E’ di qualche giorno fa la notizia che le Terme di Sciacca non funzioneranno più. L’unico azionista, ossia la Regione siciliana, ha deciso così. Tra qualche giorno la stessa cosa si ripeterà per le Terme Acireale. Per la Sicilia è un fallimento, culturale prima che economico e politico. Perché questi due stabilimenti termali (soprattutto quello di Sciacca, in provincia di Agrigento) rappresentano un pezzo importante della storia della Sicilia. Ed è emblematico che la crisi sia arrivata proprio in questo momento, quasi a suggellare la fine di un’epoca.
La chiusura delle Terme di Sciacca per problemi finanziari era nell’aria da tempo. In una Regione ormai in bancarotta non dichiarata (ma non per questo meno bancarotta!) il finale non può che essere la chiusura di realtà storiche. Anche se in questa storia, oltre alla crisi di una Regione voluta in buona parte dal governo nazionale di Matteo Renzi, ci sono anche responsabilità politiche che hanno inizio nei primi anni del 2000. Proviamo a ricostruire la storia della crisi delle Terme di Sciacca. Una vicenda che sembra giunta al capolinea, anche se il Comune di Sciacca starebbe tentando di scongiurare la chiusura dello stabilimento termale. Ma è una mossa tardiva e disperata, perché la crisi finanziaria che oggi sta travolgendo la Sicilia non risparmia certo i Comuni. Anzi.
Per onestà di cronaca va detto che l’attuale governo regionale di Rosario Crocetta di responsabilità ne ha ben poche rispetto ai governi regionali che l’hanno preceduto. La crisi dello stabilimento termale di questi giorni, come già accennato, è l’ultimo atto di una delle tante scellerate scelte andate in scena a partire dai primi anni del 2000.
Per comprendere come si sia arrivati a questo punto è necessario fare un po’ di storia. Cominciando dagli ultimi mesi del 1999. Allora a capo del governo dell’Isola era Angelo Capodicasa, oggi parlamentare nazionale del Pd. Capodicasa è stato il primo presidente della Regione siciliana di centrosinistra. Ed è proprio il suo governo che presenta una legge importante che il Parlamento siciliano approva. E’ una legge con norme, come si direbbe oggi, “programmatiche”, che, tra le altre cose, prevede l’uscita della Regione dalla gestione di vari enti mediante la loro privatizzazione. Tra questi soggetti regionali da privatizzare ci sono anche le Aziende termali di Scacca e Acireale.
Questa volontà non arriva spontaneamente, non nasce, cioè, da un’analisi condotta dalla Regione siciliana (che, lo ricordiamo spesso ai lettori americani, è una delle cinque Regioni italiane a Statuto autonomo, quasi uno Stato simile agli Stati americani se lo Statuto fosse stato applicato: ma così non è stato). La privatizzazione delle Terme siciliane e di altre realtà siciliane è quasi imposta. Da chi? Da una grande banca internazionale: la Merryl Linch, alla quale la Regione si rivolge (l’assessore al Bilancio del tempo era Franco Piro, figura storia della sinistra siciliana). Obiettivo: consentire alla Regione siciliana di contrarre un mutuo di quasi duemila miliardi di vecchie lire per pareggiare il bilancio della Regione. Merryl Linch dice in sostanza alla Sicilia: “Noi i soldi ve li diamo, ma voi dovete dimostrare che intendete intervenire seriamente sui vostri costi”. Quest’imposizione determina il primo grande tentativo di mettere ordine nel variegato (ed antieconomico) panorama aziendale e societario della Regione imprenditrice.
Poi il Governo Capodicasa viene defenestrato con una ‘congiura di palazzo’ e arrivano un altro Presidente della Regione ed un altro assessore al Bilancio. E qui cominciano i guai che ora proveremo a descrivere. Ma prima dobbiamo raccontare come sono nate le Terme di Sciacca e di Acireale. Passaggio necessario per rendere chiaro ai nostri lettori cosa è successo dal 2000 in poi.
