Era gennaio 2013 e il direttore del Metropolitan Museum of Art, Thomas Campbell in una delle numerose interviste rilasciate alla stampa, spiegava dove avesse preso l’idea per ripensare la grande “plaza” pubblica davanti all’edificio del museo sulla Fifth Avenue: “Abbiamo guardato alla scalinata di Piazza di Spagna, ovvio. Inevitabile, direi, visto che si trattava di armonizzare la scala d’ingresso al nostro museo con il tessuto urbano”.
E dello stesso parere è stato David Koch, il miliardario che ha avuto l’idea per la trasformazione del museo e l’ha finanziata, con 65 milioni di dollari presi dalle sue tasche: “Io amo le piazze italiane, amo in particolare le fontane di Roma. Non dico che abbiamo cercato di replicarle, perché sarebbe un’impresa futile, però le abbiamo certamente prese a modello per creare una nuova versione di quel concetto. Una versione che speriamo diventi il “modello classico del nostro tempo”.
Il fatto che l’ispirazione sia venuta almeno in parte dall’Italia ha una ragione profonda: “Lo spazio sulla Fifth Avenue – spiega Campbell – è la faccia del nostro museo davanti al pubblico. È l’ambiente che deve presentarci alla gente, invitarla a frequentarci, e possibilmente trasformarsi in un centro permanente di incontro e di dialogo. Le piazze italiane svolgono da sempre questa funzione, perciò sono state una fonte di ispirazione, non solo estetica”. Il 9 Settembre 2014 la piazza è stata inaugurata.
Quanto descritto fa riflettere: sulla velocità di realizzazione di un’idea in un fatto concreto, fa riflettere sul cosiddetto mecenatismo e sul fatto che l’Italia e il suo patrimonio culturale, tangibile e intangibile – come ben spiegato da direttore del MET – sia preso ancora oggi a modello, sebbene filtrato e interpretato in maniera creativa dalla comunità di riferimento, per la ristrutturazione di patrimoni culturali di eccellenza in altri Paesi.

La David H. Koch Plaza davanti al Metropolitan Museum of Art’s di New York, inaugurata a settembre dopo due anni di ristrutturazione
Il ventunesimo secolo è stato caratterizzato da cambiamenti la cui portata è ancora difficile da valutare, cambiamenti che hanno interessato tanto il settore pubblico quanto il settore privato, così come la società nel suo insieme: l'introduzione di nuove tecnologie di informazione e comunicazione e la globalizzazione. La globalizzazione, in particolare, ha conferito alla “cultura” intesa nel senso più ampio del termine, quella dimensione universale che le spetta.
La "cultura" è infatti oggi un tema dominante, ma, a livello europeo, è solo nel maggio del 2007 che la Commissione Europea, inizia ad attribuirle il risalto che merita, annunciando l'adozione di "Un'agenda europea della cultura in un mondo in via di globalizzazione" . In particolare si sottolinea il ruolo diretto e significativo della cultura nei confronti della Strategia di Lisbona – oggi diventata Europa 20.20 – segnatamente per gli scenari di innovazione e creatività nello sviluppo regionale, nonchè il suo ruolo chiave nel processo di integrazione delle diverse identità europee, nel suo contribuire a forgiare un comune senso di appartenenza e a diffondere i valori di democrazia sociale.
Il 2008 e il 2009 sono Anni Europei che segnano il passo, così come lo segnerà il 2015 designato Anno europeo dello Sviluppo in cui la cultura, nelle sue molteplici declinazioni, sarà chiamata a svolgere un ruolo chiave. Il 2008 è stato l'Anno Europeo del Dialogo Interculturale; Il 2009 l’Anno Europeo della Creatività e dell’Innovazione. Ed è proprio sul binomio cultura-creatività che intendo soffermarmi.
Cultura e creatività sono infatti centrali tanto per la promozione dell’identità e costituiscono le componenti essenziali di uno sviluppo economico sostenibile, promuovendo la coesione sociale, contribuendo allo scambio economico, al trasferimento di competenze e conoscenze e sostenendo le differenti espressioni culturali.
Cultura, Creatività e innovazione costituiscono il motore dello sviluppo economico e sociale, trasformando il capitale intellettuale in crescita economica e sociale e consentendo lo sviluppo sostenibile di una società inclusiva. Creatività e cultura sono un binomio indissolubile.
La cultura è la nostra storia, il nostro tempo presente, il dono che lasciamo alle generazione future; la cultura è la nostra ricchezza inesauribile, un bene che più si consuma, più cresce e fa crescere chi la consuma ed è un bene universale. La creatività è parte della cultura e non è un fine in sé, ma un processo, un mezzo senza eguali per produrre nuove idee.
Uno degli aspetti caratterizzante della creatività è quello messo in luce dalla ricerca neurobiologica tra cervello e corpo, tra emozioni e ambiente. Le emozioni sarebbero il veicolo di trasmissione di informazioni e stimoli tra l’ambiente esterno e il nostro cervello. Simonton, D.K. (2000), Elster (1996) e Damasio (1994), concordano nel ritenere che, buone emozioni facilitano la nascita di nuove idee e che un ambiente culturalmente ricco e creativo facilita la produzione di idee creative. La creatività è dunque una risorsa fondamentale per la società che necessita di crescenti capitali intellettuali per far fronte alle sfide continue della società della conoscenza.
Dal punto di vista più prettamente economico, la produzione culturale e creativa può oggi essere considerata come il punto di origine delle catene del valore contemporanee, ma la mancata comprensione del suo ruolo fa sì che per molti essa occupi l’ultimo posto a valle della catena del valore. Eppure, il XXI secolo è considerato il secolo della culturalizzazione dell’economia.
