C’è un giudice da eleggere alla Corte Costituzionale: il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel corso della cerimonia del Ventaglio che saluta per l’estate i rappresentanti della stampa parlamentare, ha ribadito l’importanza che il Parlamento proceda senza indugi per evitare qualsiasi rischio di lesione alla Costituzione.
Il mandato della giudice Silvana Sciarra infatti si è concluso l’11 novembre 2023. Eletta dal Parlamento nel novembre 2014, ha poi anche ricoperto la carica di Presidente della Corte Costituzionale – la seconda donna (ricordiamo che nel 2019, Marta Cartabia è stata la prima donna a ricoprire tale ruolo, segnando un importante traguardo per la parità di genere).
Al Parlamento, riunito in seduta comune, spetta ora il compito di eleggere un nuovo giudice costituzionale. Tuttavia, nonostante le cinque sessioni plenarie congiunte che si sono susseguite dal mese di novembre dello scorso anno fino a oggi, i parlamentari non sono riusciti a designare il nuovo componente della Corte.
Non è un problema nuovo. I tempi lunghi dei processi di elezione dei giudici costituzionali rappresentano una costante storica. Fin dalla sua istituzione nel lontano 1953, la Corte ha spesso dovuto affrontare difficoltà nel completare il proprio organico, con conseguenti ritardi nell’avvio delle attività istituzionali che si protrassero fino al 1956.
Insomma il Parlamento, assorto in scaramucce interne, sembra spesso trascurare il pericolo di compromettere il regolare funzionamento della Corte.
La Corte Costituzionale è composta da 15 giudici, ciascuno investito con un mandato di nove anni. Il Presidente della Repubblica designa cinque membri, altrettanti provengono dalla Corte di Cassazione, dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti, mentre gli ultimi cinque sono eletti direttamente dal Parlamento in seduta comune, in un complesso sistema di check and balance che ne garantisce l’indipendenza. Inoltre requisiti rigorosi governano la selezione dei giudici costituzionali, i quali devono essere individuati tra i magistrati ordinari e amministrativi, professori universitari di discipline giuridiche e avvocati con almeno vent’anni di pratica forense.
Quando un giudice costituzionale completa il proprio mandato, l’istituzione responsabile della nomina è tenuta a designare il successore entro un mese. Un esempio recente è rappresentato dalla nomina, il 6 novembre 2023, da parte di Sergio Mattarella, dei sostituti dei giudici Daria de Pretis e Nicolò Zanon: Giovanni Pitruzzella e Antonella Sciarrone Alibrandi (sempre nel rispetto della parità di genere).
Pur con questa tempistica precisa, non sono previste sanzioni nel caso in cui non venga rispettato l’obbligo di eleggere entro il termine previsto il giudice il cui mandato è terminato.
Secondo quando previsto dalla Costituzione, i cinque giudici costituzionali designati dal Parlamento devono ottenere, nelle prime tre votazioni, la maggioranza dei due terzi dei membri delle due Camere riunite. Questa disposizione richiede il sostegno di almeno 403 parlamentari su un totale di 605 tra deputati e senatori. Dopo tre votazioni infruttuose durante la seduta comune, il consenso richiesto si riduce a tre quinti, corrispondenti a un minimo di 363 parlamentari.
L’elevato quorum richiesto deve spingere le forze politiche a cercare un’intesa su un candidato condiviso, superando le divisioni di schieramento.
Però, nonostante siano trascorsi otto mesi, al momento non sono stati presentati candidati ufficiali. È plausibile che la situazione possa sbloccarsi soltanto il prossimo dicembre, quando il Parlamento dovrà procedere alla sostituzione di altri tre giudici: Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti, tutti eletti nel dicembre 2015 e giunti alla scadenza dei nove anni di mandato. L’elezione di quattro giudici anziché uno potrebbe agevolare le trattative tra le diverse forze politiche. Però se la mancanza del nuovo giudice dovesse rimanere fino al 16 dicembre, a partire dal giorno successivo ci sarebbero quattro posti vacanti e il rischio di paralisi diventerebbe reale.
L’assenza prolungata, anche di un solo giudice, rappresenta una situazione critica. La Corte può esercitare le funzioni e adottare decisioni soltanto quando almeno 11 dei 15 giudici sono presenti, conformemente al cosiddetto “quorum funzionale”.
Secondo quanto stabilito dalla Costituzione, la Corte ha il compito delicato di valutare la conformità delle leggi con la nostra Carta fondamentale, risolvere i conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e tra lo Stato e le regioni, nonché di giudicare eventuali accuse di alto tradimento o attentato alla Costituzione rivolte al Presidente della Repubblica.
Mantenere un collegio incompleto comporta rischi significativi non solo per il regolare svolgimento dell’attività della Corte, ma anche per la stabilità stessa della vita democratica del Paese.
Nella storia, i continui rinvii da parte del Parlamento non sono passati inosservati, diverse volte anche i Presidenti della Repubblica, come Francesco Cossiga, hanno stigmatizzato pubblicamente tale protrarsi di tempistiche, minacciando addirittura lo scioglimento delle Camere.
Nel 2002, l’elezione di Ugo De Siervo a giudice della Corte avvenne dopo un vuoto durato due anni, a causa di un’impasse parlamentare, ovvero l’insistenza del governo Berlusconi a sostegno della candidatura di Filippo Mancuso come giudice costituzionale, ipotesi fortemente contestata dall’opposizione politica (e che alla fine non andò in porto). Di fronte a questa situazione, il leader dei Radicali Marco Pannella intraprese uno sciopero della sete come forma di protesta. L’iniziativa spinse l’allora capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, a delineare la possibilità di un messaggio alla Camere “nel caso di deprecabili, ulteriori ritardi”.
Nel maggio del 2005, Ciampi fu costretto a intervenire nuovamente, dopo mesi di tentativi infruttuosi, convocando i Presidenti di Camera e Senato al Quirinale. Da quel momento, si susseguirono votazioni ripetute e quotidiane con l’intento di accelerare l’elezione dei giudici costituzionali.
Nel 2008, di fronte alle persistenti difficoltà, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, enfatizzò l’inderogabile dovere del Parlamento e il ruolo insostituibile della Corte nella sua piena composizione.
Nell’ottobre 2015, Mattarella, esortò il Parlamento a procedere alla sostituzione dei tre giudici costituzionali il cui mandato era scaduto da sedici mesi. Mattarella richiamò l’importanza di tale adempimento per garantire il regolare funzionamento e il prestigio della Corte, nonché per preservare la responsabilità istituzionale del Parlamento.