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March 14, 2015
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March 14, 2015
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Fondi europei? La Sicilia li spende poco e male. E qualche volta vanno alla mafia

C. Alessandro MauceribyC. Alessandro Mauceri
Time: 4 mins read

Nei giorni scorsi l'eurodeputato del Movimento 5 Stelle eletto in Sicilia, Ignazio Corrao, analizzando i dati relativi ai fondi destinati dall'Europa alla nostra Isola dal Programma Operativo FESR 2014-2020, ha denunciato il taglio di oltre 200 milioni di euro per il patrimonio culturale siciliano. Eppure, stando a recenti studi, in Sicilia si troverebbe un quarto di tutto il patrimonio storico monumentale dell’Italia che, a sua volta vede allocato, sul proprio territorio, una parte rilevante di tutto il patrimonio culturale europeo e globale. Ciò nonostante, l’Unione europea non ha tenuto conto né di questo, né del fatto che il comparto del turismo culturale è fondamentale per l’economia dell’Isola.

Abbiamo notato come in regioni come la Sicilia, a fronte di 300 milioni di euro che potevano essere investiti per cultura e turismo, ne sono stati programmati solamente 100 milioni” ha detto Corrao. Il motivo che avrebbe portato l’Unione europea a prendere questa decisione sarebbe da ricercare nell’incapacità dimostrata dai governanti siciliani (e nazionali) che, negli anni scorsi, non sono stati in grado di utilizzare i fondi a loro disposizione.

Un problema, quello dell’incapacità di politici e amministratori di gestire i fondi strutturali, che non riguarda solo la Sicilia: solo lo scorso anno (ma chissà come mai, nella sua lettera dell’anniversario, Renzi non ne ha parlato), l'Italia è riuscita a “non spendere” il 66 per cento dei fondi Ue a disposizione, (4,135 miliardi di euro su 6,223 miliardi). Una performance negativa che piazza il Belpaese fra i peggiori dell'Unione europea (la percentuale di fondi non utilizzati è quasi il doppio della media comunitaria, che è intorno al 34 per cento).

Un’incapacità che è ormai diventata un’abitudine. Già nel periodo precedente, la Programmazione dei fondi europei 2007-2013, l’Italia è riuscita ad utilizzare solo il 58,28 per cento dei fondi a disposizione (poco più di 16 miliardi di euro su quasi 28 miliardi a disposizione, secondo uno studio di Repubblica). Il resto, grazie a questo modo di “governare senza fare”, è tornato a Bruxelles.

“La questione dei fondi strutturali europei è lo specchio dei vizi italiani", ha detto l'economista Giulio Sapelli. Che ha continuato: “A Bruxelles spesso inviamo personale scelto non per competenze specifiche, ma per stretta osservanza politica". Un problema che ha radici anche in Italia: “Per accedere ai fondi europei – precisa sempre Sapelli – occorrono nelle Regioni professionisti preparati sul fronte del diritto comunitario e poliglotti, mentre spesso queste funzioni vengono affidate a fedelissimi del governante di turno”.

L’Unione europea ha deciso di tagliare le somme destinate ad una delle voci più importanti per l’economia siciliana, probabilmente perché ritiene che i nostri politici e amministratori non saprebbero utilizzarli. Eppure non più tardi di qualche giorno fa il premier Renzi, nel vantarsi del suo primo anno di governo, ha detto: “Sappiamo di avere una questione Mezzogiorno ancora aperta. Al Sud la ripresa non è ancora arrivata e non sarà qualche decimale di punto a farci cambiare idea. Ho molta fiducia nella capacità di alcuni progetti simbolo di trainare la ripresa”. Una ‘ripresa’ che è difficile attuare dopo che, a Novembre, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), presieduto proprio da lui, ha tagliato tutti i fondi destinati a Sicilia e Calabria per la realizzazione delle grandi opere. E la situazione non è certo migliorata dopo l’annuncio che sono stati tagliati anche i fondi strutturali destinati alla cultura in una delle più belle regioni del Mezzogiorno, la  Sicilia.

Né Renzi, né Crocetta hanno commentato la decisione di Bruxelles. Eppure è palese che la critica era rivolta a loro, al loro modo di gestire i fondi comunitari in Sicilia e nel Belpaese. Spiega Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata all'Università di Bari (e autore di diversi libri sull’argomento): “Le cause sono diverse: lentezza nelle opere pubbliche, complessità delle norme, mancata disponibilità del cofinanziamento nazionale, pessima congiuntura economica. Anche le misure dei ministeri, specie quelle infrastrutturali, sono in forte ritardo. La lentezza delle Regioni (e dei Ministeri) nell'emanare i bandi è dovuta in parte alla carenza di competenze e forse anche alla volontà dei politici ad accentrare attività di gestione e attuazione delle misure che andrebbero invece affidate a soggetti specializzati”.

Soldi, quelli che tornano a Bruxelles, che erano stati strappati dalle tasche degli italiani. “L'Italia contribuisce al bilancio Europeo – dice Roberto Perotti, professore di Economia politica alla Bocconi – in misura maggiore rispetto alle risorse che complessivamente riceve. La cosa migliore sarebbe rinunciare ai fondi strutturali o a una buona parte di essi. Risparmieremmo così la nostra quota di finanziamento dei fondi strutturali, e la quota di cofinanziamento, che potremmo utilizzare per ridurre le tasse”. Secondo Perotti e Filippo Teoldi, i fondi non sono stati spesi perché “si tratta di fondi inutili, e spesso addirittura dannosi perché alimentano burocrazia, clientelismo e, a volte, finiscono addirittura nelle mani della criminalità”.

Renzi, che come ha stabilito la magistratura recentemente, non è un esperto in materia, tiene in alta considerazione il parere dei “veri esperti” (come, del resto, tutti i suoi predecessori). Forse per questo non ha avuto niente da dire dopo il taglio dei fondi destinati alla valorizzazione del patrimonio culturale siciliano. In compenso, non soddisfatto dei soldi tolti agli italiani che finiscono a Bruxelles, ha deciso di contribuire con altri 8 miliardi di euro al Piano Junker (quello che doveva portare 300 miliardi in Europa, dopo averli prelevati, però, dalle tasche degli europei). Altri soldi che dovranno provenire dai risparmi degli italiani. Forse per questo il premier si è guardato bene dallo spiegare nel dettaglio dove avrebbe trovato tutti questi soldi: gli 8 miliardi che Renzi ha promesso a Junker saranno prelevati dai forzieri della Cassa Depositi e Presiti, la stessa che, casualmente (ma, in questo mondo di politici, niente è casuale) proprio nei giorni scorsi ha lanciato un’offerta pubblica di obbligazioni…

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