Duecentosettantasette pagine di sentenza per cui Google ha violato le leggi antitrust pagando Apple e Mozilla per essere il motore di ricerca predefinito e mantenere il monopolio su Internet. Dalla decisione della scorsa settimana del giudice Amit. P. Mehta, il dipartimento di Giustizia sta valutando quali misure mettere in atto.
Il New York Times riferisce che tra le proposte ci sono la possibilità di dividere gli strumenti di Google in tante parti, per esempio scorporando Chrome dal sistema operativo Android; di costringere l’azienda a condividere i dati con le rivali; di obbligarla a recidere gli accordi per cui è diventato il motore di ricerca predefinito.
Le valutazioni sono ancora nelle fasi iniziali. Il giudice Mehta della Corte distrettuale USA per il District of Columbia, che si sta occupando del caso, sta incontrando esperti e consulenti di altre aziende per varare tutte le possibilità. Entro il 4 settembre, Google e il dipartimento di Giustizia devono raggiungere un accordo con una soluzione. Il 6 settembre ci sarà poi l’udienza definitiva per stabilire il futuro del colosso tech.
La sentenza del caso Google potrebbe avere seri risvolti. Innanzitutto, per l’azienda. Lo scorso anno, grazie al motore di ricerca e ad altri strumenti correlati, ha generato un fatturato di 175 miliardi di dollari – il suo valore complessivo ora è di 2.000 miliardi di dollari. Quota che verrebbe ridimensionata se ciascuna attività venisse separata. Ritornando indietro nel tempo, il colosso tech è riuscito a prosperare dopo che un giudice federale si pronunciò contro Microsoft, nel 2000, costringendolo a ridurre il proprio dominio in un processo simile a quello che sta subendo Google. Infine, anche i rivali, come Meta, Apple, Amazon, sono stati chiamati in causa e non è detto che non riceveranno lo stesso trattamento.
La causa antitrust su motore di ricerca e strumenti – perché Google è chiamato a giudizio anche per un altro caso sul monopolio delle pubblicità – risale al 2020, quando il dipartimento di Giustizia e un gruppo di Stati americani hanno denunciato il dominio del colosso, diventato talmente imponente da impedire agli altri di crescere e da imporre certi prezzi per le pubblicità.