Il segretario di Stato USA Antony Blinken è atterrato in Israele per la sua undicesima visita in Medio Oriente dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas nell’ottobre 2023. Nella giornata di martedì il ministro degli Esteri dell’amministrazione Biden incontrerà il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant.
Due gli obiettivi al centro della sua agenda: rilanciare i negoziati di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza sfruttando la morte del “falco” di Hamas Yahya Sinwar. Quindi, contenere l’escalation militare tra Israele e Hezbollah in Libano.
Un compito complesso per il ministro degli Esteri di Biden, dato che proprio nelle ore che hanno preceduto l’incontro tra Blinken e i leader israeliani Hezbollah ha lanciato una serie di razzi contro basi militari israeliane vicino a Tel Aviv e Haifa. Per rappresaglia, l’esercito dello Stato ebraico ha colpito obiettivi strategici della milizia sciita a Beirut, inclusa la base centrale delle forze navali del gruppo filo-iraniano. Il bilancio delle vittime di questi ultimi raid è pesante: almeno 13 morti e 57 feriti, secondo il ministero della Salute del Paese dei cedri.
Da mesi gli sforzi diplomatici degli Stati Uniti, supportati da Egitto e Qatar, non sono riusciti a ottenere sostanziali passi avanti a Gaza né hanno portato alla liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas. Secondo Nimrod Goren, senior fellow per gli Affari Israeliani presso il Middle East Institute, anche stavolta le possibilità di avanzamenti di rilievo sono limitate. Le posizioni di Israele e Hamas restano dopotutto agli antipodi: Tel Aviv mira a smantellare totalmente la presenza di Hamas a Gaza, mentre il gruppo palestinese chiede il ritiro delle truppe israeliane.
“Israele vuole che Hamas non governi più Gaza e non esista più a Gaza come minaccia per la sicurezza, mentre Hamas vuole il contrario. Quindi, al di là della questione immediata degli ostaggi, gli interessi e le esigenze profonde di ciascuna parte sono in contrasto tra loro”, ha detto Goren a Voice of America.
A complicare la situazione c’è anche il conflitto in corso tra Israele e Hezbollah. Dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, che ha causato la morte di oltre 1.200 persone e il rapimento di circa 250 altre, la milizia filo-iraniana ha parallelamente intensificato le sue operazioni contro lo Stato ebraico lanciando centinaia di attacchi aerei su Israele e alimentando il timore di un conflitto regionale su larga scala che coinvolga anche Teheran.
Proprio a causa della dimensione regionale dello scontro, mercoledì Blinken si sposterà in Giordania per incontrare i leader arabi. Funzionari statunitensi hanno lasciato intendere che, in assenza di prospettive concrete di tregua, gli incontri verteranno piuttosto su come governare Gaza una volta concluso il conflitto, tra cui piani per un’amministrazione internazionale o per un coinvolgimento maggiore dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Sul campo, intanto, la situazione a Gaza rimane tragica. Philippe Lazzarini, capo dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ha chiesto un’immediata sospensione dei combattimenti per permettere ai civili di evacuare le zone più pericolose del nord dell’enclave costiera assediata. “In questa fase, le persone stanno solo aspettando di morire”, ha dichiarato il funzionario, sottolineando come gran parte della popolazione non abbia accesso a cibo, acqua o cure mediche.
Più che tragico è anche il bilancio delle vittime a Gaza: oltre 42.600 palestinesi sono stati uccisi dall’inizio della controffensiva israeliana, secondo il ministero della Salute che fa capo ad Hamas. Il numero include sia militanti che civili, poiché il ministero non distingue tra le due categorie. Israele, dal canto suo, continua a difendere le sue operazioni militari come necessarie per la propria sicurezza e per sconfiggere i “terroristi” di Hamas (come sono formalmente considerati non solo da Tel Aviv ma anche da Stati Uniti, UE, e Regno Unito), insistendo sul fatto che non può essere raggiunto alcun accordo con gruppi che rappresentano una minaccia esistenziale per lo Stato ebraico.