Le due Aziende termali regionali sono state costituite nel 1954, quando la classe politica dell’epoca (gigantesca rispetto a quella attuale) comprende che la gestione del patrimonio termale è una cosa troppo rilevante e complessa per poter essere lasciata ai Comuni. La politica di quegli anni comprende che sono necessari investimenti in strutture sanitarie, ludiche e ricettive propedeutiche allo sviluppo turistico dei territori. E che, soprattutto, è necessario iniziare una serie azione di tutela dei bacini idrotermali. Quindi la Regione espropria ai Comuni beni ed impianti (che rimborserà alcuni anni più tardi).
La legge che istituisce le Aziende termali di Sciacca e Acireale prevede che se i fatturati che ogni anno saranno realizzati non riusciranno a pareggiare i rispettivi bilanci, a questo pareggio provvederà la stessa Regione. In verità, per molti anni, non ci saranno problemi, per le due Aziende termali, a raggiungere i rispettivi pareggi di bilancio. Bene o male, nel corso dei successivi quarant’anni, le due Aziende termali sono andate avanti. Qualche volta a fatica, con interventi della Regione (allora i soldi non mancavano) e in altri anni con le proprie forze. Ma, per l’appunto, sono andate avanti. Migliorando, nel corso degli anni, strutture e prestazioni. A partire dal 2000 le cose cominciano a cambiare.
La Regione siciliana esercita la vigilanza e il controllo sulle due Aziende termali attraverso l’assessorato al Turismo. A partire dal 2002 – ne fanno fede le relazioni del Servizio Bilancio del Parlamento siciliano – inizia la crisi finanziaria della Regione che viene tenuta un po’ nascosta fino al 2010. La parola ‘nascosta’ non significa che non era conosciuta, tant’è vero che abbiamo detto che, già a partire dal 2002, il Servizio Bilancio del parlamento dell’Isola la metteva in luce. ‘Nascosta’ significa che di tale crisi finanziaria, a parte qualche eccezione, non si parlava nei mezzi d’informazione.
Insomma, a partire dai primi anni del 2000 la Regione non sembra più in grado di garantire il pareggio di bilancio alle due Aziende termali. Mentre la legge voluta dal governo Capodicasa sulla riorganizzazione delle Aziende e degli enti regionali, di fatto, non viene applicata. Si determina così, nelle due Aziende termali, un disavanzo che cresce di anno in anno.
Nel 2004 l’allora Presidente della Regione, Totò Cuffaro, e l’assessore al Turismo dell’epoca, Fabio Granata, decidono di intervenire. Come? Trasformando le due Aziende termali in società per azioni. Una decisione improvvisa, legata soltanto alla voglia di dimostrare efficientismo e modernità. Un’opzione dettata soprattutto – come si legge dalle variegate dichiarazioni che vengono dalla quasi totalità del mondo politico e sindacale dell’epoca – dall’esigenza di “rilanciare” il turismo termale siciliano, del quale le Terme di Sciacca ed Acireale nonostante tutto fino a quel momento rappresentavano l’unica realtà. Sarà così? Non esattamente. Vediamo cosa è successo.
La Regione chiede pareri, emana direttive, progetta statuti, paga consulenti, ma soprattutto mette in moto un circo mediatico dove parlamentari nazionali e regionali, amministratori comunali, sindacalisti ed altra mediocre fauna diversificata del sottobosco politico siciliano in cerca di notorietà si spellano le mani nel plaudire alla scelta della Regione. Chi assiste a questa specie di ‘circo mediatico’ rimane sconcertato: ognuno propone qualcosa e sembra che si tratti di una gara a chi riesce a stupire di più. I pochi dirigenti regionali preparati si arrendono disorientati alla pervicace scelta politica.
Intanto i bilanci continuano a non essere “pareggiati” ed i disavanzi crescono. Le due Aziende termali fanno quello che possono: riducono le spese, tagliano gli straordinari, riducono gli orari di apertura di strutture ed impianti, riducono le manutenzioni, non partecipano più ai workshop ed alle fiere nazionali ed internazionali del turismo perdendo i contatti con gli operatori (non senza aver prima spiegato a politici e burocrati regionali quali danni questo avrebbe provocato nel breve-medio periodo). Ma la politica siciliana, in quegli anni dominata dal centrodestra, da quell’orecchio non vuol proprio sentire. Anzi sembra quasi che questa diventi una strategia per poter dire quale inefficienza le due Aziende rappresentino e quanto urgente sia passare alle gestioni societarie private. A conti fatti, una sorta di ‘renzismo’ ante litteram.
