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March 16, 2021
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I road show di Joe e Kamala per spiegare agli americani la loro politica economica

Il presidente Biden con la First Lady Jill e la vice Harris col Second Gentleman Douglas Hemoff iniziano a girare l'America in sostegno del programma d'aiuti

Massimo JausbyMassimo Jaus
Kamala Harris è la scelta di Joe Biden, la più tosta e meno vulnerabile vice presidente

Joe Biden e Kamala Harris nell'illustrazione di Antonella Martino

Time: 5 mins read

La politica si basa sul dialogo e Joe Biden lo sa molto bene. Ed è per questo che da oggi, ripetendo come un mantra la frase coniata nei giorni scorsi “L’aiuto è in arrivo”, andrà in giro per gli Stati Uniti per spiegare agli americani l’importanza che lo Stimolo economico approvato nei giorni scorsi avrà sulla vita degli americani.

Le recriminazioni dei repubblicani sull’importanza delle misure contenute nel pacchetto di aiuti da mille e 900 miliardi di dollari, specialmente dopo che i mercati finanziari hanno risposto positivamente, hanno perso efficacia lasciando l’opposizione ad una critica quasi istituzionale. Biden ha fatto tesoro dell’errore commesso da Barack Obama nel 2009  che, dopo aver rilasciato il pacchetto di aiuti di circa 800 miliardi di dollari per uscire dalla grave crisi economica, non lo pubblicizzò adeguatamente dando spazio al biasimo dei repubblicani perdendo in questo modo le elezioni di Mid Term. Un errore che Joe Biden non vuole ripetere e per questo con la First Lady Jill, la vicepresidente Kamala Harris e il Second Gentleman Douglas Hemoff, ha preparato un serie di interventi da un lato all’altro del Paese. In gergo lo chiamano “Road Show”. Oggi il presidente è andato in un sobborgo di Philadelphia per parlare all’associazione dei piccoli imprenditori  dell’importanza che lo stimolo avrà sulle loro attività. Kamala Harris e il marito, invece, sono in Colorado.

Dopo aver intascato la sua prima grande vittoria politica con l’approvazione dello stimolo economico da mille e 900 miliardi di dollari Joe Biden prossimamente dovrà risolvere tre altre promesse elettorali: immigrazione, strutture e riforma delle tasse.

Di sicuro la sorveglianza dei confini e il controllo dell’accesso degli immigrati è il tema più attuale, ma anche quello più scottante. La riforma della legge sull’immigrazione da anni deve essere attuata poiché è un legge antiquata che non rispecchia più le obsolete provenienze immigratorie e i tradizionali valori della democrazia americana. L’ex presidente Barack Obama non avendo la forza politica per riformarla attenuò le più evidenti iniquità con alcuni decreti presidenziali che sono stati poi cancellati da Donald Trump il quale aggiunse anche una serie di restrizioni soprattutto per chi voleva entrare nel Paese fuggendo dai Paesi mediorientali o dall’Africa.  Il razzismo xenofobo dell’ex presidente che avrebbe voluto immigrati solo dal Nord Europa e non “da Paesi cesso come Haiti” fece presa su una larga fascia del suo elettorato facilitando tutte le successive restrizioni sull’immigrazione. Ora però al confine con il Messico ci sono decine di migliaia di persone accampate, quasi tutte provenienti dal Guatemala, Honduras ed El Salvador che aspettano di entrare negli Stati Uniti. In molti hanno tentato di farlo clandestinamente con le famiglie: i maggiorenni sono stati espulsi, i minorenni sono stati mandati in centri di raccolta. Ad oggi i giovani separati dalle famiglie sono quasi 4 mila.

