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July 16, 2016
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L’(in)sostenibile leggerezza degli attentati terroristici

Anche dopo il massacro di Nizza le borse mondiali tengono e l'economia non viene scossa

Luigi TroianibyLuigi Troiani
attentati terroristici

Una bandiera francese a mezz'asta a Wall Street, il 16 novembre 2015, il giorno dopo l'attentato terroristico a Parigi. (Ph. AP/Richard Drew)

Time: 6 mins read

Anche dopo il massacro di Nizza di giovedì, si conferma la regola, evidenziata in  occasioni analoghe, che gli attentati terroristici sanguinari, mentre hanno la lancinante capacità di colpire opinione pubblica e politica, risultano praticamente ininfluenti sui destini dell’economia. Ne fanno fede le quotazioni espresse nei recinti delle borse valori ad immediata distanza dagli eventi luttuosi. Il dato, del quale si vedranno qui alcune esemplificazioni, porta a riflessioni piuttosto interessanti sulla natura del mondo nel quale viviamo.

Successivamente alla ferale notte di Nizza, le borse dei paesi Ue mediamente non hanno esposto né tracollo né eccessi di perdite, registrando aumenti e recessi in linea con le consuete aperture e chiusure. Ovviamente i titoli legati al viaggio e al turismo (compagnie aeree, gruppi alberghieri, aziende d’alta gamma), settore, come analizzato recentemente in questa column, permanentemente sottoposte al tiro del terrorismo islamista, si sono contratti, ma si è trattato di eccezioni, peraltro contenute. La piazza più indiziata, Parigi, ha chiuso venerdì a -0,30% (appena un centesimo meno di Milano, chiusa a –0,29%) a causa delle perdite di Accor hotel (-3,04%), Air France (-1,60%), Eurotunnel (-1,1%), e di alcuni grandi marchi del lusso come Hermès. Londra ha chiuso positiva (+0,22%), ma non così la compagnia aerea Easyjet (-2,65%), il tour operator Thomas Cook (-4,2%), il crocierista Carnival (-2,28%). La lieve perdita di Milano va  attribuita agli stessi settori, con la francese Exor a -1,81% e i piumini di Moncler a -1,64%. Idem per la stabile borsa di Francoforte (-0,01%) che però ha ceduto su Lufthansa (-0,49%).

La conferma che la risposta borsistica ai colpi del terrorismo islamista è selettiva, o meglio settoriale, è nella flessione dell’irlandese Ryanair alla borsa di Dublino, -2,32%. Guardando oltre atlantico, Wall Street, apertura in rialzo, ha perso qualcosa per strada dopo aver letto la chiusura degli scambi in Europa. Le borse statunitensi, in generale, hanno manifesta solo lievi oscillazioni.

Come si è detto, qualcosa del genere si era prodotto già in occasione di precedenti attacchi del terrore islamista. Avuta la notizia del colpo all’aeroporto di Zaventem, Bruxelles, il 22 marzo, le borse continuarono regolarmente scambi e speculazioni, partendo caute e ampliando in giornata i guadagni. Milano, il giorno dopo,avrebbe aperto addirittura in rialzo.

Identica la reazione all’attentato di Parigi dello scorso novembre, con operazioni stabili e oscillazioni medie tra 0 e 1%.

Ma lo stesso attacco di Parigi del 7 gennaio 2015 a Charlie Hebdo, particolarmente eclatante per le figure di intellettuali che ne restarono vittime e per il dibattito che scatenò, non solo non ebbe ripercussioni negative nelle borse, ma anzi le svergognate realizzarono guadagni consistenti. L’indice S&P 500 chiuse in rialzo dell’1,16%, il Cac 40 francese del +3,5%, il complesso borsistico europeo del 3% circa.

