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Economia
February 26, 2015
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February 26, 2015
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Il governo Renzi ‘regala’ le Banche popolari alla grande finanza

Massimo CostabyMassimo Costa
Time: 4 mins read

Piano piano l’Italia sta silenziosamente scivolando verso una nuova forma di totalitarismo. Non è un totalitarismo truce, con i carrarmati in piazza. Questo è nuovo, anzi “nuovista”, con un leader che, per conto terzi, sorride, “si gasa” di un’azienda automobilistica che umilia i propri dipendenti e delocalizza la produzione, usa un linguaggio orwelliano, in cui la “brutta scuola” che ci attende viene naturalmente ribattezzata come “la nuova scuola”, e così via.

Chi non è d’accordo non ha voce, è un “gufo”, anzi è un nemico della patria, e le contestazioni sono vietate dalla polizia, che tiene il premier a distanza di sicurezza da tutto il Paese reale, ormai distante da lui anni luce. Gli esempi si sprecano, come quando, pulito pulito, viene a dire a Torino che tutte le università del Sud “devono chiudere”, tra gli applausi di regime e la sicurezza che si avventa sullo studente che, goliardicamente, tenta di conferirgli un cappello di giullare.

Ci resta una speranza, quella della “verità”, che diventa “libertà” quando riesce ad essere divulgata. Tentiamo di svelare gli altarini, e non sono pochi, di questo regime illiberale e parassitario che cresce giorno dopo giorno.

 

Oggi parliamo di Banche popolari, sulle quali si sta abbattendo un’altra delle scuri “riformatrici” di un governo Renzi, basato sulla fiducia di altrettanti nominati. Non si pensi che si tratti di un tema “tecnico”. Quando si dice “tecnico” in Italia lo si fa per nascondere ai cittadini qualcosa di veramente importante. In questo caso, come in tanti altri, si stanno togliendo risorse alla gente comune, al Paese tutto, per donarle a pochi.

Cosa prevede la riforma? Dice semplicemente che tutte le Banche Popolari che superano gli 8 miliardi di capitale investito (che per una banca non sono per nulla, una cifra rilevante) dovranno trasformarsi obbligatoriamente in Società per azioni, cessando di essere Banche Popolari.

In questo caso si confida sul fatto che l’italiano medio, sempre più istupidito dalla TV di regime e dalla “brutta scuola”, sempre meno cittadino e sempre più suddito insomma, non ne capisca nulla e tutto fili liscio. E che soprattutto non sappia che le Banche sono dette “popolari” perché sono imprese cooperative, seppure a mutualità non prevalente. In pratica, le Banche popolari sono le cooperative bancarie, un po’ come le “mutue assicuratrici” sono le cooperative delle assicurazioni e così via. Da oggi vietate per legge nel settore bancario, perché?

 

Si confida sul fatto che in quest’era di analfabetismo di ritorno, economico e giuridico, pochi sappiano in realtà cosa sono veramente le cooperative. Sul finire del XIX secolo, quando in tutta Europa dilagava la Rivoluzione industriale, con le società di capitali come forma giuridica privilegiata per l'esercizio della grande impresa, i lavoratori o i consumatori, coraggiosamente, inventarono una forma del tutto nuova: la cooperativa appunto. La cooperativa è un'alternativa al capitalismo puro e semplice. Fa sempre profitti, come le imprese capitalistiche, ma anziché pagare i costi e distribuire i profitti non accumulati ai portatori di capitale fa esattamente al contrario: cioè paga tutti i costi, tra i quali anche la remunerazione del capitale, e il profitto lo distribuisce a categorie sociali di solito più deboli e meno organizzate: ai lavoratori, sotto forma di salari più alti e più stabili, oppure ai consumatori, sotto forma di beni e servizi di qualità migliore e a prezzi più contenuti.

 

La cooperazione applicata alle banche ha dato vita, in modo specifico, al fenomeno delle Banche popolari. In Sicilia, ad esempio, prima del "sacco" degli anni '90, ce n'erano moltissime, ed erogavano credito vero, disponibile, in una Sicilia economicamente difficile in cui oggi il credito è così rarefatto da essere tornati quasi al baratto. Basti ricordare che la Banca popolare siciliana (poi assorbita dal Monte Paschi di Siena, su "ordine" della Banca d'Italia) era la terza banca dell'Isola dietro al Banco di Sicilia e alla Cassa di Risparmio.

Col tempo, in tutta Italia, molte Banche popolari sono state "fagocitate" dall'ingordigia delle grandi banche, e molte di quelle superstiti si sono ingrandite per sopravvivere. Questo significa pure – va detto – che hanno perso gran parte dell'originario mutualismo.

  

Di questo antico mutualismo, però, era rimasto fino ad oggi il principio più importante: il voto capitario, cioè "una testa, un voto". Ancora oggi i "soci" sono tutti uguali, come in ogni cooperativa. Nelle Spa, invece, non conta più la persona, conta il capitale. Chi mette più capitali diventa padrone della banca. Indovinate un po' chi sarà in grado di scalare queste banche e… mangiarsele e, con esse, il faticoso risparmio di generazioni di lavoratori italiani?

 

Naturalmente i grandi gruppi bancari, in specie stranieri, ai quali si prospetta un immenso shopping a buon mercato. La manovra è questa. Tutte le Banche popolari che non siano "giocattoli" locali, sono costrette a diventare Società per azioni. Poi, con gli standard di Basilea, che non sono mai serviti a nulla se non a favorire la concentrazione bancaria globale (ma questa è un'altra storia che magari racconteremo un'altra volta), si costringono le suddette banche a ricapitalizzarsi. Le grandi banche globali, quelle che creano infiniti valori dal nulla, se le inghiottono in un sol boccone, ed il gioco è fatto.

La storia repubblicana è costellata di governi servizievoli nei confronti della grande finanza, ma qui siamo a qualcosa di inqualificabile che non vogliamo meglio definire per evitare querele per ingiuria o vilipendio.

 

Naturalmente non si può dire alla luce del sole: anzi si deve dire il contrario, che lo si fa per modernizzare e rafforzare il sistema bancario italiano. È il solito argomento di chi è a servizio dei grandi gruppi oligopolistici. La storia economica italiana dimostra in concreto effetti opposti. Qualche decennio fa ci spiegavano che bisognava far comprare le banche siciliane ai grandi gruppi bancari nazionali, perché così il sistema sarebbe diventato più efficiente e il costo del denaro sarebbe diminuito. A queste storie poi è seguita nella realtà una recrudescenza nella scarsità del credito a casa nostra e un rafforzamento dell’oligopolismo della grande finanza. Perché oggi dovrebbe essere diverso?

Un patrimonio di generazioni svenduto per decreto. Però il Paese è più “moderno”, volete mettere? A questo punto mi viene un po’ di nostalgia per l’antico… Sarà legittima?

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Massimo Costa

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