Il John F. Kennedy Center for the Performing Arts di Washington, ha un nuovo presidente del consiglio di amministrazione, e il suo nome non lascia spazio a interpretazioni, Donald Trump. È la prima volta che un presidente in carica assume questo ruolo, e con lui arrivano cambiamenti radicali già pronti a investire il mondo dell’arte e della cultura americana.
Il direttivo, composto in larga parte da fedelissimi del magnate, ha ufficializzato la nomina con effetto immediato. Una decisione che non ha tardato a far discutere, soprattutto dopo l’annuncio della fine della programmazione “woke”, la consapevolezza per le ingiustizie sociali, un concetto che, secondo lo stesso Trump, ormai “non esiste più in questo paese”.
Tra le prime conseguenze dell’incarico, il licenziamento della presidentessa Deborah Rutter, che avrebbe dovuto lasciare il suo posto solo a fine 2025. Le subentra Richard Grenell, un ex funzionario dell’amministrazione repubblicana, più noto per le sue consulenze a oligarchi accusati di corruzione che per la passione per le arti performative.
Il terremoto istituzionale ha già provocato una serie di dimissioni eccellenti. Shonda Rhimes, che ricopriva il ruolo di tesoriera nel consiglio, ha annunciato il suo addio, seguita dalla cantante lirica Renée Fleming e dal musicista Ben Folds, consulente della National Symphony Orchestra.
A sostituire i membri uscenti, un nuovo gruppo di consiglieri vicini al Presidente, tra cui Pam Bondi, ex procuratore generale e fedele alleata politica, e Lee Greenwood, il cantante della patriottica “God Bless the U.S.A.”, da sempre una delle canzoni preferite dal leader del GOP. Nell’elenco figurano anche Dana Blumberg, moglie del miliardario Robert Kraft, e Andrea Wynn, consorte dell’imprenditore dei casinò Steve Wynn, costretto alle dimissioni nel 2018 a causa di uno scandalo sessuale.
Il Kennedy Center, sede della National Symphony Orchestra, della Washington National Opera e del Washington Ballet, parzialmente finanziato dal governo federale, è sempre stata considerata un’istituzione apartitica. Ma l’ingresso di Trump segna un cambio di rotta senza precedenti e lascia parecchi interrogativi sul futuro della programmazione artistica e sulla libertà culturale dell’organizzazione.