Non è un caso che la stessa programmazione europea 2014- 20 e relativi finanziamenti, veda l’intersecarsi dei programmi specificamente culturali, quali Creative Europe, Erasmus+ e Horizon 2020 della DG Cultura con quelli della DG Industria, in particolare il COSME, Programma per la competitività delle imprese e delle PMI 2014-2020 dove si includono quelle incentrate su cultura e turismo.
Che la cultura stia diventando centrale non è un caso: secondo studi recenti, in l’Italia, la cultura genera ben il 5,4% della ricchezza prodotta, ossia 75,5 miliardi di euro, e dà occupazione a un milione e quattrocentomila persone, ovvero al 5,7% del totale degli occupati del Paese. Mentre la crisi dilaga e l’economia nazionale stenta a rialzarsi, il valore aggiunto prodotto dalla cultura va crescendo. Il dato è molto interessante e la domanda sorge spontanea: l’industria culturale e creativa, e, più in generale l’economia della cultura, magari “potenziata” attraverso l’adozione di adeguate facilities, potrebbe dunque realmente rivelarsi come uno dei possibili veicoli di “exit strategy” dalla crisi?

Collage cultura Italia di DanieleDF1995 via Wikimedia Commons
Nonostante la congiuntura economica negativa, il sistema produttivo culturale conferma infatti una capacità di reazione anticiclica: il valore aggiunto creato della cultura arriva a 80,8 miliardi, pari al 5,8% dell’economia nazionale. E allargando lo sguardo dalle imprese che producono cultura in senso stretto – ovvero industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico-artistico e architettonico, performing arts e arti visive – a tutta la ‘filiera della cultura’, ossia ai settori correlati alla cultura, come il turismo, il commercio, i trasporti, attività immobiliari, marketing e pubblicità, il valore aggiunto prodotto dalla cultura vola dal 5,8 al 15,3% del totale dell’economia nazionale.
Il sistema produttivo culturale vanta infatti un moltiplicatore pari a 1,7: ossia per ogni euro di valore aggiunto prodotto da una delle attività di questo segmento, se ne attivano, mediamente, sul resto dell’economia altri 1,7. In termini monetari, ciò equivale a dire che gli 80,8 miliardi di euro prodotti nel 2012 dall’intero sistema produttivo culturale, riescono ad attivarne quasi 133,4 miliardi, arrivando così a costituire una filiera culturale intesa in senso lato di 214,2 miliardi di euro.
La cultura dimostra dunque ancora una volta di essere uno dei motori primari della nostra crescita. E dunque, come supportarla? Come farla divenire in via definitiva il tratto distintivo, il fattore strategico che può concretamente consentire al nostro Paese di trasformare in leva economica e di sviluppo quel vantaggio competitivo che di fatto già possiede e che consiste nel suo patrimonio culturale? Attualmente l'Italia è infatti la nazione che detiene il maggior numero di siti UNESCO (50) inclusi nella lista dei patrimoni dell'umanità e le dotazioni di tipo museale del nostro paese sono decisamente superiori a quelle di qualsiasi altro competitor internazionale.
Considerato che a livello globale le industrie culturali sono in rapida espansione è probabilmente necessario avere un atteggiamento, da un lato, inwards looking (con l’individuazione delle best practice a livello domestico) e dall’altro outwards looking (con l’individuazione delle best practice a livello europeo e internazionale) che conduca alla creazione di circoli virtuosi di conoscenza e alla costituzione di network internazionali di eccellenza.
Così come, in considerazione del rinnovato ruolo della cultura nel contesto domestico ed internazionale, si rendono necessari strumenti strategici e giuridici innovativi in grado di favorire un adeguato sviluppo socio-economico che consenta di competere efficacemente in una dimensione oramai globale a partire proprio dal rafforzamento di partnership pubblico-private.
È innegabile che il rapporto fra pubblico e privato nello sviluppo della cultura e delle politiche culturali sia stato uno dei temi più complessi dell’ultimo ventennio. La carenza di fondi pubblici e la non sempre efficiente gestione della “cosa pubblica” (facciamo riferimento al patrimonio tangibile) hanno, nel corso degli anni, reso necessario l’intervento del privato: con la gestione di intere strutture, con la gestione di servizi di valorizzazione, con interventi totali di recupero, con le sponsorizzazioni, oltrechè, in taluni casi, attraverso attività di “mecenatismo ” più o meno “puro”.
Giova sottolineare che, tra le varie modalità di gestione del patrimonio culturale, spicca la partnership fra stakeholders pubblici e privati che ha dato vita ai distretti culturali evoluti, la cui caratteristica è data proprio dal fatto che la cultura fa da mediatore tra filiere diverse e complementari: è un modello nel quale la dimensione di sistema è essenziale e richiede una integrazione complessa tra pubblica amministrazione, mondo imprenditoriale, sistema formativo e università, operatori culturali e società civile. Riuscirà l’Art Bonus, da poco varato in Italia, ad aiutare ad andare nella giusta direzione?
Laureata all’Università L. Bocconi di Milano in “Economia politica”, Emanuela Scridel ha lavorato presso Organismi Internazionali quali le Nazioni Unite e la Commissione Europea e presso istituzioni pubbliche e private, fra cui Confindustria, Ministero Affari Esteri, Ministero dei Beni Culturali. E’ attualmente Esperto presso la Commissione Europea e docente di strategie internazionali presso diverse università fra cui SDA Bocconi e LUISS. E’ autrice di numerose pubblicazioni fra cui il volume: “L’India: da paese in via di sviluppo a potenza economica. Strategia di sviluppo e ruolo dei mercati finanziari internazionali”.