Una bufera giudiziaria si è abbattuta qualche giorno fa sullo stabilimento Fincantieri di Panzano, a Monfalcone, in Friuli Venezia Giulia. Tema: il trattamento dei rifiuti. Quattro aree dell’azienda sono state poste sotto sigillo dalla magistratura. Così da qualche giorno 5 mila operai circa sono costretti a rimanere a casa. La notizia è giunta anche a Palermo, dove opera un altro stabilimento della Fincantieri. E dove, nel passato, non sono certo mancati casi eclatanti di malattie provocate proprio da cattive condizioni igieniche che hanno messo a repentaglio la salute e la vita degli operai. Ci riferiamo, nel caso dei Cantieri Navali di Palermo, ai tanti casi di Asbestosi, malattia in molti casi mortale provocata dalle particelle di amianto.
La vicenda esplosa nei Cantieri di Monfalcone ci da l’occasione per sottolineare le differenze che si registrano in due diverse aree del nostro Paese rispetto ai temi legati alla salute dei lavoratori. A Monfalcone hanno chiuso i Cantieri. In Sicilia un provvedimento del genere non è mai stato adottato, né al Cantiere Navale di Palermo – dove, come abbiamo ricordato, non sono mancati né i malati, né i morti per Asbestosi – né in altre zone industriali dell’Isola massacrate dall’inquinamento, da Gela all’area industriale di Siracusa, fino a Milazzo.
A Monfalcone, invece, sono intervenuti i Carabinieri del Nucleo operativo ecologico (Noe) di Udine. E i Cantieri sono chiusi da martedì 30 giugno. Il provvedimento è certamente doloroso, se è vero, come già accennato, che coinvolge circa 5 mila operai: mille e 600 impegnati direttamente nei Cantieri di Monfalcone e tremila e 400 circa nell’indotto.
Le cronache raccontano di sette denunce. Gli indagati in stato di libertà sono l'ex direttore dello stabilimento Fincantieri di Monfalcone, Carlo De Marco, e i titolari di sei aziende che lavorano all'interno del cantiere: Nella Dosso, 55 anni, titolare della Pulitecnica friulana di Udine, Valter Radin (59), della Petrol Lavori di San Dorligo della Valle, Romeo Ronco (69) della Marinoni di Genova, Francois Marcel Gaston Avon (58), della Carboline Italia,Corrado Annis (48) della Sirn di Trieste e Fabio Bianchi (49) della Savi di Genova.
Il Tribunale di Gorizia contesta la gestione illecita di rifiuti. Il paragone con la Sicilia, come già ricordato, non regge. Ad Augusta, provincia di Siracusa, ad esempio – una cittadina dove l’inquinamento provocato dalla chimica (soprattutto le raffinerie di petrolio) ha raggiunto livelli incredibili – dal mese di febbraio di quest’anno un sacerdote, Padre Palmiro Prisutto, nel corso della celebrazione della Santa Messa di fine mese – di solito il 28 di ogni mese – legge i morti di tumore. Un elenco ormai sterminato che dagli anni ’70 del secolo passato ad oggi è sempre cresciuto nell’indifferenza di tutte le autorità. Morti e bimbi nati difformi si registrano anche a Melilli e a Priolo, sempre in provincia di Siracusa, due cittadine funestate dall’inquinamento chimico.
Insomma, in questo angolo della Sicilia orientale la chimica ‘pesante’ fa, da sempre, il bello e il cattivo tempo. Proprio ad Augusta da almeno trent’anni si attende il risanamento della rada, i cui fondali sono pieni di mercurio. Ma siccome non sanno dove depositare il mercurio che tirerebbero fuori dalle sabbie marine, tutto viene lasciato dove si trova. Non sono mancati i fondi stanziati per il risanamento. Soldi che nessuno sa dove possano essere finiti.
Lo stesso discorso vale per Melilli, per Priolo, per Milazzo (dove qualche anno fa si è incendiato lo stabilimento chimico provocando danni i disagi di cui non si sa più nulla). E più nulla si sa dei danni che la chimica ha provocato a Gela, dove i gestori dello stabilimento chimico hanno fatto di tutto e di più: anche – e questa è storia dello scorso anno – sversamenti in mare di idrocarburi. Tutte storie di inquinamento dell’ambiente per le quali nessuno ha pagato.
La Regione siciliana ha istituito anche l’Osservatorio epidemiologico. Ma non si ricordano report presentati alla stampa sui malati di Milazzo, Gela, Prilo, Melilli, Augusta e anche della Valle del Mela, in provincia di Messina, altro luogo funestato da malati e morti, provocati non dalla ‘chimica’, ma da centrali elettriche e da un mega elettrodotto in costruzione con i tralicci che passano a pochi metri dai centri abitati.
In questo scenario si attendono gli effetti del Muos di Niscemi, un mega radar voluto dai militari americani. E l’inquinamento che colpirà Porto Empedocle e la Valle dei Templi di Agrigento, dove, a quanto sembra, dopo polemiche e stop, dovrebbe vedere la luce il più grande rigassificatore d’Europa.
Per concludere, una particolarità. A Palermo ci sono già stati, come ricordato, i morti per Asbestosi. Sono ex operai del già citato Cantiere Navale della città. Ma a Palermo i Cantieri Navali non sono fuori dal centro abitato, ma a due passi dal porto, nel cuore dei quartieri popolari dell’Arenella e dell’Acquasanta. Cosa vogliamo dire? Semplice: che a Palermo ci potrebbero essere stati morti per Asbestosi che non sono mai stati messi in relazione con l’amianto dei Cantieri Navali della città.