescita senza riuscire a raffreddare l’inflazione.

Traders work on the floor of the New York Stock Exchange at the opening bell in New York – EPA/JUSTIN LANE

I gestori di fondi che si attendono una situazione di stagflazione (Pil fermo e prezzi che corrono) entro i prossimi 12 mesi sono saliti al 30% dal 22% del mese scorso. Sul fronte macro, l’attenzione è puntata sui dati occupazionali Usa, mentre, la prossima settimana sarà il turno dell’andamento dell’inflazione statunitense a febbraio.

Due dati importanti in vista del direttivo della Fed in agenda a metà mese e che segnerà l’avvio ufficiale della stretta monetaria. Il numero uno della Fed Jerome Powell ha ribadito davanti al Congresso quello che aveva detto il giorno prima e cioè che a marzo si attende un rialzo dei tassi Usa dello 0,25% e non dello 0,50% ma stavolta è risultato meno rassicurante per i mercati, anche perché ha drammatizzato i toni, dicendo, come aveva fatto in passato Mario Draghi, che la Fed fara’ “whatever it takes“, “tutto ciò che è necessario”, per fermare la corsa dell’inflazione.

Anche i futures sull’EuroStoxx volgono al peggio e segnano un -1,6%, dopo che i listini del Vecchio Continente avevano chiuso in rosso intorno al 2%. A preoccupare l’Europa era stata la notizia che il gasdotto Yamal-Europe aveva smesso ieri di funzionare. Lo ha annunciato l’operatore del gasdotto, la società tedesca Gascade. Il suo tracciato attraversa la Polonia e arriva alla Germania.

Yamal è uno dei tre gasdotti attraverso i quali il colosso dell’energia russo Gazprom convoglia il suo gas naturale verso l’Europa. Attraverso di esso passa circa il 10% delle forniture totali di gas proveniente dalla Russia. Alla luce di questa interruzione, Bruxelles sta accelerando il lavoro per “diversificare le fonti di energia”, ha annunciato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Sberbank on Slavyansky Boulevard, Moscow (EvelRus, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons)

Le sanzioni dell’Occidente non rappresentano solo un duro colpo per l’economia della Russia, ma stanno anche spingendo un gran numero di aziende occidentali a lasciare il Paese. Vladislav Zubok, professore di storia russa alla London School of Economics, rivela al Financial Times che tutto ciò rappresenta “la fine di un’era”, quella inaugurata negli anni Novanta del secolo scorso, quando fuori del nuovo McDonald’s in piazza Puškin a Mosca, c’erano code più lunghe che davanti alla tomba di Lenin.

Alle sanzioni, nel giro di pochissimi giorni, hanno fatto seguito la caduta a picco del rublo, che rischia di far crollare i consumi, il congelamento dei pagamenti delle cedole ai detentori esteri di bonds in rubli, la decisione della banca centrale di innalzare i tassi di interesse al 20%, tutte scelte che stanno accelerando la fuga delle aziende straniere dalla Russia.

I colossi petroliferi ExxonMobil, BP e Shell stanno disinvestendo e cedendo le loro partecipazioni, Apple ha smesso di vendere iPhone e ha chiuso i suoi App Store. Lo stesso stanno facendo Google e Facebook. Walt Disney e Warner Bros non lanceranno più i loro film in Russia. La Nike e diverse case automobilistiche, tra cui Volkswagen, Toyota e Mercedes-Benz, hanno sospeso le consegne o le operazioni nel Paese.

Insomma in Russia sta finendo un’era, quella iniziata con la fine della guerra fredda, che, a sua volta, ha coinciso con un grande cambiamento culturale: l’arrivo in Russia dei fast food, dei jeans occidentali, dei consumi capitalistici. Negli anni Novanta il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti aveva incoraggiato le società americane ad aprire sedi e attività, a Mosca, si era perfino inventato il nome di “diplomazia capitalistica” per questa promozione.

I più grandi gruppi logistici occidentali sempre mercoledì hanno frenato le consegne internazionali in Russia, contribuendo alle decisioni delle aziende occidentali di sospendere le operazioni locali. La tedesca Dhl e il broker merci svizzero Kuehne+Nagel hanno seguito Ups, FedEx e DPD nell’arrestare tutte le spedizioni in Russia, con l’esclusione di quelle per gli alimenti e i medicinali.

Anche il colosso danese Moller-Maersk, uno dei più grandi operatori di navi portacontainer del mondo, mercoledì scorso, ha annunciato che sospenderà temporaneamente i servizi ai porti russi. I russi ora chiedono quali compagnie occidentali saranno le prossime a partire e sicuramente considerano marchi come Coca-Cola, PepsiCo e McDonald’s, che tra l’altro furono i primi ad arrivare in Russia, tra quelli che gli mancherebbero di più. Le tre società hanno preferito non rilasciare commenti riguardo ai loro piani per il mercato russo. (Agi)

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