La caduta degli dei. Rudolph Giuliani, definito il “sindaco d’America” dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, ha avuto ieri una crisi di nervi davanti al magistrato federale Lewis Liman nel corso di una udienza, chiesta dai suoi avvocati, affermando che, dopo il blocco dei beni, ordinato da un altro giudice federale a Washington, non ha i soldi per vivere.
Giuliani ha interrotto l’udienza mentre il suo avvocato difensore stava argomentando con il magistrato il quale sosteneva che la lista dei beni consegnata al tribunale fosse incompleta e non fosse stata certificata con la denuncia dei redditi dell’ex sindaco. “L’insinuazione che non abbia eseguito le disposizioni di legge è falsa – ha controbattuto Giuliani parlando direttamente al giudice. – Non ho un’auto, non ho una carta di credito, non ho contanti. Non posso pagare le mie bollette”. Uno sproloquio in aula mentre il suo avvocato, Joseph Cammarata, stava tentando di convincere il giudice che il suo cliente, dopo essere stato radiato dall’albo degli avvocati, non ha più le fonti di sostentamento.
Quasi un anno fa Giuliani è stato condannato a risarcire con 148 milioni sia Ruby Freeman che sua figlia Wandrea Moss, due scrutatrici della contea di Fulton, in Georgia, che l’ex sindaco aveva diffamato, rendendo la loro vita impossibile, diffondendo le bugie sulle elezioni truccate raccontate da Trump.
La condanna è una storia vecchia, ma finora Giuliani, usando tutte le scappatoie giudiziarie possibili, ha continuato ad abitare nel suo lussuoso appartamento nell’Upper East Side di Manhattan, a usare la Mercedes che era di Laureen Bacall, ad andare al suo condominio in Florida.
L’avvocato Cammarata ha detto a Liman che il suo cliente aveva consegnato il 90% dei beni, ma è stato messo in dubbio dal giudice che ha aggiornato l’udienza al 16 gennaio avvertendo l’avvocato della difesa che Giuliani avrebbe dovuto elencare tutte le sue proprietà, inclusi l’appartamento in Florida, le automobili, i cimeli sportivi, una palla da baseball firmata da Joe Di Maggio e una collezione di orologi di grande valore.
A conclusione dell’udienza Liman ha rigettato la richiesta di Giuliani di ritardare il processo in modo che l’ex sindaco potesse partecipare all’insediamento di Trump il 20 gennaio 2025. “Il calendario sociale dell’imputato non costituisce un giusto motivo”, ha affermato Liman. Uscendo dall’aula, Cammarata ha detto che Giuliani si consulta ancora regolarmente con Trump.
Una triste fine per un procuratore federale che diede la caccia alla mafia negli Stati Uniti e in Italia insieme a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un uomo di legge e ordine che mandò in galera il boss Gaetano Badalamenti, che poi è morto in carcere. Con lui Sal Catalano che dopo aver scontato 25 anni di carcere negli Usa venne estradato nel Bel Paese quando aveva 80 anni. E tanti altri, come Baldassarre Amato, Sal Mazzurco, Giovanni Cangialosi, Filippo Casamento. Un procuratore di ferro che passato alla politica fu eletto sindaco di New York. Dopo gli attentati terroristici che hanno cambiato l’America, prese la città per mano guidando la ricostruzione e la ripresa di una nazione ferita.
Tornato alla professione privata, decise senza molto successo di candidarsi alle presidenziali del 2008, ma si ritirò e diede il suo appoggio a John McCain. Le sue ditte legali, la Giuliani Partners e la Bracewell & Giuliani, erano molto attive nel mondo delle lobby e delle security. Nel 2016, quando Trump si candidò per il partito repubblicano, fece il discorso di presentazione alla Convention del partito e da allora i suoi rapporti con il tycoon si sono rafforzati. Tanto che quest’ultimo lo prese alla guida della campagna per invalidare i risultati delle elezioni del 2020. Giuliani aveva basato le proprie accuse partendo da un video che mostrava le due donne (madre e figlia) passarsi un oggetto – rivelatosi poi una banale caramella – mentre venivano contate le schede elettorali con questi toni: Ruby Freeman e Wandrea “Shaye” Moss si sarebbero scambiate una chiavetta USB “come se si trattasse di dosi di eroina o cocaina” per truccare i risultati, stando al racconto di Giuliani.
Da quel momento sulle due scrutatrici si abbattè una tempesta mediatica orchestrata da quanti disperatamente cercavano di trovare un illecito per invalidare il risultato elettorale. E non solo. Le accuse, alle quali, nonostante le smentite, facevano da megafono Fox News e i podcast dell’estrema destra, spinsero alcuni sostenitori di Trump a molestarle con telefonate minatorie fino a che una loro auto venne incendiata. Terrorizzate, Freeman e Moss lasciarono il lavoro, la propria abitazione e si rifugiarono sotto falso nome, in casa di alcuni parenti vivendo per quasi due anni nella paura. Le due, poi, citarono in giudizio Giuliani e il giornale pro Trump, One America News Network, per aver dato eco alle false accuse nei loro confronti. La posizione di Oann è stata stralciata dopo un accordo extragiudiziario, mentre lo scorso anno un giudice federale aveva ritenuto Rudy Giuliani colpevole di diffamazione. Poi una giuria popolare impose il risarcimento di 74 milioni di dollari a ognuna delle due. Dopo la condanna l’ex procuratore di ferro accusò il magistrato. “Una somma assurda, indicativa della follia e dell’ingiustizia dell’intero procedimento”.
Ora, a 80 anni, Giuliani non può più svolgere la sua professione. I suoi beni, i suoi conti in banca, i suoi risparmi, sono stati sequestrati e quanto prima saranno venduti all’asta. Non ha mai chiesto scusa alle due donne, non si è mai pentito dei danni causati e se la prende con il presidente Biden e la sua amministrazione accusandoli di aver usato la macchina della giustizia contro di lui.