Manifestazione contro le politiche dell’amministrazione Trump dell’ICE (United States Immigration and Customs Enforcement) a City Hall Park, New York – Maggio 2018 (foto di Terry W. Sanders)

La situazione è molto complessa sia per la regolarizzazione degli immigrati clandestini che vivono e lavorano negli Stati Uniti da anni, sia per i “Dreamers”, i giovani portati dalle famiglie clandestinamente emigrate quando erano bambini che ora si trovano in un limbo immigratorio. Non sono nati qui, ma sono statunitensi nella lingua e nell’istruzione. Vanno alle università, lavorano per pagarsi gli studi, ma hanno il marchio dell’irregolarità. L’ex presidente Obama li aveva protetti con un decreto chiamato Daca, Deferred Action for Chidhood Arrivals, che permetteva il rilascio di un permesso temporaneo di soggiorno ogni due anni a patto di mantenere la fedina penale pulita e andando a scuola. Obama cercò di estendere le misure per portarle fino alla cittadinanza, ma la Corte Suprema bloccò questa disposizione. Nel 2017, con la presidenza Trump, la Homeland Security cercò gradualmente di non rinnovare questo status immigratorio. Da qui una valanga di ricorsi nei tribunali federali. Il risultato è che i permessi di soggiorno per i Dreamers sono diminuiti e nello stesso tempo la magistratura ha bloccato le estradizioni. In una incertezza totale quindi.

L’altro problema per la riforma della legge e quello della inevitabile regolarizzazione degli illegali che da anni si trovano negli Stati Uniti. Una riforma che tutti condannano perché, secondo i conservatori sia democratici che repubblicani, premierebbe l’illegalità. Nello stesso tempo però non vengono implementate le misure di legge approvate da decenni come l’obbligatorietà nelle assunzioni dei lavori di presentare la Social Security o di pagare i contributi sociali e gli altri benefici sociali. E così si mantiene questo stato di sfruttamento sottopagando i lavoratori illegali.

Times Square, Biden-Harris vincono le elezioni USA 2020 (di Terry W. Sanders)

Il secondo problema che la Casa Bianca dovrà risolvere è quello della ristrutturazione delle infrastrutture. La rete autostradale negli Stati Uniti venne progettata e voluta negli anni 50, in piena guerra fredda, dal presidente Eisenhower. Non fu una legge dettata dall’urbanistica, ma dalla paura che i russi invadessero gli Stati Uniti e con l’allora modesto sistema autostradale l’invasione non si sarebbe potuta respingere. Così nel 1956 venne varato il Federal-Aid Highway Act e vennero costruite 41 mila miglia di autostrade. Sono passati 65 anni e la rete è rimasta la stessa come gran parte di tutte le altre infrastrutture: aeroporti, ponti, rete ferroviaria, porti. I lavori di aggiornamento che sono stati fatti sono quasi tutti a livello statale.  Inevitabile quindi il massiccio intervento federale. I rinvii sono stati creati in gran parte perché legati alla politica. La massiccia opera di ristrutturazione comporterebbe più lavoro, più assunzioni, migliore tenore di vita per i lavoratori, cose che i partiti all’opposizione, sia democratici che repubblicani, hanno rinviato perché i benefici elettorali di queste migliorie ricadrebbero sul partito dell’amministrazione che le ha varate. Ed ecco che a Washington da anni si parla di migliorare le infrastrutture, ma i fondi per effettuare questi miglioramenti non si trovano.

President Joe Biden (Illustration by Antonella Martino)

Il quarto problema per Biden è quello di modificare l’attuale sistema di tassazione eliminando i benefici fiscali concessi da Donald Trump alle classi più agiate e addirittura aumentarle per finanziare tutti i suoi programmi di lavoro: due mila e 100 miliardi di dollari in dieci anni quantifica il Tax Policy Center.

Il piano secondo il Washington Post prevede l’aumento delle tasse per le società dal 21% al 28%. Aumenti percentuali di tassazione per chi ha un reddito annuale superiore ai 400 mila dollari. Revisione delle tasse immobiliari e di successione oltre a quelle sul Capital Gain, i profitti ottenuti dall’economia prodotta solo dal capitale.

Facile prevedere la lotta titanica tra democratici e repubblicani  che si terrà al Congresso per fare queste riforme. Ma il tempo dei rinvii sta scadendo e Joe Biden è al timone.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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