Il caso più interessante e significativo non può che essere, evidentemente, quello delle Torri gemelle. Si ricorderà come l’11 settembre comportasse la chiusura per una settimana dei mercati azionari di New York, e l’iniezione di 100 miliardi di dollari liquidi al giorno da parte di Federal Reserve. Si evitò la catastrofe finanziaria, e il prezzo del bene rifugio oro non salì, da $215,5, oltre $287 l’oncia. Prezzo del petrolio significativamente cresciuto e dollaro significativamente calato, furono altri fenomeni inevitabili. Intanto i mercati azionari andavano ruzzoloni un po’ ovunque: -9,2% in Brasile, -8.5% in Germania, -5.7% al London Stock Exchange, mentre le compagnie assicurative e settori come turismo, aeronautica, industria dell’ospitalità, pagavano un pedaggio altissimo al contesto. Tutti quei fenomeni, tuttavia, ebbero durata breve e sei mesi dopo la tragica giornata newyorkese, i mercati risultavano rafforzati.

Lo stesso attacco del marzo 2004 ad Atocha, il primo della serie islamista degli anni 2000, con le esplosioni su più treni di pendolari e il più alto assassinio terroristico d’Europa del periodo (190 morti e più di 1400 feriti), aveva fatto registrare conseguenze relativamente contenute in termini economici. I costi immediati per assicurazione, sanità, infrastrutture, turismo, salari, affari legali etc. superarono di poco 200 milioni di euro, e contenuto fu l’impatto economico di medio periodo.

Alla luce dei numeri snocciolati, istintivamente vien da dire che gli attacchi terroristici islamisti fruttano il rialzo dei titoli e costituiscono un buon carburante per l’economia, salvo colpirne alcune fette. E’ come se le forze razionali e speculative cogliessero, tra i morti e le macerie che gli attentati producono, nuove opportunità d’arricchimento. Unica eccezione, i settori immediatamente dipendenti, per il loro rafforzamento, dalla domanda di consumo: il viaggio, il turismo, il lusso. Qui varrebbe l’alto contenuto emotivo e politico della risposta che la gente comune e i consumatori offrono agli attacchi islamisti, motivata dall’antico adagio latino “primum vivere”.

A questo proposito, è d’obbligo inserire nel ragionamento la variante microeconomica. Ciò che vale per i grandi gruppi e l’economia globale, non è la regola che guida le scelte del livello microeconomico, ad esempio per l’alto costo in termini di storie famigliari di padri e madri di famiglie, sostegno e/o riferimento di nuclei affettivi, attività imprenditoriali, sociali, e così via, che talvolta significano anche perdita improvvisa di intelligenze, inventività, creatività personali e aziendali. Qui il risultato dell’azione terroristica assume carattere definitivo e risolutivo.

Al livello macroeconomico, al contrario, salvo leggerissimi stress iniziali, sembra di poter dire che borsa e mercati non solo abbiano appreso la capacità di attutire i colpi del terrorismo islamista, ma anzi riescono ad anticiparli, sterilizzandone gli effetti negativi che gruppi omicidi e distruttori come Al Qaeda e Daesh intendono infliggere a quelli che considerano loro nemici e avversari.  In particolare nelle Borse, luogo di eccellenza della capacità analitica del capitalismo contemporaneo, contrariamente a quanto in genere si ritiene, come scritto nei manuali non è prevista reazione emotiva, ma sempre e solo capacità di valutazione e decisioni conseguenti. In Borsa vince chi arriva per primo alla valutazione corretta sugli avvenimenti attesi, non chi per primo (e magari sbagliando ….) cade nel tranello del feedback emotivo all’input giunto da eventi straordinari (gli attentati continuano ad esserlo, per questo shoccano).

Il che, però, comporta, la consapevolezza che stia cadendo la tensione dei nostri sistemi economico-politici contro il terrorismo islamista e salga di converso l’adattamento alla convivenza, quindi all’accettazione dell’esistenza di detto fenomeno. Tradotto in cronaca politica, mentre l’America dell’11 settembre assunse misure straordinarie di politica finanziaria, quindi andò armi in spalla ad attaccare il santuario afghano di Osama Bin Laden, l’America e l’Europa della lunga serie di colpi subiti da Daesh in questi anni, al più inviano consiglieri e qualche aereo per stanare in Libia, Siria e Irak chi, in particolare attraverso i foreign fighters, stravolge in Occidente le dinamiche umane, politiche ed economiche.

