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September 12, 2016
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September 12, 2016
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Il dollaro, l’euro e il mondo visto con i paraocchi

Il dollaro USA resta sempre di più la valuta di riserva per l'intero pianeta

James HansenbyJames Hansen
dollaro usa
Time: 2 mins read

L’inizio “formale” della crisi economica si fa risalire al settembre del 2008, con il crollo della banca d’affari americana Lehman Brothers. La data collima abbastanza bene con lo “svaccamento” dell’Unione Europea che—con in più la coincidenza non del tutto casuale della crisi dell’immigrazione incontrollata—ha radici sostanzialmente economiche.

Ha fatto comodo a molti in questi anni supporre che il crollo economico fosse globale. Pertanto, fa effetto andare per il mondo e trovare che i riferimenti alla “crisi” non vengono bene compresi senza specificare di quale crisi stiamo parlando. Ce n’è sono tante…

I paraocchi messi dall’Europa per non vedere troppo bene come stanno le cose altrove hanno prodotto una percezione sempre più distorta del resto del mondo. Per molti europei ad esempio è diventato articolo di fede che l’economia americana e il dollaro siano in declino, quando è palesemente vero il contrario. Il dollaro è sempre di più—non sempre di meno—la valuta di riserva dell’intero pianeta.

Nuovi dati della BIS-Bank for International Settlements indicano che la presenza della valuta americana nei $5,1 trilioni di operazioni di cambio quotidiane ha raggiunto l’87,6 percento di tutte le transazioni, mentre l’indebitamento in dollari tra terzi fuori dagli USA è volato ai $9 trilioni. I dati BIS indicano che il volume dei cambi con l’euro da una parte dell’operazione è invece scivolato dal 37% del 2007 al 31,3% di oggi.

Un altro indice di fiducia internazionale è quello delle valute scelte dalle banche centrali dei vari paesi per costituire le proprie riserve. La parte del dollaro in questi “risparmi nazionali” è oggi tornata al 63,6%, il livello di dieci anni fa. La quota dell’euro invece è passata negli ultimi otto anni dal 28% al 20,4%, all’incirca dove si trovava il solo marco tedesco nei primi anni Novanta.

Sono dati che mettono la Federal Reserve americana, la “Fed”, in una posizione scomoda. La banca è oggi in pratica la banca centrale del mondo intero—il che è un problema. Vuol dire che ogni volta che gli USA danno segni di volere alzare i tassi, le borse del globo tremano e gli americani si trovano costretti a rinunciare. Così, il dollaro non solo è solido, costa poco e si allarga ancora di più sui mercati esteri.

Gli stessi paraocchi hanno confuso l’Unione Europea sulla Brexit, il cui esito è stato notoriamente del tutto imprevisto dall’UE. Anche qui c’è un dato semplice—seppure eclatante—che la dice lunga. Tra il 2010 e il 2015 il Regno Unito ha, da solo, creato più posti di lavoro di tutti gli altri 27 stati membri dell’Unione presi insieme. Sì, è così, e l’ha fatto ignorando bellamente sia l’euro sia i “consigli” economici dell’UE, rendendo l’andamento inglese politicamente invisibile a Bruxelles. Si ammetteva, questo è vero, un certo successo economico della Cina, ma quelli erano cinesi, con gli occhi a mandorla e capaci di tutto. Intanto, il spesso preannunciato crollo cinese non è ancora arrivato, ma forse verrà presto, specialmente perché il grande mercato europeo—per la scarsità di soldi—è progressivamente meno capace di assorbire la produzione orientale.

È semplice. Il problema dell’economia mondiale è in larga parte l’Europa. La debolezza continentale è per molti versi la causa delle difficoltà che supponiamo universali

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James Hansen

James Hansen

Americano della West Coast, vivo in Italia da molti anni. Sono arrivato, giovane, nel servizio diplomatico USA come vice console a Napoli. Lì ho capito che “da grande” non volevo fare l’ambasciatore. Sono passato al giornalismo come corrispondente dell’International Herald Tribune e del Daily Telegraph, in seguito spostandomi “dall’altra parte della scrivania” come capoufficio stampa di Olivetti, di Fininvest e infine di Telecom Italia. Da tempo mi occupo di “diplomazia privata”, accompagnando grandi aziende italiane nelle loro avventure internazionali. È la diplomazia che mi immaginavo da ragazzo, con obiettivi più o meno chiari e i mezzi e l’autonomia per perseguirli. An American from the West Coast, I have been living in Italy for many years. I got here young, with the diplomatic service as the US vice consul in Naples. There I realized that, as a grown up, I didn't want to be an ambassador. I turned to journalism as a correspondent for the International Herald Tribune and the Daily Telegraph, and later on, I moved to the “other side of the desk” as chief of press for Olivetti, Fininvest and finally Telecom Italia. I deal with "private diplomacy", backing up large Italian companies in their international adventures. It's the diplomacy as I imagined it when I was young, with more or less clear goals and the means and autonomy to pursue them.

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