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January 31, 2019
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Tria arriva a New York con la recessione, ma l’invito è a “non drammatizzare”

Il ministro dell'Economia ha tenuto una lectio alla Columbia University sulle nuove sfide dell'Italia, e poi si è concesso alle domande dei giornalisti

Giulia PozzibyGiulia Pozzi
Time: 5 mins read

Non è stata una coincidenza temporale esattamente fortunata, quella che ha accompagnato la visita del ministro dell’Economia italiano negli Stati Uniti. Mentre infatti Giovanni Tria parlava a Washington, dove noi della Voce c’eravamo, il primo ministro Giuseppe Conte anticipava pubblicamente che l’Italia è in recessione tecnica, con anche il quarto trimestre 2018, oltre al terzo, che ha visto una contrazione del Pil. Notizia che il Governo ha tentato di smorzare, con il vicepremier Luigi Di Maio impegnato ad addossare la responsabilità ai precedenti esecutivi targati Pd, e lo stesso Conte che ha definito la contingenza un “fattore transitorio”: “Anche agli analisti più sprovveduti non sfuggirà che c’è una guerra di dazi tra Usa e Cina che ci troverà tutti perdenti”, ha detto il premier.

E poche ore prima che il ministro Tria facesse la sua comparsa nella prestigiosa Memorial Law Library della Columbia University, Forbes pubblicava un articolo testualmente intitolato “Italy Recedes Into Recession, Rome Rejects Reality” – “L’Italia scivola nella recessione, Roma rifiuta la realtà” a firma di Stephen Pope. L’analisi, tra le altre cose, contestava il tentativo di Conte di ridimensionare il dato di recessione e contraddiceva il collegamento diretto con la guerra dei dazi tra Usa e Cina, “visto che gli Stati Uniti contano solo il 6,6% di tutte le esportazioni italiane, e che la Cina non è tra i cinque principali clienti dell’export italiano”.

Non a caso, tra i presenti alla Columbia, si respirava parecchia attesa per l’entrata in scena del Ministro. Chi scrive confessa di aver casualmente intercettato i commenti ironici di quelli che parevano tre giovani studenti italiani accorsi ad assistere alla lectio del titolare dell’Economia: “Sembra una chiesa, qui”, ha osservato uno di loro: “Il posto giusto per celebrare il funerale dell’economia italiana!”, ha chiosato.

Edmund Phelps, direttore del Center on Capitalism and Society della Columbia University che ha presentato l’evento, stringe la mano al ministro Tria, dopo averlo omaggiato di una maglietta e una borsa della Columbia.

Note di colore a parte, la lectio di Tria, a cui hanno assistito, tra gli altri, l’ambasciatore Armando Varricchio, il Console Generale Francesco Genuardi, la rappresentante permanente dell’Italia all’ONU Mariangela Zappia, e tanti rappresentanti della comunità italiana e italoamericana di New York, si è focalizzata sulle sfide che la politica (economica) italiana, “in cerca di un nuovo corso”, deve affrontare. Un discorso più accademico che politico, partito dalle pesanti conseguenze della crisi del 2008 sull’economia italiana, e terminato in un’analisi di più ampio respiro sull’economia europea. All’inizio, il Ministro ha citato la sua manovra finanziaria, sintetizzandone gli obiettivi, sottolineando la positiva reazione dei mercati alla sua approvazione, e ricordando la sua ligia coerenza (dopo qualche braccio di ferro, aggiungiamo noi) con le regole europee. Quindi, il titolare dell’Economia ha illustrato la piena sostenibilità del debito italiano, e ha individuato nel rilancio degli investimenti pubblici, nella messa a punto di nuove politiche sociali e di mercato efficaci e nel rafforzamento della fiducia dei mercati i tre principali obiettivi dell’economia italiana. Giunto al contesto europeo, ha osservato una progressiva perdita di speranza rispetto alla realizzabilità dell’idea originaria di un’Europa ben integrata. E a chi gli ha chiesto se la “visione” (anche economica) che l’Italia ha dell’Unione, ancora in contrasto con quella di altri Stati più nordici, come la Germania, sia realisticamente attuabile, ha risposto senza giri di parole di non essere troppo ottimista. Affermando che i sentimenti di disgregazione, più che dal Sud, arrivano dal Nord, e che, piuttosto che continuare a discutere sulle regole (“come bisogna stare assieme”), bisognerebbe parlare del perché stare insieme. Specialmente, in un contesto di competizione tra Cina e Occidente, dove l’Europa rischia di perdere il suo posto a tavola.

