Una giornata di vero dramma politico in Corea del Sud, dove il Parlamento non è riuscito a votare l’impeachment del presidente Yoon Suk Yeol colpevole di aver dichiarato la legge marziale martedì 3 dicembre – salvo poi ritirarla in seguito alla reazione viscerale della politica e della popolazione. Yoon si è scusato e ha detto che non lo rifarebbe, ma questo non ricostruisce la sua credibilità né ripara il timore di un attentato alla democrazia del paese.
Il dramma si è svolto adesso all’Assemblea generale, dove il partito di governo conservatore di Yoon, PPP, ha boicottato la mozione di impeachment dell’opposizione. Il PPP ha dichiarato poco prima del voto che si sarebbe opposto: servivano 200 voti cioè i due terzi del parlamento, dove l’opposizione ha la maggioranza ma arriva a 192; aveva quindi bisogno di almeno 8 voti del PPP.
Centinaia di migliaia di persone si erano riunite davanti all’Assemblea Nazionale per chiedere la rimozione del presidente.
Il presidente del parlamento Woo Won-shik, membro dell’opposizione, ha chiuso la seduta annunciando che il voto era negativo, scusandosi coi cittadini e dicendo “Oggi il popolo sud coreano ci guardava. Le nazioni del mondo ci guardavano”. Fuori, un attivista ha annunciato il fallimento dell’impeachment e la folla è rimasta silenziosa un momento prima di scandire di nuovo “Impeachment per Yoon Suk Yeol!”
La Corea del Sud è considerata un pacifico faro di democrazia in Asia, ma non è sempre stato così. Si tratta di un Paese che ha visto 16 episodi di legge marziale durante i suoi primi quarant’anni, governati in gran parte da dittatori. Oggi il paese è anche un produttore di cultura che risuona per l’intero pianeta, dalla musica ai film alle serie tv alla letteratura – proprio in questi giorni è a Stoccolma per ricevere il suo premio la scrittrice Han Kang, Nobile per la letteratura 2024.
Sono produzioni spesso venate di pessimismo e paranoia, sempre di violenza e dilemmi etici (pensiamo anche alla serie tv Squid Game, la cui seconda stagione è prevista su Netflix il 25 dicembre, o al film del 2019 premio Oscar e Palma d’Oro a Cannes di Bong Joon-ho, Parasite). Non solo il passato violento ma la vicinanza ai “fratelli” comunisti della Corea del Nord – con i lutti e la minaccia che ne derivano – pesano sul paese.
La democrazia è profondamente apprezzata dai sudcoreani come un diritto duramente conquistato. La proclamazione della legge marziale da parte del presidente Yoon Suk Yeol – la prima in 45 anni e durante un governo democratico – è stata particolarmente urticante e ha suscitato una reazione viscerale. I deputati martedì sera si sono precipitati all’Assemblea nazionale, scavalcando le recinzioni, e centinaia di cittadini comuni sono scesi in strada per trattenere le truppe che avevano ricevuto l’ordine di cacciare i parlamentari.
Quando Yoon ha dichiarato la legge marziale, ha detto che era necessaria per sbarazzarsi di forze “pro-Nord anti-stato”. Inizialmente, alcuni sudcoreani hanno pensato che ci fosse una vera minaccia da parte del Nord. Ma il presidente non ha fornito prove dell’esistenza di tali forze al lavoro, e aveva già usato un linguaggio simile per descrivere l’opposizione che ostacola le sue riforme e in particolare la legge finanziaria 2024; la cittadinanza ne ha concluso che stesse cercando di schiacciare i suoi avversari politici. Anche i precedenti periodi di legge marziale erano stati giustificati dai leader come necessari per stabilizzare il Paese e, a volte, per eliminare quelli che si riteneva fossero sovversivi comunisti impiantati dalla Corea del Nord.
La transizione alla democrazia piena è avvenuta nel 1988, con le prime elezioni presidenziali libere ed eque a seguito di una crescente pressione pubblica. Ma i decenni precedenti avevano plasmato in modo permanente e profondo la coscienza della nazione. La legge marziale significa il controllo dei media e di tutte le attività del settore pubblico, coprifuoco notturno e arresti indiscriminati. Gli scontri più violenti avvennero nel 1980, quando l’allora presidente Chun Doo-hwan estese la legge marziale per affrontare i manifestanti studenti che chiedevano la democrazia nella città meridionale di Gwangju. La brutale repressione militare è stata poi definita un massacro: il bilancio ufficiale delle vittime è di 193, ma alcuni esperti ritengono che siano state uccise altre centinaia di persone.