Da un lato il sostegno ribadito all’Ucraina, dall’altro la necessità di non tagliare del tutto i ponti con l’amico Viktor Orbàn: c’è stato anche questo dilemma nella partecipazione di Giorgia Meloni al vertice Nato. La premier ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky al termine del vertice. “Al centro del colloquio – si legge in una nota di Palazzo Chigi – l’andamento del conflitto in corso, a partire dalle gravi conseguenze del bombardamento russo dell’ospedale pediatrico di Kiev. I due leader hanno quindi passato in rassegna i risultati del Consiglio NATO-Ucraina e del vertice per la pace che si è svolto in Svizzera e i relativi seguiti. Sono state infine condivise le prime valutazioni con riguardo alla futura conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina che verrà ospitata dall’Italia nel giugno del prossimo anno”.
“Noi dobbiamo sempre ricordarci che c’è un aggressore e c’è un aggredito e il lavoro fatto dall’Italia racconta un po’ quello che va fatto” ha detto Meloni ai giornalisti. “Ci siamo concentrati sui sistema di difesa anti-aerea. Che è il modo migliore per difendere una nazione aggredita; lo dico anche a chi dice che se si inviano armi all’Ucraina si alimenta la guerra. Dipende da cosa si invia. Così si difende la popolazione civile senza un rischio di escalation”.
Sostegno a tutto campo dunque. Però a Washington c’era anche Orbàn, il premier ungherese nazionalista fautore della “democrazia illiberale”, antico alleato della premier, che negli ultimi giorni ha preso una serie di iniziative diplomatiche profondamente irritanti per l’Unione europea.
Dal primo luglio, l’Ungheria è presidente di turno Ue, e Organ ne ha approfittato per una visita a sorpresa a Kiev, dove Zelensky ha accolto anche lui come tutti calorosamente, lo ha abbracciato. Il premier ungherese ha ribadito la necessità di “cercare la pace”; Zelensky in conferenza stampa ha replicato, “solo la pace giusta”, cioè con il ritiro della Russia da tutte le zone invase due anni fa. A seguire, Orban è volato a Mosca per riaffermare che con Vladimir Putin si può e si deve parlare. Questo suo improbabile ruolo di paciere è stato subito smentito da Bruxelles, i cui leader hanno dichiarato che l’ungherese non parlava a nome dell’Unione. Non basta: Orban a seguire è andato anche a Pechino dove è stato ricevuto con grandi onori dal presidente Xi Jinping.
Poi, il vertice Nato: Orbàn è andato, ma invece di dedicarsi a un bilaterale con il presidente in carica Joe Biden, si è poi spostato in Florida a Mar-a-lago da Donald Trump, candidato conservatore alla Casa Bianca (non per la prima volta; c’era già stato in marzo), da dove ha twittato gioiosamente “Missione di pace 5.0. È stato un onore visitare il Presidente Trump a Mar-a-Lago. Abbiamo discusso i modi per arrivare alla pace in Ucraina. La buona notizia del giorno: risolverà il problema”. Una volta eletto, chiaramente. Orbàn ha anche detto che da Bruxelles cercano di boicottare le sue iniziative.
Di fronte a questo attivismo, Meloni ha dato prova di equilibrismo. Una volta di più, le alleanze con la destra europea la costringono a cercare una via stretta fra le sue radici (e il suo elettorato) e il ruolo di leader di paese fondatore dell’Europa. “Tutti hanno detto, ed è così, che non ci fosse un mandato” per i viaggi di Viktor Orban a Mosca e Pechino, ha detto ai giornalisti, ma “se fossero iniziative che possono portare uno spiraglio di pace e di diplomazia io non ci vedrei niente di male, direi ‘ben venga’. Ma quando si dà questo segnale e il giorno dopo si ottiene che un ospedale viene bombardato, questo dimostra che non c’è nessuna volontà di dialogo da parte di Putin. Se ci fosse volontà di dialogo, per carità… dialoghiamo ma mi pare che la risposta sia stata abbastanza chiara”.
Dopo le elezioni europee di inizio giugno, Orbàn ha varato un nuovo gruppo di estrema destra all’Europarlamento, i Patrioti, che ha sostanzialmente sostituito il precedente gruppo Identità e Democrazia, ma con alcune aggiunte. Oltre al suo partito Fidesz partecipano il Rassemblement national francese di Marine Le Pen con ben trenta eurodeputati, la Lega di Matteo Salvini (vicepremier nel governo Meloni) e il partito Ano di Andrej Babiš, l’ex primo ministro ceco. Ma anche il Partito della Libertà austriaco (Fpö), lo spagnolo Vox e l’olandese Pvv, il Vlaams Belang del Belgio, il portoghese Chega!, il Partito popolare danese, Voce della Ragione (Grecia) e Prima la Lettonia. Fra questi, lo spagnolo Vox è arrivato dall’altro gruppo di destra ECR in cui Meloni è egemone. Insomma questi “Patrioti” potrebbero essere una spina nel fianco per Fratelli d’Italia di Meloni.
La premier però ha minimizzato: “Nel gruppo di Le Pen c’è Salvini, come c’è Vox che fino a pochi giorni fa era in Ecr: in Europa la composizione dei gruppi non impedisce affatto che ci siano ottimi rapporti e forme di collaborazione, come dimostra il caso italiano. Ci sono materie su cui siamo meno vicini e altre in cui ci sono più convergenze, ma io sono una persona che ama parlare e certi schematismi non mi appartengono e non li condivido”. La prossima prova arriverà la prossima settimana quando si decideranno i Top Jobs dell’Unione europea e Meloni si ritroverà di fronte al problema Ursula von der Leyen: sostenere almeno de facto se non ufficialmente la candidata conservatrice alla presidenza della Commissione, o no? Peggio ancora per il socialista Antonio Costa, candidato alla presidenza del Consiglio europeo. Nomi invisi alla Lega di Salvini, a Orban e a tutto il gruppo dei Patrioti.