Con understatement nei toni e rigore nell'analisi, il giornale inglese The Economist sostiene che Renzi dovrebbe pensare meno alla flessibilità di bilancio in Europa e più a quella nel mercato del lavoro italiano: “…Se Renzi non riuscirà a ridare slancio all’economia i risultati ottenuti saranno inutili. Per farcela c’è bisogno di una serie di riforme strutturali: liberalizzazioni, privatizzazione delle aziende statali, processi più veloci e lotta alla corruzione endemica”.
Un importante think tank britannico, il Centre for Economic and Business Research, ci avverte che nei prossimi anni la crescita non solo ridisegnerà la tradizionale idea che da decenni abbiamo delle dimensioni e della forza delle economie sulla base del boom dei paesi emergenti; secondo il CEBR i cambiamenti riguarderanno anche le “vecchie” economie occidentali, in particolare quelle europee. Le previsioni, forse azzardate, sono queste: la Gran Bretagna supera addirittura la Germania, grazie a un regime fiscale più favorevole e peso minore dei problemi legati all’Eurozona. Si prevede che la Cina superi per dimensione economica gli Stati Uniti, un “sorpasso” previsto per il 2028. Contemporaneamente l’India dovrebbe superare il Giappone diventando il terzo paese del mondo per PIL. Anche la Germania continuerà a crescere, frenata però dal negativo andamento demografico e dalla “pesantezza” dell’economia della zona euro. Londra supererà Parigi nel 2018, e Berlino nel 2030. Nel 2028 l’economia francese passerà dal quinto posto attuale al tredicesimo. E l’Italia che si trova all’ottavo? Sarà retrocessa al quindicesimo.
Già oggi numerosi indicatori dovrebbero costituire segnali d’allarme di cui tener conto. Fatturato e ordinativi confermano per esempio la battuta d’arresto dell’industria nel mese di maggio. L’ISTAT registra un calo su base mensile (-1 per cento). La zavorra non è solo il mercato interno, minato da una domanda debole; la performance peggiore spetta all’estero, segno di un export che arranca.
“L’Italia era in crisi prima della crisi e continua a esserlo”, lo dice Confindustria secondo il cui Centro studi nel 2014 il PIL registrerà una “crescita piatta”. Le ultime stime indicavano un non esaltante +0,2 per cento, ma è possibile che sia inferiore: “L’attenzione – si legge nel comunicato diffuso da Confindustria in occasione della presentazione dello studio – ora, è rivolta al 2015 il cui risultato va costruito nella seconda metà di quest’anno. Partendo da fermi l’impresa è più difficile, ma non impossibile se si agisce in prima battuta sul credito, sulla competitività e sugli investimenti pubblici”.
La Commissione UE avverte di un nuovo ulteriore calo per i consumatori europei dopo la timida ripresa registrata da marzo a maggio e la “tenuta” segnata a giugno. L’indice di fiducia dei consumatori diminuisce infatti di 1,2 punti nell’Eurozona e di 0,9 punti nell’insieme dell’Unione europea. Secondo il centro studi di Confindustria, l’economia globale sta ritrovando slancio grazie agli Stati Uniti e ad alcuni mercati emergenti, ma le vendite italiane oltre i confini europei sono “in altalena” e si registra un calo delle esportazioni extra-UE a giugno del 4,3 per cento rispetto a maggio.
“La vera scommessa del sistema Italia – è l’ennesimo proclama di Renzi fatto al rientro da una missione in Africa la scorsa estate – è il ‘Made in’”. Sull'export Renzi dice: “Abbiamo ampi margini di miglioramento. Siamo a circa 30 miliardi e possiamo crescere molto, molto, molto di più. Per farlo abbiamo deciso di mettere in piedi un vero e proprio piano industriale per il sistema paese che prevede di portare 22.000 nuove aziende a investire all'estero e far crescere di almeno un punto di PIL da qui alla fine del progetto dei 1.000 giorni sui temi legati alle esportazioni”.
Come sia conciliabile l’ottimismo di Renzi con gli scenari descritti, analizzati ed elaborati dai vari centri studi ed esperti di cui abbiamo fatto sommaria sintesi, non lo si comprende bene.
L'Istat segnala che l’export extra-UE, rispetto a giugno 2013, diminuisce del 2,8 per cento. Una flessione annuale è particolarmente intensa per i beni di consumo durevoli (-9,7 per cento), l'energia (-5,6 per cento) e i beni strumentali (-4,4 per cento). C’è poco da girarci intorno: la partita si gioca intorno a quei nodi individuati dall'Economist: “[…] per l’Italia che è in fondo all’abisso, è più importante varare le più importanti riforme; […] Se Renzi non riuscirà a ridare slancio all’economia i risultati ottenuti saranno inutili. Per farcela c’è bisogno di una serie di riforme strutturali: liberalizzazioni, privatizzazione delle aziende statali, processi più veloci e lotta alla corruzione endemica”.
Mario Baldassarri, economista e viceministro all’Economia dei governi Berlusconi, liquida con una battuta tutte le discussioni e le proposte di queste ore su manovre, tagli di spesa, ipotesi di riduzione tasse: “In Italia è così: se conosci non decidi, se decidi non conosci”. Nei prossimi anni, dice Baldassarri, “ci saranno più tasse, più spesa corrente e meno investimenti. Renzi sta usando lo stesso trucco degli ultimi trent’anni: si taglia il futuro aumento delle spese, non gli sprechi attuali, si taglia il futuro aumento delle tasse, e non le tasse che già paghiamo”. Ma come stanno le cose, e che decisioni dovrebbero essere assunte? “Punto primo tagliare 40-50 miliardi di spesa subito, denaro col quale ridurre le tasse a lavoratori e imprese e stimolare gli investimenti” continua Baldassarri. Nei bilanci dello Stato ci sono una trentina di miliardi stanziati a fondo perduto, e che non producono posti di lavoro; non vengono però toccati perché sono appannaggio, dice Baldassarri, di un paio di milioni di “intoccabili”. Se poi si aggiunge che questa pratica dura da una ventina di anni, se ne ricava una cifra che equivale a circa metà del nostro debito pubblico. “È un potere trasversale che è riuscito a mettere in scacco la destra e la sinistra”, è l’amara conclusione. Questa la situazione, questi i fatti.