Sono gli anni del “crucifigge”, delle ispezioni regionali presso le due Aziende termali, dei tentativi di delegittimare tutto il passato per esaltare il nuovo che avanza. Addirittura si minaccia il licenziamento di uno dei due direttori delle Aziende. Alla fine del 2005 nascono le due società per azioni. E da qui in poi la situazione precipita in un baratro.
Infatti le due società per azioni vengono costituite con un capitale sociale rappresentato soltanto dai beni dei quali le due Aziende regionali hanno la proprietà (cioè quelli acquisiti o realizzati con fondi dei propri bilanci) o l’uso (beni della Regione assegnati per la gestione). Di questi ultimi viene fatta, con un procedimento complesso, una valutazione economica dell’usufrutto trentennale che viene concesso alle due spa. Neanche un euro viene messo a capitale sociale: solo immobilizzazioni. Gli ‘scienziati’ che hanno pensato questa soluzione probabilmente hanno fatto carriera.
Intanto come in ogni trasformazione che si rispetti si realizza quella che i tecnici chiamano “una successione a titolo universale”: il che significa che alle due società vengono trasferiti crediti e debiti; i crediti sono quelli vantati nei confronti dell’Asl (oggi Asp, sigla che sta per Aziende sanitarie provinciali) per le prestazioni termali erogate per conto del Servizio sanitario, e quelli relativi ad un contenzioso milionario per cure fisioterapiche che l’Asp non vuole corrispondere e quanto dovuto da agenzie di turismo per la gestione alberghiera. I debiti sono invece quelli accumulati negli dai mancati pareggi dei bilanci, dai contenziosi lavoristici perduti, dai trattamenti di fine rapporto, ecc..
Una gestione economica più disinvolta e spregiudicata delle Aziende termali, in realtà, avrebbe potuto indicare come crediti le somme relative ai mancati pareggi, trattandosi di una previsione di legge (lo fanno molti oggi, specialmente nelle partecipate regionali). Questa scelta avrebbe violato la legge che impone di indicare come certi i crediti (e alla Regione in termini finanziari di certo non c’è più niente), ma avrebbe ridotto, se non annullato, il disavanzo finanziario. Di più: sarebbe bastato indicare tutti i contenziosi come ipoteticamente vittoriosi per ridurre anche qui i disavanzi ed arrivare addirittura a risultati finanziari positivi, generando poi al momento delle sentenze, nei casi di soccombenza, quelle che si definiscono sopravvenienze passive. Invece le Aziende di Sciacca e di Acireale, nel 2005, nel processo di trasformazione in spa, si sono comportate in modo impeccabile rispettando la legge.
Trascorso il momento trionfalistico, i convegni, le passerelle, incassati i crediti delle Asp del 2005 e bruciati questi ultimi soldi insieme ai fatturati del 2006, comincia il pianto greco. Ci si accorge (udite udite!), che le risorse finanziarie non ci sono. I problemi non si pongono già nel 2006 solo perché per quell’anno, per legge, insieme agli incassi 2005-2006, la Regione mantiene eccezionalmente un trasferimento di risorse come ultimo atto (peraltro illegittimo, perché aiuto di Stato ad una società per azioni, ma trattandosi di una tantum ci si passa sopra).
Già dal 2007 cominciano le giugulatorie di richieste di soldi alla Regione. Un consiglio di amministrazione prima, un amministratore unico poi (con fior di indennità…) mendicano soldi, minacciano licenziamenti di lavoratori, assunti senza selezione alcuna e, spesso, in violazione di anzianità pregresse (molti di questi si candideranno alcuni anni più tardi nelle elezioni comunali di Sciacca in determinate liste). Gli amministratori si fanno accompagnare negli assessorati dai loro padroni (o ‘padrini’) politici per chiedere soldi di qua e di là. Insomma cominciano a capire che la situazione è forse un po’ diversa da quella che avevano immaginato. Chi lo capisce subito si dimette, ma è una mosca bianca.
