Mi svegliarono i colleghi di una radio alle 7 del mattino di quel 7 ottobre di un anno fa. “Come è potuto succedere? “, la domanda scontata. “I servizi segreti israeliani così brillanti hanno fallito?”. Può essere stata colpa dell’arroganza degli israeliani che sanno di aver creato uno stato molto avanzato, di avere una industria scientifica all’avanguardia, come è sicuramente uno degli stati in prima linea nella produzione di nuove armi, di nuovi strumenti di difesa ma anche di offesa. È uno stato di appena una decina di milioni di abitanti di cui soltanto il 70 per cento formato da ebrei (gli altri sono soprattutto musulmani e cristiani).
L’arroganza è una brutta bestia e in questi giorni sono stati molti ufficiali israeliani a dare la stessa risposta che mi era venuta in mente quando hanno cercato di spiegare il loro fallimento. Ma l’interrogativo è quasi più diffuso oggi di allora.
E la risposta meno certa. Non è soltanto perché intanto abbiamo assistito a numerose operazioni, pianificate da anni e riuscite con un successo da premio Nobel, come la decimazione dei quadri di Hezbollah in Libano con i cellulari esplosivi. Proprio in questi giorni un’inchiesta della Bbc, la radio-televisione britannica aggiunge nuovi dubbi. Curiosamente con la collaborazione indiretta della forze armate israeliane: sono state divulgate le testimonianze dei militari, soprattutto dei reparti femminili che erano sul fronte di Gaza in quelle ore o nei giorni, mesi precedenti. Si erano accorti che qualcosa stava accadendo a Gaza. Vedevano e segnalavano i movimenti strani, preoccupanti, dicevano, dei militanti di Hamas. Addestramenti, prove di assalto al muro di cemento e acciaio che doveva difendere Israele e contenere Hamas e gli uomini delle altre organizzazioni guerrigliere (o terroristi?) che erano cresciute nella striscia. “Tanto, non saranno mai capaci di fare molto”, la risposta degli ufficiali superiori, “sorvegliamo ogni movimento con i nostri apparati tecnologici” – droni, telecamere e altro. Stranamente da qualche giorno prima di quel 7 ottobre, molti punti di quella rete erano guasti e – per “arroganza”? – non riparati. Possibile che non sia stato mai controllato a cosa servivano realmente le tonnellate di cemento importato nella striscia con il consenso di Israele? O possibile che non sia stato visto dai radar il labirinto enorme di tunnel, quei radar che hanno scoperto antichi insediamenti ebraici sotto il suolo di Israele?
Non so se avremo mai una risposta valida alla domanda, ma sicuramente in questi dodici mesi orribili in cui la striscia di Gaza è stata appiattita, nuovamente occupata da Israele, oltre 40 mila palestinesi sono morti, il resto della popolazione schiacciata in uno spazio minimo a ridosso del confine con l’Egitto, altri elementi e altri dubbi sono arrivati a turbare il quadro generale del Vicino Oriente a pezzi.
1) Nella Cisgiordania occupata e a a Gerusalemme Est vanno avanti azioni militari israeliane che stanno cambiando la realtà: palestinesi morti e feriti, villaggi devastati, campi profughi distrutti, coloni israeliani come avanguardia del vecchio progetto di Netanyahu e della destra israeliana e sionista di cacciare i palestinesi oltre il fiume giordano. La Giordania, per loro, è lo stato palestinese.
2) La guerra a Hamas è diventata la guerra a Hezbollah (già all’indomani dell’attacco israeliano a Hamas, un ministro della destra ultra aveva suggerito di distruggere il Libano) e l’armata guidata quasi personalmente da Netanyahu avanza verso Beirut che bombarda in continuazione (“azioni mirate”, interi quartieri sciiti distrutti). Azioni di guerra e provocazioni cercano di trascinare l’Iran, nemico principale di Israele, verso la guerra, nella speranza di convincere anche gli Usa a partecipare a quello che sembra un progetto ben definito.
3) È un progetto? Netanyahu, e sono molti che la pensano come lui, non soltanto in Israele, sembra voler cambiare la realtà regionale. I confini di sabbia creati nell’Ottocento da Gran Bretagna e Francia sono da aggiornare. I regimi, i governi degli stati arabi sono vecchi e incapaci di affrontare le realtà di un mondo in rapida evoluzione – o involuzione? In questi dodici mesi di tragedie, di morte, la reazione del mondo arabo è stata quasi assente. Poche parole di solidarietà con il popolo palestinese, poche azioni pratiche, diplomatiche. Basta una parola per riassumere: assenteismo.
4) E intanto, è un anno. Un anno di anti-semitismo crescente negli Stati Uniti e nella civilissima Europa dove appena 75 anni fa furono bruciata nei forni hitleriani almeno sei milioni di ebrei. I motivi sono tanti: l’antico l’odio storico e religioso pesa. E pesa anche l’elemento confusione. L’inviata speciale per l’antisemitismo degli Stati Uniti Deborah Lipstadt ha detto in una dichiarazione che commemora il 7 ottobre che il massacro di Hamas è stato “un atto motivato da anni di profondo odio antisemita”. Odio, sì, ma nei confronti di Israele.