Yahya Sinwar è morto. L’uomo che aveva progettato e diretto l’operazione di Hamas contro le comunità israeliana ebraica nel Negev è stato ucciso dalle truppe di Tel Aviv. Non una vendetta calcolata ma un colpo di fortuna in uno dei numerosi cunicoli e passaggi sotterranei a Gaza. In qualche modo fa pensare al passato. A quando Adolf Hitler si uccise nel suo bunker sotto Berlino. Fu la fine quasi ufficiale della seconda guerra mondiale in Europa e l’inizio di una nuova era.
Giorni fa, leggevo sulla stampa israeliana che molto giovani ebrei israeliani si erano trasferiti a Berlino, città moderna, splendida, dicevano, per fuggire dalle follie della guerra che ha distrutto Gaza e sta ferendo gravemente nel suo essere Israele; per scappare dalle follie del governo Netanyahu; da un apparato che combatte una guerra senza sapere dove dovrebbe andare dopo l’eventuale, probabile, vittoria. Sinwar è morto. Hamas no. Hitler morì, il nazismo no. Ci sono molte differenze, fondamentali va sottolineato, tra le due vicende. Hamas è un movimento religioso, una specie di ideologia, ma anche – e lo ha ribadito recentemente – un movimento di liberazione nazionale.
Proprio ieri ho visto e ascoltato un rappresentante dell’Olp – l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina – e un ex premier israeliano parlare di riconciliazione, di pace, di rimettere in moto il processo siglato sul prato della Casa Bianca alla fine del secolo scorso e che sembrava destinato a creare uno Stato palestinese accanto a Israele. A mettere fine a tanti anni di odio, di guerre e di morte.
“Non siamo due sognatori, siamo due politici di vecchia data che vogliono salvare i loro popoli”. Ehud Olmert, ex primo ministro israeliano, e Nasser Al-Kidwa, ex ministro degli Esteri dell’Autorità palestinese, stanno girando l’Europa proponendo la loro proposta di pace. Olmert è stato chiaro: “Il 7 ottobre non va dimenticato come non vanno dimenticate la sofferenza e la distruzione di Gaza che ne sono seguite. Non dobbiamo dimenticare, ma dobbiamo andare avanti, non possiamo essere ossessionati dal dolore del passato”. Stessi concetti dal suo partner palestinese: “La soluzione passa dal rilascio di tutti gli ostaggi, di tutti i prigionieri durante un cessate il fuoco e poi il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza”.
“È possibile immaginare un futuro di Gaza senza Hamas – aggiunge Al-Kidwa – dobbiamo trovare prima una soluzione interna e poi parlare con i nostri vicini israeliani”. Olmert ha parole speculari sul proprio primo ministro: “Netanyahu non è la persona che può fare la pace, credo abbia esaurito il suo compito e deve essere mandato a casa. E speriamo che questo avvenga presto. Non ha alcuna strategia, l’unica strategia possibile è quella che abbiamo noi. Usciamo dall’ossessione di accusarci a vicenda e troviamo la soluzione per uscirne tutti insieme. O Israele continua a occupare per sempre i loro territori oppure lavoriamo per l’unica soluzione possibile: due popoli due Stati”.
La proposta concreta di Olmert e di Al-Kidwa si articola in quattro punti: ritorno ai confini del 1967 più scambio del 4,4% del territorio (lo scambio serve a creare un corridoio che colleghi Gaza alla Cisgiordania in modo da garantire la continuità territoriale); porre Gaza sotto il controllo dei palestinesi e di altri paesi arabi in attesa di elezioni; Gerusalemme doppia capitale, divisa lungo i confini del 1967; la città vecchia di Gerusalemme sotto il controllo di tre Stati più Israele e Palestina.
Parole e idee vecchie ma le uniche che potrebbero interessare le nuove generazioni. Palestinesi e israeliani amano la loro terra, spesso la stessa, anche se solo immaginare oggi una convivenza pacifica tra i due popoli appare impossibile. Eppure, ricordano gli storici, la pace si fa con il nemico. Non amore ma compromesso. Di sicuro gli attuali leader dei due popoli non sono capaci e non vogliono condurre i loro popoli alla convivenza, alla pace. Netanyahu resta ideologicamente contrario a uno stato palestinese indipendente accanto a Israele e il suo governo è sostenuto da un gruppo di fanatici religiosi che, in molto modi, vanno paragonati ai folli dirigenti di Hamas; Mahmoud Abbas, il presidente palestinese, si è mostrato incapace di portare il suo popolo fuori da un conflitto interno alla società palestinese. Ma ora Sinwar è morto. E Hamas è militarmente sconfitto. Israele e Palestina devono guardare avanti e scegliere una nuova generazione di statisti (non politici) capaci di condurre i due popoli verso una realtà, un mondo nuovo.
“Attualmente – ha ammesso ieri Olmert- c’è una obiezione molto forte a una soluzione pacifica sia tra israeliani che tra i palestinesi”. “Ma un anno dopo quello che è successo dobbiamo chiederci tutti: cosa succede ora? Dobbiamo continuare a distruggerci? Se ci sarà una leadership che avrà una visione per il futuro saremo in grado di cambiare strada. So che tra molti palestinesi c’è il desiderio di una soluzione pacifica. Lo stesso auspicio c’è da una grande parte della popolazione israeliana, dobbiamo passare attraverso il dolore di oggi per raggiungere la speranza per il domani”.
Purtroppo, secondo molti analisti israeliani, la morte di Sinwar non porterà a grandi cambiamenti nella politica o nella strategia, spesso confusa, di Netanyahu e di una parte consistente dell’apparato militare. Israele resterà nella striscia di Gaza, andrà avanti con le operazioni militari in Libano; e sicuramente aspetterà di capire chi andrà alla Casa Bianca, tre mesi dopo le elezioni di novembre.