C’è da aggiungere che in questo nostro complicato mondo dove ormai accade di leggere mille verità su ogni fenomenologia sensibile, si apprende dell’indice VIX (Chicago Board Options Echange Volatilty Index), detto “indice della paura” che misura il grado di nervosismo e “fiuto” degli operatori alla vigilia di eventi catastrofici. Si sarebbe scatenato nelle immediate vicinanze (cinque giorni massimo) di ogni atto di terrorismo islamista internazionale dall’11 settembre, tirando giù il mercato sino al 40% del suo valore, per poi farlo progressivamente risalire, in tempo per la lieve discesa di poche ore che segue gli attentati, prima del definitivo rilancio borsistico.

Chi aderisce a teorie cospirative troverà molto pane per i suoi denti nelle informazioni su VIX.

Se pure si trattasse di una sorta di saggia preveggenza, resterebbe comunque da rispondere agli interrogativi sul perché borse ed economia in genere non si lascino che scalfire da accadimenti che la gente comune ritiene al contrario di grande rilevanza. La risposta più evidente, lo si è visto, sta nella distanza tra razionalità (le borse, gli imprenditori, l’economia) e il sentimento irrazionale dei più. Dovremmo accettare che accanto al noto cinismo, l’economia possieda anche profonda saggezza e razionalità. Peccato che il sistema economico contemporaneo ci racconti tutta un’altra evidenza, ad iniziare dalla irrazionalissima distribuzione della ricchezza, che mette nelle mani dell’1% della popolazione mondiale più della metà delle ricchezze disponibili nel pianeta.

Probabilmente sono tuttora valide le due istruzioni per l’uso offerte nell’ottobre 2013 da Mark Mobius, amministratore delegato e fondatore del Templeton Emerging Markets Group, a  Emma Wall, di Morningstar, che lo interrogava sul rapporto tra terrorismo e investimenti.

La prima sul Kenya, dal quale gli investitori internazionali non erano fuggiti, nonostante le attività del terrorismo.“Gli investitori sono diventati molto più saggi”, diceva Mobius, aggiungendo: “Non hanno reagito impulsivamente, perché sanno che si tratta di un incidente isolato, in un paese così grande”.

La seconda sul Medio Oriente, dove, rileva l’intervistatrice, le attività del terrorismo sono anche più rischiose: “Noi continuiamo a investire in Egitto e in tutto il Medio Oriente. Anche in questo caso, stiamo scoprendo che si possono avere parecchie turbolenze e notizie negative, ma nella realtà ci sono tante aziende ancora molto redditizie”.

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Luigi Troiani

Luigi Troiani

Insegno Relazioni Internazionali e Storia e Politiche UE all’Angelicum di Roma. Coordino le ricerche e gli studi della Fondazione Bruno Buozzi. Tra i promotori di Aiae, Association of Italian American Educators, ho dato vita al suo “Programma Ponte” del quale sono stato per 15 anni direttore scientifico. Ho pubblicato saggi e libri in Italia, tra gli altri editori con Il Mulino e Franco Angeli, e in America con l’editore Forum Italicum a Stony Brook. Per la rivista Forum Italicum ho curato il numero monografico del maggio 2020, dedicato alla “letteratura italiana di ispirazione socialista”. Nel 2018 ho pubblicato, con l’Ornitorinco Edizioni, “Esperienze costituzionali in Europa e Stati Uniti” (a cura). Presso lo stesso editore sono in uscita, a mia firma, “La Diplomazia dell’Arroganza” e “Il cimento dell’armonizzazione”. La foto mi mostra nella maturità. Questa non sempre è indizio di saggezza. È però vero che l’accumulo di decenni di studi ed esperienze aiuta a capire e selezionare (S. J. Lec: “Per chi invecchia, le poche cose importanti diventano pochissime”), così da meglio cercare un mondo migliore (A. Einstein: “Un uomo invecchia quando in lui i rimpianti superano i sogni”).

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