Un teenager sale al vertice degli scacchi, il gioco più antico, affascinante, complicato e terribile — la definizione è di Marcel Duchamp — che esista. L’India fa festa con Dommaraju Gukesh, diventato a 18 anni e mezzo il più giovane campione del mondo di sempre a titoli unificati, record che dal 1985 apparteneva alla leggenda russa Garry Kasparov. Nella finalissima di Singapore ha battuto il cinese Liren Ding, trentaduenne, che aveva conquistato il trofeo nel 2023. Il match equilibratissimo pareva destinato agli spareggi, invece si è risolto con un colpo di teatro sul traguardo. Gukesh, nato a Chennai il 29 maggio 2006, padre otorino e madre microbiologa, è un talento innato. Ha cominciato a giocare a sette anni, un po’ più tardi rispetto agli altri bambini prodigio. Ma ha bruciato le tappe, vincendo tutto a livello giovanile prima di aggiudicarsi quattro medaglie (tre d’oro) alle Olimpiadi. È arrivato al titolo di Gran Maestro nel 2019 a 12 anni, sette mesi e 17 giorni. E nel torneo a otto dei candidati aveva fatto fuori il favorito italo-americano Fabiano Caruana, l’eterno secondo, sfidante per la corona iridata nel 2018.
La tensione, lo stress, la fatica fisica per le quattro ore vissute sul filo davanti alla scacchiera. Al di là del verdetto di Singapore, quel che più fa riflettere è l’esplosione di una nuova leva di campioni, che ha scavalcato la generazione di mezzo grazie anche alla resistenza organica, all’allenamento e alla freschezza mentale. Sport, gioco, arte e scienza matematica: il paragone con Sinner e compagni è immediato. Anche perché Gukesh è la regola, non un’eccezione. Oltre a lui hanno scalato la classifica i connazionali Erigaisi, proiettato nella top tre, Praggnanandhaa, Nihal Sarin, Sadhwani, Mendonca. Altrettanto accade al femminile: piccole Jasmine Paolini degli scacchi crescono nel secondo paese più popoloso del pianeta. Le similitudini non finiscono qui. Adolivio Capece, maestro ed enciclopedia vivente, spiega: “Anand ha prodotto un effetto traino, allo stesso modo di Berrettini nei confronti di Jannik e degli altri azzurri del tennis. Attorno ai suoi successi si è consolidato un movimento già prolifico. Va detto peraltro che Medvedev e lo stesso Alcaraz sono due ottimi scacchisti. Non è un caso se il tennis viene definito un gioco degli scacchi in movimento”. Aggiungendo alla lista l’uzbeko Abdusattorov, il franco-iraniano Firouzja, il tedesco Keymer e il bad boy americano Hans Niemann — tutti poco più che maggiorenni — il conto torna. Aspettando gli italiani Lorenzo Lodici e Luca Moroni, 24 anni per entrambi.
Tornando agli indiani, è significativo che abbiano inventato gli scacchi — più di 600 milioni di praticanti sulla Terra — nel sesto secolo dopo Cristo. La tradizione fa parte del Dna, amplificata da un fattore sottolineato da Capece: “Da loro costituiscono una materia scolastica. Cosa che vale oggi anche in Italia: si comincia alle elementari e alle medie con la dama, propedeutica, per arrivare ai 120mila allievi del liceo sportivo che in classe studiano le mosse di pedoni, torri, alfieri, cavallo, donna e re. Il meccanismo funziona anche se resta un problema: servono corsi rivolti agli insegnanti perché insegnino a insegnare gli scacchi”. Ovvero il gioco più antico, affascinante, complicato e terribile che esista.