Ma dopo la parte più accademica, il Ministro si è concesso ai giornalisti per un breve press briefing, che pure inizialmente non era stato indicato in programma. Per quanto riguarda l’eventuale necessità di correggere il dato di crescita all’1% previsto dalla manovra 2019 a seguito degli ultimi dati Istat, il Ministro ha inizialmente ironizzato: “Se potessimo correggerlo con la nostra volontà sarebbe una bella cosa. Al di fuori dello scherzo, l’1% è previsto con stime fatte a novembre, e ogni mese le stime cambiano. Ora, con il dato dell’ultimo trimestre 2018, abbiamo avuto due trimestri con segno negativo, anche se di poco, quindi, tecnicamente, siamo in recessione. Si spera che non solo in Italia, ma anche in Europa e in Germania questa caduta della domanda possa riprendersi, e quindi ci sia un miglioramento nel corso dell’anno”. “Quando il Governo dovrà rilasciare nuovi documenti con previsioni sul tasso di crescita, ovviamente lo correggeremo”, ha sottolineato il Ministro.

“Sono dati che ci aspettavamo: forse -0,1 e non -0,2%”, ha poi puntualizzato Tria alla stampa, aggiungendo la necessità di continuare a lavorare “per rilanciare gli investimenti pubblici, non aspettare e non scherzarci intorno, e applicare le misure previste dal Governo per sostenere la crescita”.

Il ministro Giovanni Tria alla Columbia University.

Quindi, al Ministro è stata rilanciata una questione sollevata precedentemente dal pubblico accademico: nonostante le fondamenta dell’economia italiana siano profondamente solide, gli economisti non sono “psichiatri”, è stato osservato. Perché è così difficile spiegare qual è la reale solidità dell’economia italiana agli investitori stranieri? “La domanda mostrava che gli economisti sanno che c’è una solidità dell’economia italiana”, ha osservato Tria. E ha proseguito: “Il fatto è che i mercati e gli investitori si muovono secondo delle percezioni, che pure non sempre sono sbagliate”. “L’Italia dà un senso di incertezza perché cambia troppo spesso strada, cambia spesso le leggi, c’è un problema di farraginosità del sistema regolatorio, e proprio su questo stiamo lavorando: è difficile investire in infrastrutture perché si passa attraverso autorizzazioni a livello centrale, regionale, locale”. Un sistema che, a detta del Ministro, deve esistere, ma deve funzionare in modo differente. Altro mantra di Tria, più investimenti pubblici: perché se se ne fanno di più, “e si vede che vanno avanti, non solo creiamo un ambiente migliore per investimenti privati, ma si vede anche un’altra Italia. Investimenti pubblici che funzionano significa un sistema che funziona, e questo attrae gli investitori”.

In merito alle ultime news, quindi, l’invito del Ministro è stato quello di non drammatizzare: “Il rallentamento ha degli effetti sui conti pubblici dal punto di vista delle entrate”, ha spiegato. “Ma i nostri conti pubblici, così come presentati nella legge di bilancio, sono stimati con un tasso di crescita previsto dello 0,6%. I pessimisti dicono che può essere 0,3, ma gli ottimisti uno 0,8: siamo ancora in questo range”. In ogni caso, ha proseguito Tria, “il nostro impegno con la Commissione Europea è il non peggioramento del deficit strutturale”, cioè il disavanzo fiscale, corretto per l’andamento ciclico e per le voci una tantum. “Deficit strutturale”, ha spiegato, “significa che non risente dell’andamento del ciclo economico”. In questo senso, secondo il Ministro non esiste dunque un problema di rispetto degli obiettivi concordati con la Commissione. A questo, si aggiunge che “se ci fosse un ulteriore peggioramento della congiuntura, sarebbe un suicidio adottare una politica economica ancora più restrittiva”. Neppure l’UE lo richiede, ha specificato Tria, che vede anzi, nel malaugurato caso di recessione più ampia e diffusa, un ampliarsi dello spazio “cosiddetto di output gap, per fare più deficit”. Qui, il titolare dell’Economia ha immediatamente specificato, salvo equivoci: “Ma noi non vogliamo fare più deficit, perché vogliamo rispettare l’obiettivo di debito”.

Nessun dramma, insomma, visto che stiamo parlando solo “di un tenue segno meno su due trimestri”. Anche perché, secondo il Ministro, questa fase negativa sulla congiuntura internazionale, anche a giudicare dagli indicatori, si sta fortunatamente esaurendo. Con buona pace dei “gufi”, avrebbe detto un non lontano predecessore di chi sta oggi a Palazzo Chigi.

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Giulia Pozzi

Giulia Pozzi

Classe 1989, lombarda, dopo la laurea magistrale in Filologia Moderna all'Università Cattolica di Milano si è specializzata alla Scuola di Giornalismo Lelio Basso di Roma e ha conseguito un master in Comunicazione e Media nelle Relazioni Internazionali presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI). Ha lavorato come giornalista a Roma occupandosi di politica e affari esteri. Per la Voce di New York, è stata corrispondente dalle Nazioni Unite a New York. Collabora anche con "7-Corriere della Sera", "L'Espresso", "Linkiesta.it". Considera la grande letteratura di ogni tempo il "rumore di fondo" di calviniana memoria, e la lente attraverso cui osservare la realtà.

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