L’Iran ha finalmente formalizzato le accuse contro la giornalista Cecilia Sala tratta il arresto il 19 dicembre… ma si tratta di un’imputazione così vaga da non dire nulla. Dopo undici giorni di attesa sulle motivazioni che hanno portato all’incarcerazione della giornalista a Teheran, una nota del dipartimento generale dei media esteri del ministero della Cultura e dell’orientamento islamico iraniano afferma: “La cittadina italiana è arrivata in Iran il 13 dicembre con un visto giornalistico ed è stata arrestata il 19 per aver violato la legge della Repubblica islamica dell’Iran”.
E ancora: “Il suo caso è sotto inchiesta. L’arresto è stato eseguito secondo la normativa vigente e l’ambasciata italiana è stata informata. Le è stato garantito l’accesso consolare ed il contatto telefonico con la famiglia”.
Cosa avrebbe fatto Sala, l’autrice del popolare podcast Stories per Quora Media? Era in Iran per realizzare dei servizi, aveva un visto di 8 giorni, aveva fatto alcune interviste: qui il suo collegamento video del 16 dicembre con la tv La7 da Teheran, in cui raccontava come il paese sia cambiato, come le donne portino sempre meno il velo e come si respiri la voglia di cambiamento dopo le proteste massicce delle donne degli ultimi anni, e i recenti bombardamenti israeliani.
Domenica 29 dicembre, l’ambasciatrice a Teheran Paola Amadei ha incontrato il viceministro degli Esteri iraniano Vahid Jalazadeh, che le avrebbe detto che ancora non è stato formulato con certezza il capo di imputazione: si parla di presunti “comportamenti illegali”.
Forse la reporter e le sue parole di libertà e di critica hanno irritato il regime, ma dietro l’arresto verosimilmente c’è il desiderio molto più concreto di Teheran di usare Sala per ottenere la liberazione dell’imprenditore iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, accusato di passare informazioni tecnologiche sensibili (sui droni) al regime e ora rinchiuso nel carcere italiano di Opera. Najafabadi è stato arrestato all’aeroporto di Milano Malpensa tre giorni prima del fermo di Sala a Teheran. Le autorità italiane hanno agito sulla base di un mandato internazionale su richiesta degli Stati Uniti.
Mohammad Abedini Najafabadi, 38 anni, e Mahdi Mohammad Sadeghi, altro cittadino iraniano fermato negli Stati Uniti, sono accusati dai procuratori della Corte federale di Boston di cospirazione terroristica: nello specifico, per esportare componenti elettronici dagli Stati Uniti all’Iran, in violazione delle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni. Abedini è anche accusato di aver fornito al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, considerate dagli Usa un’organizzazione terroristica, il supporto materiale che ha poi portato alla morte di tre militari statunitensi, uccisi da un attacco con un drone su una base in Giordania.
La Farnesina, cioè il ministero degli Esteri italiano, ha chiesto assoluto riserbo sulla questione alla stampa, per evitare rivelazioni che possano intralciare le delicate trattative. La notizia dell’arresto è diventata pubblica proprio con una nota del ministero, 8 giorni dopo il 20 dicembre, giorno in cui Sala non ha preso il volo già prenotato per l’Italia.
“Siamo a conoscenza della denuncia di arresto in Iran della giornalista italiana Cecilia Sala” ha dichiarato un portavoce del dipartimento di Stato americano al quotidiano La Repubblica. “Sfortunatamente, il regime iraniano continua a detenere ingiustamente i cittadini di molti altri Paesi, spesso per utilizzarli come leva politica”.
Il legale di Abedini intanto vuole gli arresti domiciliari per il suo assistito e gli Stati Uniti temono che possa fuggire. C’è un precedente: nel marzo 2023, il presunto trafficante d’armi russo Arthem Uss, ai domiciliari a Milano con un braccialetto elettronico, riuscì a scappare. Su di lui pendeva appunto una richiesta di estradizione degli Usa. A fronte del caso diplomatico che ne seguì, il ministero della Giustizia, guidato da Carlo Nordio, mise sotto procedimento disciplinare i giudici della corte d’Appello di Milano (che poi furono assolti).