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April 21, 2015
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Autostrade dopo il crollo del viadotto “Imera”: resiste solo la Palermo-Trapani-Mazara

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Time: 7 mins read

Aprile 2015: la Sicilia scopre che quasi tutta la propria viabilità è un disastro. Ha fatto tutto il caso: con molta probabilità, senza il crollo del viadotto “Imera”, lungo l’autostrada Palermo-Catania, nulla sarebbe cambiato. La frana della collina che ha inghiottito il viadotto – peraltro sotto osservazione da quasi un decennio – ‘rischia’ di cambiare il corso della storia dell’Isola. Proviamo, adesso, ad elencare quello che è successo dopo che il già citato viadotto “Imera” ha salutato tutti spaccandosi di qua e di là, ormai in attesa che le bombe completino il ‘lavoro’ fatto dalla frana (il viadotto, ormai inservibile, andrà eliminato con il tritolo: così dicono).

Il primo effetto è che i media nazionali hanno scoperto che i treni, per percorrere i circa 200 chilometri che separano Palermo da Catania, impiegano 5 ore. In tempo di alta velocità può sembrare assurdo, ma è così. Di fatto, il crollo del viadotto “Imera” ha messo in luce lo sfascio in cui versano le ferrovie siciliane. Basti pensare che nel 2015, in molte delle tratte ferroviarie non ancora sbaraccate, mancano i raddoppi. Può sembrare una follia, ma è così. Ebbene, quello che le Ferrovie non hanno fatto in oltre 50 anni – e cioè il potenziamento della linea ferroviaria che collega Palermo con Catania – lo stanno facendo in questi giorni.

Quello che scriviamo può sembrare incredibile, ma gli ultimi investimenti veri fatti in Sicilia nel settore delle Ferrovie risalgono agli anni ’50 del secolo passato, quando Ministro era Bernardo Mattarella, padre dell’attuale Presidente della Repubblica. Dopo Bernardo Mattarella le Ferrovie hanno in buona parte sbaraccato intere tratte (a fine anni ’80 del secolo passato li chiamavano “rami secchi”); e hanno finto di investire nelle strutture ferrovierie dell'Isola, bloccando sempre i lavori con mille scuse. Chi scrive ricorda che quando aveva i calzoni corti si parlava del raddoppio ferroviario della Palermo-Messina; da giovane cronista – erano i primi anni ’80 – si appaltavano le opere per questo raddoppio ferroviario; appalti eterni, con fondi che venivano bloccati e  dirottati altrove. Storia che ancora non si è conclusa. Chi sa tutto sullo sfascio delle Ferrovie siciliane sono i dirigenti della Fit Cisl dell’Isola, unica organizzazione sindacale che ha sempre denunciato gli imbrogli ferroviari.   

Il secondo effetto provocato dal crollo del viadotto è che sta per essere ripristinata la linea area Palermo-Catania. Non è una novità. Il collegamento aereo tra il capoluogo dell’Isola e la città Etnea è stato operativo dagli anni ’50 fino ai primi anni ’70 del secolo passato. E’ stato soppresso, grosso modo, quando è stata aperta l’autostrada.

L’autostrada Palermo-Catania è nata male. In alcuni tratti ‘pattina’. Questo perché alcuni viadotti poggiano su ex corsi d’acqua che, dopo decenni, sono ridiventati tali, almeno per alcuni mesi dell’anno. Quando questa autostrada è stata realizzata il clima siciliano era diventato sub-tropicale arido. Pioveva poco. E le colline non franavano. Idem per le ‘pile’ realizzate sui greti degli ex corsi d’acqua. Oggi il clima della Sicilia è cambiato. E tutte le strade e le autostrade siciliane che poggiano sui corsi d’acqua sono a rischio. Eh già, perché molti di quelli che per decenni sono stati ex corsi d’acqua sono tornati, per almeno cinque sei mesi all’anno, ad essere corsi d’acqua. Questo particolare non ha ancora ricevuto gli onori delle cronache. Ma quando le strade e le autostrade siciliane cominceranno a franare una dopo l’altra – e ormai, complice l’incuria, dovrebbe essere questione di qualche anno – ne sentirete parlare. Appuntatevelo, come avrebbe detto Massimo Troisi.

Il terzo effetto provocato dal crollo del viadotto “Imera” è la rinascita dell’interesse verso i trasporti marittimi. In una Regione – la Sicilia – nella quale il 90 per cento e forse più delle merci vengono trasportate su mezzi gommati, il sostanziale blocco dell’autostrada Palermo-Catania – che durerà chissà per quanti anni – impone un’alternativa. Non tanto e non soltanto per l’interscambio di prodotti tra Sicilia orientale e Sicilia occidentale, ma anche per le crescenti difficoltà nel fare arrivare i prodotti della Sicilia occidentale (come diremo appresso, anche l’autostrada Palermo-Messina è a rischio) nel resto d'Italia. Così si torna a parlare delle ‘autostrade del mare’, cioè dei collegamenti veloci via nave. Progetto che risale alla Prima Repubblica, idea dell’allora Ministro Carlo Vizzini. Idea giusta, per un’Isola come la Sicilia: ma appunto per questo scartata alla fine degli anni ’80, per ‘timore’ che nell’Isola vedesse la luce qualcosa di razionale.

