Si stima che la somma totale di imposte non pagate dalle multinazionali che hanno spostato i loro profitti verso luoghi dove vengono tassati molto poco o non vengono tassati affatto, sia pari al PIL annuo di Stati Uniti e Giappone messi insieme. Negli Stati Uniti secondo un rapporto pubblicato da Citizens for Tax Justice, le multinazionali dovrebbero pagare tasse federali pari ad almeno il 35% dei profitti di un anno. Ma l’evasione fiscale delle multinazionali è un fenomeno in crescita e molte aziende continuano a eludere o a evadere il fisco grazie anche alle molte scappatoie legali che esistono negli ordinamenti tributari nazionali. Il rapporto fa riferimento ai giganti dell’era digitale, le cosiddette web company, come Google, Apple, Facebook, eBay e Amazon. Società di cui non riusciamo a fare a meno ma che più di tutti riescono in maniera legale, a dichiarare cifre irrisorie in Paesi in cui realizzano consistenti ricavi.
Sempre negli Stati Uniti, la Apple è stata accusata di evadere le imposte americane con miliardi di liquidità parcheggiati nei paradisi fiscali come le Isole Bermuda, Cayman, Bahamas e il Lussemburgo. Ma l’amministratore delegato Tim Cook ha contrattaccato: “Siamo l’azienda che paga di più in questo paese di chiunque altro, è il fisco americano ad essere obsoleto”.
Il rapporto rivela che l’evasione fiscale delle multinazionali fa perdere alle casse federali circa 620 miliardi di dollari. Denaro che potrebbe essere utilizzato per finanziare l’intero sistema scolastico americano per i prossimi cinque anni.
In Europa le cose non vanno diversamente. Un recente rapporto di Eurodad, un gruppo di 46 ONG impegnate nella lotta per un sistema economico e finanziario globale più equo, ha rivelato che il “tax dodging” delle imprese multinazionali mette a repentaglio la giustizia sociale e lo sviluppo sia nei paesi sviluppati sia, e in particolar modo, in quelli in via di sviluppo.
Il primo sforzo globale per combattere l’elusione delle imposte da parte delle grandi aziende risale al 2013. L’OCSE, l’organizzazione per la cooperazione economica, e il G20 hanno messo a punto un sistema, l’Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting, meglio noto con l’acronimo inglese BEPS, per contrastare le pratiche fiscali aggressive di alcune società operanti su scala globale. Secondo le stime dell’OCSE, dal 2013 ad oggi circa 500 miliardi di euro sono stati sottratti illegalmente al fisco internazionale dalle grandi multinazionali. Seppure il BEPS si propone di rivoluzionare completamente le regole del fisco mondiale, secondo alcuni rappresentanti della società civile non mira veramente a cambiare le basi della tassazione internazionale quanto piuttosto a mettere toppe alle regole attuali.
Intanto il 28 gennaio la Commissione europea ha emanato l’anti Tax Avoidance package: le multinazionali del web saranno obbligate a rendere noti i profitti e le tasse pagate in ogni Stato. In questo modo che le grandi società, molte delle quali statunitensi, non dovrebbero essere più in grado di sfruttare la complessità delle norme fiscali e la mancanza di cooperazione tra gli Stati membri per spostare artificialmente gli utili verso giurisdizioni a basso carico fiscale. La Commissione è stata chiara: le aziende devono pagare la loro giusta quota di tasse, nel paese dove effettivamente viene svolta ogni attività. Secondo Bruxelles, le pratiche fiscali delle multinazionali costano ai governi europei circa 50-70 miliardi di gettito all’anno, cinque volte quanto costano i flussi migratori. “Fondi che potrebbe essere destinati a costruire scuole, ospedali, abitazioni per i senza fissa dimora”, ha osservato il Commissario agli Affari economici Pierre Moscovici. Il governo americano ha però reagito accusando le autorità europee di discriminare le multinazionali straniere. La commissaria europea Margrethe Vestager ha ribattuto che le attuali convenzioni bilaterali in vigore tra gli USA e diversi Stati UE (inclusa l’Italia) sono contro la doppia imposizione ma di fatto funzionano come dei trattati “per la doppia non-imposizione”
L’insofferenza dell’opinione pubblica nei confronti delle scappatoie fiscali delle grandi web company, è esplosa dopo lo scandalo LuxLeaks del 2014, sui favoritismi fiscali alle multinazionali in Lussemburgo. Che adesso per recuperare credibilità e reputazione agli occhi dei consumatori, stanno cercando accordi con i singoli governi per versare le tasse arretrate. A dicembre Apple ha concordato con l’Agenzia delle Entrate italiana il pagamento di 318 milioni di imposte arretrate. L’accordo ha messo fine a una controversia legale con il fisco che gli aveva contestato una maxi-evasione da circa 900 milioni di euro. In Gran Bretagna Google ha firmato con il governo di Sua Maestà un accordo da 130 milioni di euro che ha sollevato dure critiche da parte di chi avrebbe preferito un approccio più duro. A seguito delle polemiche l’Antitrust UE ha aperto un fascicolo per verificare che non si tratti di aiuto di Stato illegale.
Insomma LuxLeaks sembra aver dato una svolta alla lotta all’evasione fiscale delle multinazionali. Non a caso, tra gli obiettivi del suo programma elettorale, Hillary Clinton ha promesso di porre fine agli abusi dei paradisi fiscali. Una lotta senza tregua che potrebbe portare a recuperare nei prossimi dieci anni, almeno 500 miliardi di dollari di tasse arretrate e non pagate dalle multinazionali. “Dobbiamo fare di tutto affinché i ricchi paghino la loro giusta quota di tasse”, ha più volte ribadito il candidato democratico alle prossime presidenziali USA. Bernie Sanders sta invece facendo qualcosa che nessun altro candidato ha fatto: sta usando la sua piattaforma nazionale per denunciare i più grandi evasori fiscali delle imprese del paese. “Ogni dollaro che una grande società evita di pagare, è una strada o un ponte che non viene riparato”. Il piano fiscale Sanders sta spaventando a morte Wall Street e la corporate America.
La strada è lunga ed in salita. Ne sono convinte grandi organizzazioni non governative, come Christian Aid, ActionAid, Oxfam e Global Alliance for tax Justice che sostengono come tutte le riforme in atto siano inadeguate per arginare la tendenza delle multinazionali a eludere o evadere le imposte: le proposte lasciano ancora un ampio spazio di possibilità di elusione per le imprese multinazionali che continueranno a pagare meno tasse a danno dello stato sociale e della lotta alle disuguaglianze.
Discussion about this post