Dal 21 dicembre 2024 al 17 febbraio 2025 il Museum of Modern Art di New York MoMA offrirà ai visitatori la proiezione “The Clock” (2010) di Christian Marclay. Presso la sala del museo al secondo piano, si potrà ammirare non un film ma un montaggio della durata di 24 ore composto da migliaia di filmati e clip televisive che hanno come tema centrale l’orologio e il tempo.
Per creare questa particolare opera, Marclay ha raccolto, selezionato e intersecato circa cinque decenni di frammenti visivi e sonori creando una complessa armonia di immagini e suoni. Con l’aiuto dei suoi assistenti, l’autore ha trascorso tre anni a montare meticolosamente “The Clock” il cui significato è quello di “guardare il mondo” attraverso questo flusso visivo e sonoro che ripercorre la storia del cinema interpretata come uno “specchio della realtà” e al contempo una fuga da essa. Si tratta infatti di un paradosso sempre più centrale nella vita quotidiana attuale in cui le immagini sono ovunque e trasmesse istantaneamente attraverso servizi streaming e di intelligenza artificiale.
“The Clock” è quindi un viaggio ideale nel tempo attraverso il passato che ha l’obiettivo di portare a riflettere sulla consapevolezza del nostro presente che è inevitabilmente sfuggente nel suo divenire. L’opera rientra nelle cosiddette “opere di collage cinematografico di Marclay” ma in questo caso, il tempo sullo schermo corrisponde all’ora reale del giorno ovunque questo venga proiettato. Per citare un breve esempio, in “The Clock” James Bond controlla il suo orologio alle 12:20, Meryl Streep spegne una sveglia alle 6:30, un orologio da tasca trilla alle 11:53 mentre il Titanic si accinge a partire… e ogni clip è sincronizzata con l’ora locale.
Come si legge sul sito del MoMA, l’artista statunitense per metà svizzero Christian Marclay, ha dedicato la sua carriera all’esplorazione dei processi di trasformazione che rendono l’immateriale una merce concreta e vendibile. L’artista parte da materiali come i dischi in vinile, le cassette e i film di Hollywood che poi “decostruisce”. “Ho costantemente a che fare con la contraddizione tra la realtà materiale dell’oggetto d’arte come cosa e la sua potenziale immaterialità”, spiega Marclay.