Intanto i debiti si accumulano: non si pagano i consumi di energia elettrica, quelli telefonici ed idrici, non si pagano le tasse comunali e regionali, non si pagano perfino i contributi dei lavoratori per i quali si chiederanno infinite rateizzazioni. I distacchi di luce e telefoni sono continui e le gestioni alberghiere accumulano giudizi negativi sulla rete. Un disastro totale.
Nel 2009 una legge regionale stabilisce che le due società per azioni devono essere liquidate: una palese dichiarazione di fallimento del proprio progetto di privatizzazione e di incapacità nella conduzione delle due spa, dato che la Regione nel tempo ha nominato gli amministratori. Arriva il liquidatore che, però, è lo stesso che fino al giorno prima era stato amministratore unico. Il Comune di Sciacca sospende le azioni esecutive sui crediti per le imposte comunali (chissà a quanti altri indigenti avrà riservato quest’onore!), l’Agenzia delle Entrate sospende quelle per i crediti di Stato e Regione. Enel, Telecom, Girgenti Acque tagliano le utenze a tutti, ma non alle Terme di Sciacca (potenza delle appartenenze!). Perfino i grillini, che nel frattempo sono entrati con 15 deputati alle elezioni regionali del 2012 fanno finta di non vedere di chi sia la responsabilità dello sfacelo ed invece di invocare azioni di tutela del pubblico Erario si spingono anch’essi ad invitare la Regione a continuare nello sperpero (eh, già, la politica!).
Intanto il liquidatore, pensando di mettersi al riparo, si fa autorizzare con legge regionale la prosecuzione della gestione che continua a macinare debiti su debiti. Anche perché utilizza personale di un ruolo speciale della Regione e lo fa pagare a quest’ultima. Casini amministrativi su casini amministrativi. La Regione autorizza la prosecuzione della gestione, ma non certo la prosecuzione in perdita, per cui il liquidatore avrebbe già da tempo dovuto portare i registri in Tribunale per attivare i processi fallimentari; invece quest’ultimo continua ad assumersi una responsabilità che ha risvolti anche di natura contabile.
Gli amministratori comunali di Sciacca invocano, si indignano, minacciano, gridano, annunciano, promettono e bla bla bla. Già, il bla bla bla. Si parla di ricapitalizzare le Terme di Sciacca. Dimenticando un paio di cose. In primo luogo il fatto che le società è in liquidazione dal 2009. Si dovrebbe revocare la liquidazione. Ma questo si potrebbe fare in presenza di risorse finanziarie per abbattere, in prima battuta, i 9 milioni di euro di debiti accumulati dalle Terme di Sciacca spa. Trovando altre risorse finanziarie per proseguire le attività. Sulla base di un piano industriale che non c’è. Insomma chiacchiere.
Intanto continua il siparietto degli incontri ‘affettuosi’ con gli assessori regionali al Turismo che vengono a Sciacca a dire che tutto va bene, che non c’è nessun problema per i lavoratori e che dichiarano l’imminenza del bando per la gestione ai privati delle Terme. Altre chiacchiere.
E i bandi? Se ne contanoi due in quattro anni: tutt’e due sbagliati! Negli uffici dell’assessorato regionale al Turismo non sono stati nemmeno in grado di copiare quelli fatti per le altre stazioni termali italiane (forse avrebbero dovuto rivolgersi agli uffici dell’assessorato al territorio e Ambiente, che invece a copiare sono bravissimi, se è vero che hanno copiato il Piano per la qualità dell’aria dalla Regione Veneto: ma questa è un’altra storia).
Domanda finale: conclusa la fiera ci sarà un giudice a Berlino? Qualcuno cercherà di capire quanti e quali sono i responsabili di questo sfacelo? La magistratura che fa e, soprattutto, che farà? Ci sarà qualcuno che avrà il coraggio di esaminare quello che hanno combinato gli assessori al Turismo dei governi regionali di Totò Cuffaro e di Raffaele Lombardo? E le associazioni locali che faranno? E i cittadini di Sciacca che stanno perdendo le Terme cosa ne penseranno?