Secondo recenti sondaggi condotti dall'organizzazione di analisi politica Pew Research Center for People and the Press e dalla societá di rilevazioni statistiche Rasmussen gli argomenti che molto probabilmente avranno un maggiore impatto sui risultati delle elezioni americane di medio termine di novembre, sono svariati.
Dalla riforma dell'immigrazione all'ambiente; dal problema dell'assistenza sanitaria in America agli eterni tumulti politici in Medio Oriente.
E tuttavia, come accade puntualmente ad ogni tornata elettorale, il fattore determinante sulle decisioni di voto degli elettori statunitensi sembra essere ancora una volta la situazione economica e occupazionale del paese.
Malgrado gli inequivocabili segni di miglioramento dei parametri economici verificatisi nel corso degli ultimi cinque anni, gli americani si considerano ancora per lo piú insoddisfatti dello status quo. Una situazione questa che, in vista delle elezioni di novembre, manda in fibrillazione il Partito Democratico perché questa consultazione elettorale sará inevitabilmente un referendum sulle scelte politiche del presidente Obama e della sinistra che ha nominalmente detenuto la maggioranza durante questi anni.
Questo controllo maggioritario in realtá é puramente nominale poiché il sistema politico americano consente al partito di minoranza di bloccare quasi completamente l'attivitá legislativa; una prerogativa questa che il contingente repubblicano alla Camera e al Senato ha sfruttato in maniera indiscriminata, al limite del sabotaggio.
E tuttavia, l'opinione pubblica Usa, soprattutto la classe media, non ha tutti i torti a sentirsi lasciata al palo da una ripresa economica che continua ad apparire fiacca dal punto di vista dell'occupazione malgrado un susseguirsi di record dei profitti aziendali e un indice azionario in continua ascesa .
Dal punto di vista della performance economica, Barack Obama appare sempre piú come un presidente "sfortunato" nel senso che si é ritrovato a ricoprire la sua carica nel momento sbagliato. La sua amministrazione si é insediata durante l'esplosione della piú grave crisi finanziaria degli ultimi novant'anni a cui é seguita una contrazione economica che ha decimato sia il PIL che la situazione occupazionale costringendo il presidente a prendere decisioni che, in varie circostanze, gli sono valse l'ostilitá sia della destra che della sinistra.
Ma, in aggiunta a tutto questo, Obama é anche il primo leader americano a presiedere ad una delle piú profonde ed epocali trasformazioni dell'assetto produttivo ed economico mondiale avvenute dal Dopoguerra ad oggi.
Negli anni Cinquanta l'industrializzazione su entrambe le sponde dell'Atlantico ha contribuito alla creazione di un solido ceto medio che ha partecipato attivamente alla spartizione della ricchezza prodotta e ha garantito la creazione di uno stabile e prospero assetto sociale.
Agli albori del ventunesimo secolo tuttavia, la situazione é cambiata in maniera radicale.
I progressi dell'automazione nei processi produttivi che continuano a soppiantare la manodopera; l'indebolimento della rappresentativitá sindacale all'interno delle aziende e, soprattutto, la delocalizzazione dell'attivitá manifatturiera verso i paesi in via di sviluppo, hanno cambiato per sempre il volto delle economie occidentali.
Come tutti i profondi cambiamenti tettonici, anche quelli in atto da un decennio a questa parte sono stati tanto lenti e graduali da risultare quasi impercettibili. E' solo dopo l'esplosione della crisi finanziaria del 2007-09 che questa nuova realtá economica é venuta alla luce in tutta la sua complessitá e drammaticitá per l'impatto col quale ha concretamente cambiato la vita delle persone.
Uno dei primi economisti a prospettare uno scenario di questo genere é stato Larry Summers, ex ministro del Tesoro nell'amministrazione Clinton ed ex direttore del Consiglio Nazionale per l'Economia nell'amministrazione Obama.
Summers ha capito che la lentezza della ripresa economica che tanto preoccupa i membri del Partito Democratico é figlia della globalizzazione e costituisce il segno di una fase completamente nuova nella storia dell'economia mondiale tanto da meritarsi un nome che ne mette in risalto il carattere permanente: "secular stagnation", stagnazione secolare.
Quindi, mentre gli americani si lamentano della propria condizione economica, e danno la colpa al presidente in carica, in pochi si rendono conto che queste trasformazioni, in atto in tutti i paesi industrializzati, non sono piú da considerare come le conseguenze di medio termine dei prevedibili alti e bassi del ciclo produttivo ma come mutamenti strutturali di lungo periodo che, per molti aspetti, rendono la situazione in America invidiabile rispetto a quanto accade nel resto del mondo occidentale.
Ecco qui sotto il "Weekly Address" di Barack Obama dedicato alla "Great Recession" e intitolato: We Do Better When the Middle Class Does Better