Quando muore un amico a 68 anni, la perdita è grande. Se era anche un bravo giornalista ancora di più. Franco Di Mare è stato tutti e due. Amava il giornalismo come la vita. I rischi, le guerre, la bontà, ma soprattutto la vita piena. E questa lo ha divorato e soffocato con un mesotelioma in stadio avanzato che gli ha bruciato rapidamente i polmoni.
Aveva fatto appena in tempo a dire a Fabio Fazio, il 28 aprile, che gli erano rimasti pochi giorni di respiro e che la Rai, che gli aveva dato tutto, ma che si era presa anche tutto il suo talento, lo aveva “completamente abbandonato”. Chiese di riconoscere nello stato di servizio che la malattia sarebbe potuta esplodere per aver respirato l’amianto lasciato dai proiettili e dagli ordigni nelle zone di guerra che aveva battuto per decenni. Non lo ottenne.
Ma c’è un piccolo episodio, capitato in Venezuela, sull’isola Margherita, che non mi farà mai dimenticare la tenacia guerriera di Franco. Eravamo impegnati insieme in una missione impossibile: trovare i coniugi Carretta di Parma. Sembravano scomparsi nel nulla insieme al loro camper e misteriosamente segnalati nell’isola davanti a Caracas, in quella che veniva considerata come la “Svizzera del Venezuela”, dove spiccavano gioco d’azzardo, omertà e una forte comunità italiana.
Non abbiamo mai trovato i Carretta perché il figlio Ferdinando confessò, molto tempo dopo, che li aveva fatti a pezzi in una vasca da bagno a Parma e disperso i brandelli dei loro corpi, insieme a quello del fratello, prima di fuggire a Londra. Tre finti e misteriosi biglietti aerei indicavano che la famiglia era partita alla volta del Venezuela. Alla fine degli anni ’80, per settimane telegiornali e giornali italiani parlavano dell’isola Margarita. Ma là nulla succedeva. Fu allora che ci venne l’idea dei volantini con le foto dei coniugi da mettere in tutte le farmacie, nei supermercati e da mostrare ai ristoratori dell’isola.
Non andammo lontano nemmeno con la distribuzione, ma Di Mare credeva in quell’impossibile attesa, dava voce a chi diceva che “si erano seduti ieri sera a quel tavolo d’angolo due sere fa…”.
Anche l’Interpol arrivò sull’isola a scoraggiarci. Se fosse stato per Franco avremmo continuato a cercare e rovistare anche sotto i sassi, prima di rientrare a New York. Non era soltanto senso professionale. Era entusiasmo, passione e cuore. Forse anche amore puro, come quello che lo spinse anni dopo a lottare per adottare una bambina di 10 mesi che oggi è una stupenda donna alla quale Franco mancherà tantissimo.
Ma la sua flemma napoletana e la grande attrazione per la vita e per il prossimo gli hanno permesso di affrontare con sofisticato cinismo professionale anche l’ultima battaglia.
Ha annunciato in diretta la sua morte a fine aprile. Le rideva in faccia riconoscendo la sua impotenza. Non ha sbagliato l’appuntamento di un solo giorno. È stato preciso e accurato anche lì come in tutti i suoi reportage, di guerra e di pace.