“Tesla ama lo Xinjiang”. È il messaggio stampato su uno dei cartelloni esibiti all’inaugurazione del nuovo showroom dell’azienda automobilistica guidata dal multimiliardario Elon Musk a Urumqi, capitale della regione nord-occidentale cinese. Le foto pubblicate sull’account Weibo (l’equivalente cinese di Twitter) della società texana ritraggono una trentina di persone partecipare all’evento di apertura, tenutosi il 31 dicembre dell’anno scorso. Sopra il commento dell’azienda di Austin: “Nel 2022, lanciamo tutti insieme lo Xinjiang nel suo viaggio elettrico!”
L’inaugurazione non ha mancato di provocare numerose polemiche. Lo Xinjiang è divenuto da alcuni anni un punto fisso dello scontro tra Cina e Occidente a causa delle politiche di repressione che, secondo diversi Governi occidentali (tra cui Washington), le autorità di Pechino imporrebbero sistematicamente contro la comunità uigura locale, un’etnia turcofona di religione musulmana. La Casa Bianca si è spinta fino a definire le persecuzioni cinesi degli uiguri come un “genocidio” – anche se la definizione è controversa. Il Partito Comunista cinese ha invece ripetutamente accusato gli occidentali di fare disinformazione sullo Xinjiang, smentendo le ipotesi che la regione sia teatro di torture e di una pulizia etnica. A detta di Pechino, l’azione governativa nell’area si limiterebbe infatti a contrastare preventivamente l’estremismo religioso per agevolare l’integrazione della comunità uigura nello Stato cinese.
A meno di una settimana dall’inaugurazione, a intervenire sulla questione è stata anche la Casa Bianca. Durante un punto con la stampa, Jen Psaki, portavoce del presidente Biden, ha affermato martedì che “la comunità internazionale, compresi i settori pubblico e privato, non può guardare dall’altra parte quando si tratta di ciò che sta accadendo nello Xinjiang“. La Casa Bianca ha quindi avvertito che comportamenti abusivi da parte delle imprese esporranno queste a “un grave rischio legale, reputazionale e commerciale“. Il riferimento è soprattutto al divieto di importazioni dallo Xinjiang imposto dall’amministrazione Biden a causa del timore che i beni in oggetto provengano da lavoro forzato. Nel peggiore dei casi, Tesla potrebbe teoricamente finire persino nella lista dei soggetti sanzionati per aver collaborato nella persecuzione.
Quello a Urumqi non è comunque il primo avamposto di Tesla nella Repubblica Popolare: nel 2018 la società di Musk è diventata la prima azienda automobilistica straniera ad aprire uno stabilimento produttivo di sua proprietà a Shanghai, dove viene assemblata la maggioranza dei veicoli elettrici venduti in tutto il mondo. A ciò si aggiunge una vasta rete di rivenditori tra Cina continentale, Hong Kong e Macao.