Perché l’Italia, nonostante sia nel G7 e con un buon PIL a livello mondiale, non sia vista da circa 30 anni come una nazione in grado di garantirsi crescita e sviluppo, è cosa allo stesso tempo semplice e difficile da spiegare. Semplice perché le motivazioni sono molto schematiche e facilmente comprensibili ma, allo stesso tempo, difficile perché piene di contraddizioni. Gli esempi sono tantissimi, ma per far comprendere, soprattutto agli italiani che vivono all’estero, prendiamo ad esempio: l’affare nucleare.
Per avere una grande produzione di beni e servizi occorre avere energia, altrimenti le industrie di ogni tipo non vanno avanti. Lo comprese molto bene Alcide De Gasperi quando, resosi conto della mancanza di carbone per le industrie da riavviare nel dopoguerra, firmò col Belgio il 23 giugno del 1946 un accordo che prevedeva l’invio di almeno 50.000 italiani per le miniere in cambio di carbone a prezzo di mercato, nemmeno agevolato. Il perché di tale trattamento è facile comprenderlo: avevamo perso una guerra in cui anche noi ne avevamo combinate di brutte.
Successivamente, però, con grandi sforzi e sacrifici recuperammo e crescemmo in tutte le componenti industriali, arrivando al boom economico verso la fine degli anni ’50 e, in un quadro lungimirante, nel 1966 l’Italia figurava come il terzo produttore al mondo di energia nucleare, solo dopo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna ed in possesso di un know how di primo livello. A capo dell’intero settore vi era il CNEN (Comitato nazionale per l’energia nucleare) guidato da Felice Ippolito che venne coinvolto in un risibile scandalo riguardante l’uso personale di un’auto di servizio e la distribuzione di valigette in finta pelle come gadget in un evento stampa. La gran cassa mediatica ben orchestrata da alcuni settori economici (petroliferi?)portò alla sua condanna ma, ciò nonostante, nel 1975 avvenne il varo del primo Piano Energetico Nazionale (PEN) che prevedeva, fra le altre cose, un fortissimo sviluppo della componente elettronucleare.

A Roma, il 20 aprile 1985, dietro ad uno striscione “In nome del popolo inquinato” sfilarono migliaia di persone contro il nucleare e per la revisione del PEN nazionale guidati dall’associazione Legambiente con in testa il presidente di allora Enrico Testa, meglio conosciuto col nome di Chicco. La battaglia contro il nucleare si fece ancora più forte quando l’anno dopo, e precisamente il 26 aprile 1986, alla centrale di Černobyl in Ucraina scoppiò un reattore che provocò forti preoccupazioni e vivo allarme nel mondo. Infatti Legambiente il successivo 10 maggio organizzò a Roma una manifestazione a cui parteciparono circa 200.000 persone che aprì la strada al referendum che l’anno successivo condusse al definitivo abbandono del progetto nucleare in Italia.
Per arrivare ad oggi accade che il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani ha dato una significativa apertura, quale membro del Governo Draghi, all’energia nucleare di nuova generazione, la qual cosa, come era prevedibile, ha scatenato i barricaderi sedicenti ambientalisti pronti a dire sempre e comunque “NO” a qualsiasi forma di innovazione tecnologica. Secondo l’Associazione Italiana Nucleare, si tratta di reattori di piccola taglia (Small Modular Reactors), che possono essere impiegati in vari ambiti: per la produzione di calore, per l’elettricità o per entrambe. Per capire basti sapere che finanche in Argentina c’è già un progetto al riguardo: il Carem (Argentina centrale de Elementos Modulares) in sintesi un reattore ad acqua leggera, simile a diverse altre decine in fase di lancio in diversi altri Stati. In Italia, invece, società come la Newcleo con sede a Londra e guidata dal fisico Stefano Buono, puntano “a cambiare gli schemi nel settore dell’energia nucleare come i Lead Fast Reactor (Lfr) che utilizzano il piombo come refrigerante al posto dell’acqua. o del sodio”. L’obiettivo è quello di ridurre drasticamente il volume di rifiuti radioattivi prodotti ed evitare i possibili incidenti.

“Cingolani – ha dichiarato all’agenzia Adn Kronos Chicco Testa, presidente Fise Assoambiente – ha semplicemente affermato che, anche a fronte dei nuovi sviluppi tecnologici che puntano a reattori nucleari più piccoli, meno costosi, più sicuri e con meno produzione di scorie, sarebbe illogico non tenere in considerazione questa opzione. La stessa tesi esposta, fra gli altri, da Bill Gates in un suo recente libro. Vedere Greenpeace preoccuparsi dei costi di questa soluzione induce al sorriso ironico. Soprattutto di fronte alle gigantesche quantità di quattrini immesse nel sostegno alle rinnovabili con insufficienti risultati (ad oggi le rinnovabili pesano per qualche punto percentuale sul totale dei consumi di energia e non intaccano il dominio dei fossili) e di fronte, secondo loro stessi, ad un cataclisma prossimo futuro da sconfiggere con ogni mezzo, senza se e senza ma”. Meglio tardi che mai.
E questa è proprio la dichiarazione del leader anti nucleare degli anni ’80 Chicco Testa che, nel frattempo, è passato nel campo opposto: al nucleare. Nel frattempo i danni ed i costi di miliardi di euro ancora oggi pesano sulle teste dei contribuenti italiani dove appare chiaro che la demagogia e l’intolleranza regnano sovrani.
Per tali motivi Draghi dovrà stare attento a tutti quei soggetti che hanno cavalcato e cavalcano la demagogia populista, che mal si concilia con gli sforzi che sta facendo per rilanciare il Paese con i fondi europei.