Secondo una ricerca svolta dagli analisti di Sollevazione sono 8,7 i punti di PIL persi dal 2007 ad oggi. -9 punti per il PIL pro capite e -10 punti per il reddito reale disponibile per le famiglie che hanno ridotto i consumi del 10% solo negli ultimi due anni. Crolla di altrettanti 9 punti la ricchezza nazionale, e nello stesso periodo 2007/2013 crolla anche la produzione industriale del 25,5%. In circa 12 anni abbiamo perso 120.000 fabbriche oltre le 75.000 imprese artigiane costrette a chiudere. Il 2013 è stato l’anno dei fallimenti: ne sono stati registrati 111.000. La disoccupazione? Dal 2001 con l’ingresso nell’Eurozona abbiamo perso 1 milione e 160 mila posti di lavoro: la percentuale di riferimento si è raddoppiata dal 6,1% al 12,7%. Attualmente abbiamo circa 6 milioni e mezzo di disoccupati 3 milioni e 300 quelli ufficiali e altri 3 milioni i cosidetti “sfiduciati”, quelli che non si rivolgono nemmeno più ai centri per l’impiego. Anche la mancanza di credito ha creato i suoi buoni danni e non dimentichiamo i tassi: in Italia il credito ha tassi pari al 4,49% mentre negli altri paesi sono stabili sul 3,8%. E la tassazione? Chiamiamola meglio supertassazione quella imposta dall’Europa all’Italia che è arrivata al 44% del PIL. Solo l’Ungheria ha avuto un aumento delle tasse superiore a quello dell’Italia. “Si tratta di un circolo vizioso – ci fanno notare sempre gli analisti di Sollevazione – aumentano le tasse a chi già le paga per arginare il calo delle entrate”. Con il Fiscal Compact e l’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione tutto questo significa la fine dello stato sociale e dei servizi vitali: scuola e sanità.
E a proposito di istruzione è attesa per venerdì la presentazione della riforma della scuola promossa dal Ministro Stefania Giannini (ma il governo ne avrebbe appena annunciato un ulteriore rinvio perchè al Consiglio dei Ministri c'erano troppi temi in discussione…) Il premier Matteo Renzi in questi giorni ne ha dato qualche anticipazione come fosse il trailer di un bel film tutto da vedere: il suo stile televendita però inizia a non convincere più soprattutto se i contenuti sono sempre meno consistenti.
I punti ritenuti più “rivoluzionari” sono lo stop alle supplenze (considerate “l’agente patogeno del sistema scolastico, cosi come le ha definite il Ministro) la valutazione dei docenti in base al merito e non all’anzianità, inglese ed informatica fin dalle elementari e detassazione delle scuole paritarie.
Ma vediamo nello specifico in 10 punti come dovrebbe cambiare la scuola italiana:
Nuove assunzioni:
Andranno a sostituire i pensionamenti tra il 2017 ed il 2022. 600 nuovi presidi e un nuovo concorso nel 2015 per i precari.
Nuove regole:
Verranno ridimensionati gli scatti di anzianità. La formazione sarà permanente ed obbligatoria. I volontari che si offriranno ad insegnare più ore verranno riconosciuti degli incentivi.
Nuova autonomia:
Il dirigente scolastico gestisce le ore dell’autonomia. Nasce l’organico di rete.
Nuovo reclutamento:
L’abilitazione all’insegnamento verrà conseguita dopo la laurea magistrale più un anno di tirocinio in classe. Spariscono le graduatorie d’istituto.
Nuovi premi:
Un miliardo per stipendi premi. Ipotesi di sponsor privati per laboratori didattici. Più fondi per le scuole dell’infanzia. Potenziamento delle reti di connessione internet per lavagne multimediali.
Nuova didattica:
Inglese ed informatica fin dalla scuola primaria. La Storia e la Geografia verranno inserite negli istituti tecnici, previste anche più ore di Musica e di storia dell’Arte.
Nuova rapporto scuola/lavoro:
Previsti stage in aziende e laboratori artigianali.
Scuole Paritarie:
Revisione legge Berlinguer: scuole Paritarie detassate.
Nuove regole per disabilità:
Il rapporto tra insegnante di sostegno e alunni disabili sarà 1/2.
In effetti la riforma cosi riassunta non fa intravedere aspetti particolarmente riformisti. Sembra addirittura per certi versi l’estrenazione dell’ovvio. La valutazione dei docenti, la formazione obbligatoria e costante, il re- inserimento della musica e della storia dell’arte anche negli istituti tecnici, cosi come lo studio della lingua straniera e dell’informatica fin dalle prime classi. Sono scelte che appaiono come fisiologiche, che dovrebbero essere state già assunte proprio per caratterizzare una scuola al passo con i tempi.
Una scuola competitiva deve a sua volta formare giovani competitivi, proiettati non più in un ambito prettamente locale-nazionale, ma doverosamente internazionale. In fondo l’Italia è un paese europeo con tutti i pro e i contro. Quello deve essere l’obiettivo: raggiungere degli standard formativi che garantiscano ad un giovane italiano un’istruzione tale che possa tener testa alle sfide europee. Anche perchè diciamocelo chiaramente, in Italia la preparazione non serve necessariamente. Accettatela anche come provocazione. Siamo un paese in cui la “spintarella” può tutto, e la maggior parte delle volte i “sospinti” sono proprio quelli meno preparati. Tutto ciò comporta non solo una profonda frustrazione in coloro che hanno perso notti intere sui libri, ma getta a terra i livelli di qualità del servizio in questione. Anche per questo in certi ambiti, con particolare concentrazione in quelli amministrativi e politici, l’Italia conta numerosi somari collocati in posti di comando o di gestione, che rappresentano e producono autentici disastri per il nostro paese.
La meritocrazia applicata agli insegnanti, la valutazione del loro operato credo che sia un processo naturale se puntiamo ad una scuola di qualità. Ma lo ritengo discriminatorio se “sulla carta” pretendiamo una scuola meritocratica e poi alla fine dei conti quando si parla di inserimento nel mondo del lavoro si continua a premiare il parente somaro, l’amico somaro, la fidanzata somara, o qualsiasi altro ignorante che sia disposto a scendere a compromesso pur di arrivare… Mi spiegate queste riforme a chi le stiamo facendo?
Cambiare, riscrivere le regole della scuola, e non solo, in questo momento storico significa avere cognizione profonda delle difficoltà reali di questo paese ed affrontarle con responsabilità e coraggio. Chi ridisegna il sistema scolastico oggi deve intenderlo come anticamera del mondo del lavoro: avere una visione delle opportunità di lavoro che i nostri giovani potranno costruire domani.
Diversificare l’offerta formativa aprendo ad antichi e nuovi mestieri potrebbe essere un’interessante esperimento. Offrire la possibilità ai nostri ragazzi di formarsi professionalmente già in sede scolastica, con un eventuale ulteriore anno di tirocinio post scuola.
Il potenziamento degli istituti professionali, nei quali inserire anche il trasferimento di certe maestranze legate alle tradizioni locali e agli antichi mestieri in via d’estinzione è un’opportunità dalla quale non si può prescindere, specie in certi territori, per contrastare la disoccupazione dilagante. Abbiamo bisogno di istituti professionali completi per tutti quei ragazzi che per scelta non andranno mai all’università, e che non possiamo più parcheggiare nei call center a 400 euro al mese. Istituti che li educhino a creare, ad intraprendere, a scommettere su loro stessi e sulle loro idee. Ma di tutto questo nella riforma che verrà presentata domani non vi è traccia.