Cominciano a circolare nuovi dettagli circa Shamsud-Din Jabbar, il 42enne texano che nella notte di Capodanno ha travolto con il suo pick up Ford la folla presente a Bourbon Street, uccidendo 15 innocenti e ferendo oltre 30 persone.
Jabbar, nato e cresciuto negli Stati Uniti, era un veterano dell’esercito, dove aveva prestato servizio nel settore delle risorse umane e della tecnologia dell’informazione, venendo dispiegato in Afghanistan dal 2009 al 2010. Era diventato un riservista nel 2015 prima di congedarsi con onore nel 2020, con il grado di sergente maggiore. Una volta lasciate le armi, aveva iniziato a lavorare per aziende specializzate in servizi di consulenza, come il colosso Deloitte.
Secondo gli inquirenti, però, è stato proprio durante il ritorno alla vita civile che il 42enne avrebbe cominciato ad avvicinarsi sempre di più agli ideali dello Stato Islamico. Dopo la strage dell’ultimo Capodanno, al termine della quale lo stesso Jabbar ha perso la vita in seguito ad un conflitto a fuoco con la polizia, gli agenti hanno perquisito il suo pick up, trovandovi una bandiera dell’Isis e diverse armi, tra cui un ordigno esplosivo.
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Gli investigatori hanno inoltre scoperto che, nel 2023, il 42enne texano fece un viaggio in Egitto, dove rimase per circa un mese. Disse ai suoi familiari di aver scelto quella meta in quanto fosse “bella ed economica”. Ora, gli inquirenti stanno indagando sul soggiorno di Jabbar in Nord Africa.
Secondo alcune fonti, infatti, le forze dell’ordine credono che la completa radicalizzazione dell’ex soldato americano verso lo Stato Islamico sia avvenuta qui. Per questo motivo, dunque, come affermato dal procuratore distrettuale di New Orleans, Jason Williams, gli investigatori stanno cercando di stabilire cosa fece Jabbar durante il suo soggiorno egiziano, per quale motivo scelse proprio quella meta e se incontrò altri seguaci dell’ISIS.
Secondo l’FBI, inoltre, ore prima dell’attacco di Capodanno, il 42enne aveva pubblicato online diversi video in cui “proclamava il suo sostegno all’ISIS” al quale aveva detto di essersi unito durante l’estate. Dalle prime indagini, sembrerebbe che l’uomo fosse in contatto con almeno un rappresentante dello Stato Islamico: tuttavia, quest’ultimo non ha mai rivendicato l’attentato della scorsa notte.
In un altro aggiornamento di venerdì, le autorità hanno rivelato che Jabbar aveva appiccato un piccolo incendio nel corridoio della proprietà che aveva affittato a New Orleans, in Mandeville Street prima dell’attacco, nel tentativo di eliminare alcune prove. Gli investigatori, però sono arrivati sul posto prima che le fiamme si propagassero pericolosamente, trovando materiali per la fabbricazione di bombe e un silenziatore.
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Le indagini avevano inizialmente ipotizzato la presenza di eventuali complici. Tuttavia, l’FBI sostiene che l’uomo ha agito da solo. Qualcuno aveva anche collegato l’attentato di New Orleans all’episodio di Las Vegas, dove, sempre nella giornata di Capodanno, un Cybertruck Tesla è esploso all’esterno dell’hotel Trump.
Come Jabbar, anche il 37enne alla guida dell’imponente vettura, Matthew Alan Livelsberger, era un ex militare dell’esercito statunitense: aveva prestato servizio nelle forze speciali per 19 anni, e come il texano aveva noleggiato il proprio veicolo sulla piattaforma “Turo”. Tuttavia, nonostante queste sinistre coincidenze, le autorità affermano che non vi sarebbe alcun collegamento tra i due episodi.
Mentre i due casi continuano a rimanere sotto la lente d’ingrandimento della FBI, in settimana è arrivato l’ok per la riapertura di Bourbon Street. Lunedì prossimo, infine, il presidente Joe Biden, in compagnia della first lady Jill, arriverà a New Orleans, dove incontrerà le famiglie delle vittime ed i membri della comunità locale, ancora sotto shock per quanto accaduto.