Caro Direttore,
Vorrei condividere con te un'esperienza vissuta qualche giorno fa in Sicilia, dove mi trovo come ogni anno in vacanza. Consentimi di condividerla con una premessa doverosa: quanto racconto non va interpretato come un appunto critico nei confronti dell'Isola. Che infatti non soltanto adoro, ma dove se potessi mi trasferirei da domani a vivere, tanto che come vedi la cito usando la "i" maiuscola.
No, caro Direttore, il destinatario della mia ironia è invece la scalcinata galassia, ma potrei dire anche quella sorta di appiccicosa ameba che risponde al nome di industria creditizia italiana. Le banche, insomma.
E vengo al racconto. La storia è fresca, roba di tre giorni fa, e la racconto senza acrimonia, ma soltanto in quanto la trovo da un lato divertente in se' – l'età e la vita mi hanno reso un uomo di spirito avendo capito che gli incazzosi si rovinano da soli la salute – e dall'altro paradigmatica della problematicità del nostro sistema bancario nell'attuare quella che dovrebbe essere la loro prima missione aziendale: il servizio al cliente.
Di passaggio da San Cataldo (in provincia di Caltanissetta) e avendo bisogno di cambiare una banconota da 50 euro, ero entrato fiducioso nella filiale del Credito Siciliano, che fa parte del Gruppo Credito Valtellinese. Già questo, ammettilo, fa sorridere e consentirebbe di aprire un capitolo su quella sciagurata e schizofrenica stagione di acquisizioni e fusioni bancarie attuata da manager strapagati, ma del tutto ignoranti senz'altro in materia di geografia, ma soprattutto analfabeti rispetto a quello straordinario vocabolario italiano fatto di preziose "sfumature" che prendono il nome di culture locali. Un matrimonio societario, quello tra una banca isolana e un gruppo creditizio aggrappato a montagne quasi svizzere, che mi suona stonato come un cannolo farcito di rustico Bitto d'alpeggio anziché di dolce ricottedda isolana, rigorosamente di latte ovino.
Ma vai a parlare tu a un banchiere di culture locali; sarebbe più facile spiegare a me, nota "bestia" in materie scientifiche, di teorie quantistiche o di logaritmi.
Infatti "Grande è bello!", hanno ripetuto come macchinette per anni quei manager alle conferenze stampa, tronfi in favore delle telecamere. Mentre la grandezza si è poi rivelata essere quel che in effetti era: unicamente bulimia. Insomma, una brutta malattia. Al punto che oggi le banche si sono ridotte a vendere di tutto, anche biciclette e frullatori. Per non dire che pretenderebbero da te, cliente, che già le retribuisci con un canone annuo, l'esecuzione di certe operazioni al Bancomat (ATM) oppure online. Facendotele per di più anche pagare, versione creditizia del detto "mazziato e cornuto". Richieste alle quali io oppongo ostinatamente un cortese rifiuto: "Vi pago, per questo; quindi lavorate voi per me, grazie!"
Ma questa è un'altra storia e mi porterebbe lontano dalla mia amata Sicilia
Ritorno quindi da dove ero partito, dalla filiale del Credito Siciliano di San Cataldo, proprio in pieno centro (mi pare si chiami piazza Vittorio Emanuele). Quando è stato il mio turno, dopo una discreta attesa dovuta alle lamentazioni esistenziali con il cassiere da parte del cliente che mi precedeva – io in verità me le sono godute come fossero un racconto del mio adorato Vitaliano Brancati – ho avuto forse la malaugurata idea di esordire dicendo che la mia sarebbe stata una cosa da poco: appunto, soltanto cambiare una banconota. Malaugurata in quanto non mi ha portato bene.
"Non è possibile", è stata la risposta, peraltro cortese, da parte dell'impiegato dopo avermi squadrato con attenzione.
"Scusi, ma perché mai? Questa è si o no una banca?", ho replicato.
"Certo, ma mi sembra che lei non sia titolare di un conto presso di noi".
Disorientato da una riposta assolutamente inattesa, ho eccepito che a oggi, in tutta la mia vita – non sono propriamente un ragazzino, vado verso i 62 anni! – non mi era mai capitata una simile obiezione in nessuna banca né in Italia né in giro per il mondo (e ne ho girato parecchio, di mondo, per lavoro!).
Nulla da fare. Se proprio volevo cambiare la banconota, ha aggiunto l'impiegato, sarebbe stato senz'altro possibile, ma avrei dovuto attivare una procedura di registrazione del mio nome presso quella banca (ovvero da una banca di un luogo dove ero solo di passaggio, vivendo io a Milano).
A quel punto ho logicamente desistito, immaginando il tempo che avrei perso io e che in fondo avrei fatto perdere a loro. Pare infatti – così mi hanno confermato amici già vittime di esperienze analoghe – che queste siano le nuove regole fissate dall'Abi, l'Associazione bancaria italiana; regole decise con buona probabilità in un convegno organizzato nella stessa sede congressuale dei produttori e assaggiatori di grappa e acquavite. Insomma, regole scritte sotto un forte influsso alcolico.
Avviandomi rassegnato verso l'uscita dell'istituto di credito, ho solo aggiunto, con quella che mi sembrava un'evidente battuta – lo ammetto, é un mio vizio – che se una banca italiana non era in grado di cambiarmi una banconota da 50 euro in cinque tagli da 10, allora avrei provato a farmi cambiare la banconota dal panettiere accanto.
"Sì, magari provi dal panetterie", è stata la risposta del cassiere. E quella sì, lo confesso, mi è risultata davvero fastidiosa. Ma forse, ho pensato poi, la verità è che le battute di spirito mal si addicono alla categoria bancaria. "Buono Guido, forse proprio non le capiscono", mi sono detto uscendo senza più replicare, non essendo mai stato un litigioso e avendo anche l'antica abitudine di essere una persona educata.
Ma forse un giorno in quella banca ci ritornerò; non per cambiare una banconota, ma per comprare un filone di pane fresco.
*Guido Mattioni, giornalista e scrittore, è l'autore dei romanzi Ascoltavo le maree e Soltanto il cielo non ha confini.