È iniziata nella mattinata di martedì la visita ufficiale di Vladimir Putin in Mongolia, la prima in un Paese membro della Corte penale internazionale (CPI) da quando il presidente russo è stato raggiunto da un mandato di arresto internazionale per crimini di guerra in Ucraina.
L’accusa formalizzata nel marzo 2023 dal tribunale dell’Aja nei confronti del capo del Cremlino e della commissaria russa per i diritti dell’infanzia Marija L’vova-Belova è quella di crimini contro l’umanità per la deportazione illegale di centinaia di bambini ucraini dalle regioni occupate all’inizio del conflitto contro Kyiv verso il territorio russo (qui l’intervista de La Voce sul tema con il giurista russo Gleb Bogush).
Ciononostante, martedì il leader pietroburghese è stato accolto con tutti gli onori militari nella piazza centrale della capitale Ulaanbaatar, intitolata a Genghis Khan e adornata per l’occasione con bandiere mongole e russe per celebrare la sua prima visita nel Paese centroasiatico in cinque anni. Tutto si è svolto come da programma, malgrado lunedì le forze dell’ordine fossero dovute intervenire per sgomberare un gruppo di dimostranti che esponevano poster con la scritta: “Fuori Putin, criminale di guerra”.
Le pressioni internazionali, particolarmente da parte dell’Ucraina, affinché la Mongolia arrestasse Putin e lo consegnasse alla CPI – come era peraltro legalmente obbligata a fare – si sono rivelate vane. Ulaanbaatar ha finora mantenuto una posizione di neutralità riguardo al conflitto russo-ucraino, evitando di condannare l’aggressione russa e astenendosi durante le votazioni alle Nazioni Unite. Una strategia che, secondo molti analisti, riflette la dipendenza del Paese dalle risorse energetiche russe e dagli investimenti cinesi (Pechino è il principale alleato di Mosca) nel settore minerario.
Indignata la reazione di Amnesty International Mongolia, che ha criticato duramente l’atteggiamento delle autorità di Ulaanbaatar, sottolineando come ogni viaggio di Putin in uno stato membro della CPI che non porti al suo arresto “rafforza la sua posizione e mina il lavoro della Corte dell’Aja”, secondo una dichiarazione pubblicata lunedì dal direttore esecutivo Altantuya Batdorj.
C’erano in realtà pochi dubbi sull’accondiscendenza delle autorità mongole. Pochi giorni fa Dmitrij Peskov, portavoce di Putin, aveva candidamente ammesso di non nutrire timori riguardo alla possibilità che il presidente russo potesse essere arrestato durante la visita. “Nessuna preoccupazione”, il commento lapidario consegnato ai giornalisti.
Putin e il suo omologo mongolo, Ukhnaa Khurelsukh, hanno partecipato alle celebrazioni per l’85° anniversario della vittoria congiunta delle forze armate sovietiche e mongole sull’esercito imperiale giapponese sul fiume Khalkhin Gol (maggio-settembre 1939). Un’occasione per rinsaldare il legame storico tra i due Paesi, che la Mongolia ha cercato di mantenere intatto anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Prima della visita, Putin aveva preannunciato in un’intervista al giornale mongolo Unuudur una serie di “progetti economici e industriali promettenti”, tra cui la finalizzazione entro il 2030 del gasdotto transmongolo “Power of Siberia 2” che collegherà la Russia alla Cina attraversando appunto la Mongolia. L’infrastruttura avrà una capacità di 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno, generando per Ulaanbaatar proventi economici e forniture energetiche a basso costo.
Intanto, più a ovest, continua a piovere fuoco sull’Ucraina. Due missili balistici russi hanno colpito Poltava, una città strategica circa 350 chilometri a sud-est di Kyiv, distruggendo un campo di addestramento militare e un ospedale. Il bilancio è tragico: almeno 41 morti e 180 feriti.
Volodymyr Zelenskyy ha descritto l’attacco come uno dei più sanguinosi dall’inizio dell’invasione russa, oltre 900 giorni fa. Il leader ucraino non ha perso occasione per ribadire la necessità di ricevere sistemi di difesa aerea e missili a lungo raggio per colpire in territorio russo.
“L’Ucraina ha bisogno di sistemi di difesa aerea e di missili ora, non in magazzino”, ha scritto Zelensky su Telegram. “Gli attacchi a lungo raggio che possono proteggerci dal terrorismo russo sono necessari ora, non più tardi. Ogni giorno di ritardo, purtroppo, significa più vite perse”, ha aggiunto.
“Questa è una tragedia scioccante per tutta l’Ucraina. Il nemico ha colpito un istituto scolastico e un ospedale. Si sa già di 47 morti e 206 feriti. La Russia ci sta togliendo la cosa più preziosa: la vita. Non lo dimenticheremo mai. Memoria eterna”, ha scritto invece la first lady ucraina Olena Zelenska.
Il governatore di Poltava Filip Pronin ha annunciato tre giorni di lutto a partire da mercoledì. “Una grande tragedia per la regione di Poltava e per l’intera Ucraina”, ha scritto Pronin sul suo account Telegram. “Il nemico deve certamente rispondere di tutti i suoi crimini contro l’umanità”. In Mongolia non sembrano pensarla allo stesso modo.