I ribelli siriani di HTS (Hayat Tahrir al-Sham) sono ormai padroni della città di Homa, tappa strategica verso il centro della Siria, direzione Homs e più a sud, la capitale Damasco: l’intenzione sembra proprio questa dopo una settimana di avanzate fulminee nonostante il sostegno aereo che la Russia ha dato all’alleato, il presidente siriano Basher al Assad.
Per Assad questa rapida evoluzione del conflitto è un colpo devastante. Ma sul territorio le forze in gioco coinvolgono tutte la regione.
Uscendo dalla moschea dopo la preghiera del venerdì, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato ai cronisti che spera che i ribelli proseguano la loro avanzata e che ritiene arriverà fino a Damasco – anche se ha espresso preoccupazione per quelle che ha definito “organizzazioni terroristiche” fra i ribelli e ha lasciato intendere di avere sentimenti contrastanti, viste alcune delle forze coinvolte. La Turchia peraltro ufficialmente nega di essere coinvolta nell’operazione o di fornire sostegno ai ribelli.
“L’obiettivo è Damasco”, ha detto Erdogan. “Direi che speriamo che questa avanzata continui senza problemi. Tuttavia, mentre questa resistenza continua ad aver a che fare con le organizzazioni terroristiche, abbiamo fatto una telefonata ad Assad”, ha aggiunto, riferendosi ai suoi approcci con Assad all’inizio di quest’anno per incontrarsi e normalizzare i legami dopo più di un decennio di ostilità. “Questi progressi problematici che si stanno verificando nella regione non sono in linea con i nostri desideri, il nostro cuore non li vuole. Purtroppo, la regione è in difficoltà”, ha detto, senza approfondire.
I commenti di Erdogan sottolineano la complessa struttura delle forze ribelli che combattono contro Assad e le alleanze contrastanti tra gli attori sul campo, compresa la Turchia. Ankara sostiene da anni le forze di opposizione siriane che cercano di spodestare Assad ma considera anche alcuni attori regionali come terroristi, tra cui Hayat Tahrir al-Sham (HTS), l’ex affiliato islamista di Al-Qaeda che fa parte delle forze ribelli.
Chi sono questi ribelli? Erano nati con un nome diverso, Jabhat al-Nusra, nel 2011 come affiliati diretti di Al Qaeda, e nella formazione fu coinvolto anche il leader del sedicente gruppo dello Stato Islamico (IS), Abu Bakr al-Baghdadi.
Jabhat al-Nusra era considerato uno dei gruppi più efficaci tra quelli schierati contro il presidente Assad, trainato però più dall’ideologia jihadista che dallo zelo rivoluzionario; secondo la BBC, all’epoca era considerato in contrasto con la principale coalizione di ribelli sotto la bandiera della Siria Libera. Nel 2016, il leader del gruppo, Abu Mohammed al-Jawlani, ha rotto pubblicamente i ranghi con Al Qaeda, ha sciolto Jabhat al-Nusra e ha creato una nuova organizzazione, che ha preso appunto il nome di Hayat Tahrir al-Sham quando, un anno dopo, si è fusa con diversi altri gruppi simili. La sua base è nella provincia di Idlib nel nord ovest del paese, casa di circa quattro milioni di persone.
Negli ultimi quattro anni la guerra in Siria era sembrata sostanzialmente finita, con il presidente Assad, grazie al sostegno militare della Russia e dell’Iran, in controllo sulle maggioranza del territorio e in tutte le città più grandi. Ma gli scacchi subiti di recente dall’Iran (la batosta presa da Hezbollah in Libano con l’offensiva di Israele, e gli attacchi israeliani contro i comandanti militari iraniani in Siria) hanno evidentemente spinto i gruppi jihadisti e ribelli di Idlib a sferrare – con successo – l’offensiva sulla grande Aleppo, prima città conquistata.
Gli alleati di Assad sono indeboliti: l’Iran da conflitti interni e dallo scontro a distanza con Israele; la Russia dall’offensiva in Ucraina che assorbe la sua attenzione.
Intanto secondo l’Onu, l’escalation dei combattimenti in Siria ha causato lo sfollamento di circa 280.000 persone in poco più di una settimana, e la cifra potrebbe salire fino a 1,5 milioni.”Stiamo esaminando la crisi, ed è per questo che stiamo davvero sottolineando l’urgente necessità di finanziamenti, finanziamenti flessibili, in modo da poter effettivamente supportare tutti gli sforzi dei partner umanitari per pre-posizionarsi ed essere in grado di essere pronti per qualsiasi scenario che fondamentalmente in termini di spostamenti potrebbe evolversi nei prossimi giorni o mesi”, ha dichiarato Samer AbdelJaber, responsabile del coordinamento delle emergenze presso il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite.