Sono ore caldissime per il Medio Oriente – e non per la canicola. Le cancellerie arabe e occidentali cercano alacremente di evitare la vendetta militare iraniana contro Israele promessa all’indomani del blitz dello Stato ebraico che ha ucciso il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, a Teheran. Da nord si prevede inoltre un attacco parallelo degli Hezbollah libanesi, il cui comandante militare Fuad Shukur è stato assassinato in circostanze simili a Beirut in un altro raid di Tsahal.
L’attivismo più intenso è quello di Washington, che paventa per un conflitto regionale tra Tel Aviv, Teheran e Beirut che comporta il rischio di un incalcolabile effetto domino. Il presidente Joe Biden ha convocato per lunedì sera il suo team di sicurezza nazionale e ha colloquiato telefonicamente con il re Abdullah II di Giordania.
Intanto il segretario di Stato Antony Blinken ha chiesto agli omologhi del G7 di esercitare la massima pressione diplomatica su Teheran, Hezbollah e Tel Aviv affinché tutti mantengano un atteggiamento moderato. Ma un maxi-attacco coordinato da parte di Hezbollah e Iran contro Israele non è più questione di se ma di quando. Forse già “entro 24-48 ore” secondo il ministro.
“L’obiettivo complessivo è abbassare la temperatura nella regione (…) e difendersi da quegli attacchi ed evitare un conflitto regionale”, ha spiegato Jonathan Finer, consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. “Washington e Tel Aviv stanno preparando ogni possibilità”, aggiunge – mentre unità navali del Pentagono arrivano in Medio Oriente per contrastare un’eventuale pioggia di missili sullo Stato ebraico, come avvenne qualche settimana fa.
In mattinata il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanani ha ribadito l’inevitabilità di un’azione per “punire” Israele ma che Teheran “non cerca di aumentare le tensioni nella regione“. “Intraprenderemo un’azione seria e deterrente con forza, determinazione e fermezza”, ha affermato il funzionario. Lunedì a Teheran è arrivato anche il segretario del Consiglio di sicurezza russo (ed ex ministro della Difesa) Sergej Shoigu, che ha in programma incontri con Pezeshkian ed altri alti funzionari di Teheran.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Tel Aviv è “determinata a resistere” ai pasdaran e ai suoi gruppi armati alleati “su tutti i fronti”. Fronti che potrebbero però aprire un conflitto su scala regionale. Più di una decina di nazioni (tra cui Italia, Francia, Arabia Saudita e Turchia) hanno esortato i propri cittadini a lasciare il Libano. Diverse compagnie aeree hanno sospeso i voli verso il Paese dei cedri o li hanno limitati alle ore diurne. La tedesca Lufthansa eviterà di sorvolare gli spazi aerei iracheno e iraniano almeno fino a mercoledì.
Il capo della Farnesina Antonio Tajani ha chiesto a tutte le parti coinvolte di evitare iniziative che potrebbero ostacolare il dialogo e la moderazione. Il suo omologo giordano Ayman Safadi si è recato d’urgenza nella capitale persiana per trasmettere un messaggio anti-escalation del re Abdullah II al presidente iraniano Masoud Pezeshkian. L’attivismo spasmodico del Regno è tutt’altro che ingiustificato, come spiega il politologo Oraib Rantawi. “Lo spazio aereo giordano potrebbe diventare un teatro per missili e contromissili in caso di scontri diretti tra Iran e Israele, ma Amman si opporrebbe fermamente a violazioni della sua sovranità”.
E di missili ne continuano a volare tanti, da e per Israele. Sono ormai quotidiani gli scontri tra Hezbollah e lo Stato ebraico. Nelle scorse ore il ministero della Salute libanese ha segnalato la morte di quattro persone in due diversi attacchi nelle città di confine di Mais al-Jabal e Hula. Dall’altra parte della barricata, Hezbollah ha dichiarato di aver colpito alcuni siti militari nel nord di Israele con droni carichi di esplosivi, con Teheran che ha esortato la milizia sciita alleata a rompere gli indugi e colpire più in profondità, non limitandosi ai soli obiettivi militari.
Un coinvolgimento diretto dell’Iran imprimerebbe un clamoroso cambio di passo alla guerra tra Israele e Hamas. Gli ayatollah si erano finora limitati a un ruolo da attori non protagonisti fornendo sostegno, armi e denaro all’asse di milizie anti-israeliane dalla Striscia all’Iraq.
Undici mesi di assedio israeliano su Gaza hanno causato la morte di quasi 40.000 palestinesi, secondo il ministero della Salute della Striscia, Al conteggio vanno poi aggiunti anche almeno 549 vittime libanesi, per lo più combattenti ma anche oltre 116 civili, secondo un conteggio di AFP. Sul lato israeliano, incluse le alture del Golan, sarebbero invece morti 22 soldati e 25 civili – che si aggiungono ai circa 1.200 civili e militari uccisi da Hamas lo scorso 7 ottobre.
La doppia uccisione di Haniyeh e Shukur ha di fatto congelato i già accidentati sforzi diplomatici mediati da Qatar, Egitto e Stati Uniti per un cessate il fuoco nell’enclave costiera. La milizia palestinese accusa Netanyahu di voler prolungare la guerra per salvaguardare la sua coalizione di governo di ultra-destra. E l’assassinio di Haniyeh, che di Hamas era il negoziatore principale, appare in questo senso un presagio assai infausto.
Nell’enclave proseguono intanto senza sosta gli attacchi aerei israeliani su scuole e ospedali. Domenica, almeno 30 persone che si erano rifugiate nelle scuole Hassan Salama e al-Nasser a Gaza City sono state uccise e decine sono rimaste ferite. Israele si è detta sicura che gli istituti nascondessero centri di comando di Hamas. Sabato, un altro attacco israeliano su una scuola usata come rifugio a Gaza City ha ucciso almeno 16 persone e ne ha ferite altre 21. Poco prima un palestinese aveva accoltellato a morte due persone in una città vicino a Tel Aviv. L’aggressore, proveniente dalla Cisgiordania occupata, è stato “neutralizzato” dalla polizia e successivamente dichiarato morto in ospedale.