Domenica 23, tra le 8 e le 18, circa 61 milioni di tedeschi (su 83 milioni di abitanti) potranno esercitare il diritto a scegliere, tra i 29 partiti presenti nelle liste, i 630 membri del Bundestag (parlamento federale). Quasi il 40% degli elettori ha più di 60 anni e il 14% fra 18 e 29; poco più della metà sono donne. Alle 18 scadrà anche il termine per l’arrivo dei voti espressi per posta.
L’affluenza, secondo tradizione, dovrebbe risultare piuttosto alta: nelle due ultime tornate parlamentari, ha votato più del 76% degli aventi diritto.
Il sistema misto che regola l’espressione del voto nella Repubblica Federale Tedesca – tuttora sotto la lente della Corte Costituzionale Federale e, pertanto, passibile di modifiche e interpretazioni – viene definito “proporzionale personalizzato”. È preordinato alla formazione di una coalizione di governo, dando per scontato che un singolo partito non possa raccogliere più della metà dei consensi.
La scheda ha due colonne: su una si indica la preferenza per un candidato del collegio nel quale l’elettore risulta iscritto, sull’altra per un candidato presente nella lista regionale di partito o dei candidati (Landesliste). Il primo voto garantisce la rappresentanza locale diretta (Direktmandat) in collegi da 250mila persone per i primi 299 deputati del Bundestag. Il secondo fissa il punteggio di ciascun partito fissando la distribuzione proporzionale dei seggi per il quadriennio del mandato.
Può accadere che un partito ottenga, nella prima colonna, un numero di seggi superiore a quello risultate nella ripartizione proporzionale della seconda: in questo caso restano fuori dal Parlamento i candidati non supportati dal peso della loro lista nella seconda colonna. Il Bundestag rispecchierà fedelmente la distribuzione proporzionale del consenso, benché espresso in due forme: di collegio e di lista.

La prima sessione del nuovo Bundestag deve tenersi, per disposizione della Costituzione, entro 30 giorni dalle elezioni. A essa si presenterà, per il voto di fiducia, la persona incaricata dal presidente della Repubblica di formare il governo, ovvero il leader del partito che avrà ricevuto più voti. I pronostici dicono che Frank-Walter Steinmeier affiderà l’incarico a Friedrich Merz, presidente dal 2022 dell’Unione Cristiano-Democratica di Germania (Cdu), renano cattolico e politico di lunghissimo corso. Il raggruppamento democristiano, al quale contribuisce l’Unione Cristiano-Sociale in Baviera (Csu), è dato attualmente al 30%, sopra la destra estrema di Alternativa per la Germania (AfD) al 20%, e partito Socialdemocratico (Spd) fermo al 15%.
Per governare, Cdu/Csu avrà bisogno di almeno un alleato di governo. Indiziata l’Spd, specie se i liberali – non superando la soglia del 5% o non ottenendo, in alternativa, almeno 3 Direktmandat – non dovessero entrare al Bundestag.
Raccontata così, la situazione tedesca sembra non avere molto da dire, ma dietro le previsioni elettorali in sostanza scontate, sta una situazione in movimento che potrebbe improvvisamente accelerare e divenire critica.
Sommandosi alla recessione economica (2024, -0.2%; 2023, – 0,3%) che al più evolverà in stagnazione (a pesare sono in particolare due situazioni che non si modificheranno a breve: la guerra russa e le mancate vendite di auto alla Cina), potrebbe infatti aprirsi una crisi politica che non si esclude possa avvalersi dell’inclinazione di parte dei democristiani ad aprire ad AfD.
Si parta dal considerare le ragioni che hanno portato allo scioglimento anticipato del Bundestag. Nel governo uscente (Spd, Verdi e Liberali), il ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, si è opposto all’aumento del debito pubblico per finanziare i 15 miliardi di aiuti promessi all’Ucraina. Non sarà il nuovo esecutivo a poter sciogliere il nodo che in Germania lega crisi economica e aggressività russa, visto che dall’Ostpolitik (1969) di Willy Brandt in poi, il Paese ha messo la locomotiva del suo sviluppo politico ed economico sul binario della costruzione Ue e della collaborazione con la Russia. Le misure sui dazi annunciate da Trump renderebbero ulteriormente difficile l’orizzonte tedesco: al calo di vendite di automobili in Cina si sommerebbero ulteriori ritocchi alle quote di esportazione, con prospettive di reazioni a catena per nulla tranquillizzanti. Ciò in una situazione economica che, documentando prezzi alti al consumo, alti costi dell’energia per famiglie e imprese, alti tassi d’interesse per aziende e mutui privati, crisi del settore automotive con punte fortemente critiche come in Volkswagen, genera crescente malcontento e disaffezione verso i partiti tradizionali.
Il survey del riassicuratore tedesco R&V, effettuato tra il 23 e il 25 gennaio su 1.000 potenziali elettori e appena pubblicato, ha evidenziato che il 70% degli intervistati si lamenta per il crescente costo della vita (57% l’estate scorsa), il 68% teme la recessione economica (48% nel trimestre giugno-agosto 2024). Il 60% giudica inadeguato alle sfide dei tempi il ceto politico e il 75% si rammarica per la polarizzazione della società (era il 48% la scorsa estate).

Illuminante, per l’approfondimento delle tendenze dell’opinione pubblica, il risultato dell’inchiesta condotta da ARD-Deutschlandtrend lo scorso 9 gennaio. Di seguito il livello percentuale di preoccupazione presente nell’elettorato rispetto ai singoli fenomeni, con l’indicazione dell’incremento/decremento su dicembre 2024: immigrazione 37% (+14%), stato dell’economia 34% (+ 11%), conflitti armati/politica estera 14% (-4%), cambiamento climatico/protezione ambientale 13% (-1%), diseguaglianza/povertà 11% (0%), istruzione 8% (0%), sicurezza interna/crimine 8% (+4%), sistema pensionistico 7% (+1%), inflazione 7% (+1%), assistenza sanitaria 6% (+1%).
Con evidenza la campagna elettorale, attraverso l’azione propagandistica dei partiti assenti dalla coalizione di governo uscente, è riuscita a far salire la preoccupazione su problemi come l’economia, le migrazioni e la sicurezza interna (in totale 86%, con incremento in un mese del 30%). Al contempo è scesa la percezione dei cavalli di battaglia del governo “progressista”: la politica estera e le politiche sociali con quelle ambientali contano solo per il 51% nelle preoccupazioni degli elettori e documentano un ulteriore calo. Sull’immigrazione gioca in particolare AfD, ma non si dimentichi che i democristiani sulla questione hanno presentato il 29 gennaio al Bundestag una mozione condivisa con AfD mirante all’ulteriore restringimento delle maglie per migranti economici e richiedenti asilo.
Nel questionario brilla la totale assenza della questione Ue e la scadente rilevanza (per giunta ulteriormente in discesa) offerta alle questioni di politica estera e di difesa, ma il prossimo governo non potrà non considerarle una priorità.
Si tratterà di terreno fertile per la propaganda di AfD e sue possibili alleanze di fatto con i rossi di Linke (scissione a sinistra di Spd del 2007) e i populisti filorussi di Bündnis Sahra Wagenknecht – Vernunft und Gerechtigkeit (BSW, lett. “Alleanza Sahra Wagenknecht – Ragione e Giustizia”). Sempre che Afd, grazie anche all’aiuto di Elon Musk, capitalizzi davvero il 20% che gli si accredita per le elezioni del 23 febbraio.