Il quarto effetto provocato dall’interruzione della Palermo-Catania riguarda la sanità. Ne abbiamo in parte parlato nei giorni scorsi. Il governo Renzi e il governo regionale di Rosario Crocetta avevano deciso che gli abitanti delle Madonie avrebbero fatto a meno di alcuni servizi sanitari essenziali. Ma siccome per gli abitanti di alcuni dei centri madoniti ora è impossibile raggiungere Palermo in tempi accettabili, i due governi hanno deciso di ripristinare almeno una parte dei servizi sanitari. In queste ore, per citare un esempio, è stato deciso che il Punto nascite di Cefalù non verrà sbaraccato.

Come due governi – nazionale e regionale – abbiano potuto pensare di chiudere il Punto nascita di Cefalù, cioè nella seconda città turistica della Sicilia, non lo riusciamo a capire. Non soltanto perché si tratta di un centro turistico importante, ma anche perché il Punto nascite di Cefalù serve gli abitanti di decine di Comuni montani del circondario. Ma ormai, con l’Unione europea dell’euro e con il rigore della signora Merkel imposto a tutti i Paesi finiti nella trappola della moneta unica (vi invitiamo a leggere, al riguardo, l’articolo di Massimo Costa che trovate sempre nel nostro giornale), non c’è da stupirsi di nulla. Proprio sui tagli alla sanità la Grecia sta facendo scuola. E Renzi e Crocetta si adeguano…   

Il quinto effetto provocato dal crollo del viadotto “Imera” è l’attenzione verso i disastri stradali e autostradali della Sicilia. Già in Tv – ieri sera, ad esempio, su ‘Striscia la notizia’ – si è parlato di tale argomento. Ma ancora siamo agli inizi. Proviamo a tracciare un sommario quadro della situazione. Cominciando dalle autostrade.   

In Sicilia ci sono due tipi di autostrade: quelle gestite dalla Regione e quelle gestite dallo Stato attraverso l’Anas. La Palermo-Trapani-Mazara del Vallo e la Palermo-Catania sono gestite dallo Stato attraverso l’Anas. La prima – la Palermo-Trapani-Mazara del Vallo – resiste perché è stata realizzata tutto sommato bene. La manutenzione lascia molto a desiderare. Ma resiste. La seconda – la Palermo-Catania – presenta problemi. A parte il già citato viadotto “Imera” – che non è crollato, ma è stato travolto da una frana – ci sono altri tratti in sofferenza da almeno vent’anni e forse più. C’è un viadotto dove la carreggiata è stata ristretta da oltre un ventennio. E lavori in corso in ‘stile’ Salerno-Reggio Calabria, cioè eterni. In queste due autostrade gestite (si fa per dire…) dall’Anas non si paga il pedaggio (in realtà, il governo Renzi, quello che deve “abbassare le tasse”, stava per introdurre il pedaggio anche su queste due autostrade: operazione bloccata sempre dal crollo del viadotto “Imera”).

In questo momento l’unica autostrada che collega la parte occidentale della Sicilia con la parte orientale dell’Isola è la Palermo-Messina. Nessuno, per ora, parla di questa autostrada. A questo punto, qualcosa ve la raccontiamo noi. L’autostrada Palermo-Messina è, in assoluto, quella che in Italia è costata di più. Chi scrive, nei primi anni ’80 del secolo passato, da giovane cronista, ricorda le furibonde polemiche che andavano in scena nella commissione bicamerale per la grande viabilità di Camera e Senato. Questo perché un chilometro di questa bizzarra autostrada siciliana costava, in media, cinque-dieci volte in più di un’autostrada veneta o lombarda. In parte il costo era giustificato dal fatto che la Palermo-Messina, a causa dell’orografia sofferta, è realizzata in massima parte con viadotti e gallerie. Ma in buona parte – questi erano i dubbi dei parlamentati del Centro Nord Italia: dubbi assolutamente legittimi – perché, con la scusa di viadotti e ponti, si mangiavano un sacco di soldi.

La Prima Repubblica non riuscirà a completare la Palermo-Messina. Ci penserà il governo Berlusconi nei primi anni del 2000. Come? Con una ‘manchiugghia’ (leggere utilizzazione generosa di soldi pubblici) e con un’approssimazione che definire spaventosa è poco. L’autostrada verrà aperta al traffico ed è tutt’ora aperta al traffico. Ma con problemi non risolti che si aggraveranno con il passare degli anni: gallerie prive di illuminazione, manto stradale privo di manutenzione e via continuando.

Per descrivere, per sommi capi, lo sfascio della Palermo-Messina bisogna fare un passo indietro, tornando nei primi anni ’90. Quando uno scandalo travolge una delle autostrade più frequentate d’Italia: la Messina-Catania. E’ l’autostrada che, da Messina, conduce a Taormina i turisti che sbarcano in Sicilia da Reggio Calabria. Da qui il grande traffico.

Quest’autostrada è sempre stata a pagamento. Solo che, in quegli anni, i soldi non finivano all’ente chi gestiva l’autostrada Messina-Catania, ma nelle tasche di una sorta di banda Bassotti stradale. Il clamore fu enorme, perché le ruberie che andavano in scena erano incredibili. E fu proprio in seguito a questo scandalo che si decise di riorganizzare la gestione delle autostrade siciliane. E’ per questo che la Regione crea il Cas, sigla che sta per Consorzio autostrade siciliane. Ed è al Cas che vengono affidate le autostrada Palermo-Messina, la Messina Catania e la Siracusa-Gela in fase di completamento. Sul Cas, chi scrive, ha firmato un’inchiesta qualche anno fa per il mensile I quaderni del L’Ora. Ma di questo parleremo domani.   

Fine prima puntata/ continua     

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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